Toscana

Casa, pagarla non basta. A volte bisogna ricomprarla

DI SIMONE PITOSSIComprare una casa è sempre più difficile. Soprattutto se dopo averla comprata e, soprattutto, pagata – tutta o in parte – qualcuno viene a riprendersela. E come può succedere tutto ciò? Chi è quel «qualcuno» che mi toglie la casa dopo averla pagata? Non si tratta di un malfattore o di un extraterrestre. È il Tribunale. Perché – in caso di fallimento del costruttore – la legge non tutela il diritto di chi la casa l’ha comprata ma i diritti dei creditori. Purtroppo non si tratta di pochi casi isolati. Infatti, sono circa 9.500 le famiglie toscane (220 mila in tutta Italia, con una perdita dei loro risparmi calcolata in circa 18 miliardi di euro) rimaste vittima, negli ultimi sei anni, dei fallimenti immobiliari.

I dati (fonti Istat, Camera di Commercio e ministero della Giustizia) sono sottolineati dal Coordinamento nazionale vittime fallimenti immobiliari (Conafi) della Toscana. «Si tratta di una catastrofe naturale alla quale bisogna assolutamente porre rimedio», sottolinea Domenico Cotroneo (Conafi Toscana) con riferimento alle migliaia di famiglie che hanno perso la casa in costruzione già pagata. E i casi a rischio non sono pochi. Facciamo un esempio. Una coppia trova una casa di suo gradimento (su progetto o in costruzione) e stipula un contratto preliminare di compravendita con un costruttore. I due iniziano a versare dei soldi in acconto, magari stipulando un mutuo. La costruzione della casa procede. Ma il costruttore non se la passa bene e arriva il fallimento. La mazzata è terribile. Tutto ciò che hanno versato va perso nel vento. Anche se la casa era quasi finita e nel frattempo l’avevano occupata non c’è niente da fare: la devono lasciare o ricomprare. La casa viene ipotecata e il tribunale affida il caso ad un curatore fallimentare che nomina un perito per stabilire il valore della casa. Il valore stabilito costituirà la base d’asta. E se il proprietario ha già occupato la casa deve lasciarla o pagare l’affitto al curatore fallimentare.

Ma tutto ciò com’è possibile? Grazie a una legge vecchia di 62 anni, un Regio Decreto del 1942. Anni in cui gli italiani erano un popolo di «inquilini» e non di «proprietari», com’è oggi. La legge non tutela il proprietario finché non abbia in mano il contratto «definitivo» di compravendita con relativo rogito notarile. E tutto ciò viene fatto solo alla fine. Chi rimane nel «limbo», con il solo contratto «preliminare», non ha nessun diritto o quasi. Infatti, il proprietario – tra i vari creditori del costruttore fallito – è di «serie B», uno di quelli che il gergo tecnico chiama «chirografi». Prima ci sono le banche, i professionisti, gli avvocati. E non finisce qui. Infatti bisogna fare i conti con le lungaggini della giustizia che impiega, in media, 7 anni per risolvere una causa di fallimento. E, alla fine del calvario, se anche il proprietario intendesse ricomprare la casa – già pagata! – il percorso non è semplicissimo. Infatti, per comprare all’asta bisogna versare il 25% dell’importo immediatamente e il resto entro 60 giorni. Ma finché non c’è l’atto di assegnazione – dopo l’asta – le banche non concedono il mutuo perché la persona non può fornire garanzie. Insomma, un vero rompicapo legislativo. E un vero dramma per chi ci si trova invischiato.

Per arginare il fenomeno, Conafi insiste sulla necessità di varare quanto prima la proposta di legge 2198 approvata all’unanimità alla Camera e attualmente ferma alla Commissione giustizia del Senato. Il Parlamento stabilirebbe così nuove norme per la tutela dei diritti patrimoniali degli acquirenti di immobili da costruire. Fondamentale, tra queste novità, l’obbligo per il costruttore (impresa o cooperativa che sia) di prestare – fino alla stipula del contratto definitivo di compravendita – fideiussioni bancarie o assicurative a garanzia degli acconti versati dagli acquirenti. E, in secondo luogo, l’istituzione di un Fonda nazionale di solidarietà rivolto a indennizzare parzialmente le famiglie coinvolte nei fallimenti immobiliari degli ultimi dieci anni.

A livello regionale, secondo i dati in possesso di Conafi, ci sono una trentina di fallimenti ancora in corso che coinvolgono oltre 1.300 famiglie. Tra questi, i più rilevanti riguardano Lanfredini costruzioni a Colle Val d’Elsa (Siena), Coop. La Calvana a Calenzano (Firenze), Finanziaria industriale immobiliare Terni a Sarteano (Siena), Cooper Chianti nel Chianti e nel Valdarno, Sabadini costruzioni a Calci (Pisa), Tirreno srl a Massa, Mencagli e Vasile a Pisa, Csi srl a Cecina (Livorno), Villa Le Pergole srl a Rufina (Firenze), Biemme costruzioni a Grosseto. «Poiché la realtà è fatta di drammi familiari veri e propri – conclude Cotroneo di Conafi Toscana – sarebbe inoltre il caso che anche le banche che, in alcuni casi, hanno concesso mutui a costruttori in stato prefallimentare si mettessero la mano sulla coscienza».

La storia: Un proprietario: sto rischiando di perdere tuttoSe la casa, da sogno, diventa un incubo. In questa frase potrebbe essere riassunta la vicenda di Bruno Falzea, 48 anni, rimasto schiacciato dal fallimento dell’impresa Biemme costruzioni a Grosseto. Falzea, impiegato all’Ufficio del Territorio di Grosseto, è calabrese d’origine ma vive in Toscana da oltre 15 anni. Il suo sogno, appunto, era una casa. «Nel 1991 – racconta – venivo a sapere che un’impresa edile stava iniziando dei lavori per realizzare un fabbricato in edilizia agevolata. Mi recavo quindi presso gli uffici dell’impresa, dove mi riceveva il suddetto impiegato (geometra di fiducia dell’impresa), il quale per l’alloggio posto al primo piano di 76,41 mq. oltre ad una autorimessa di 17,85 mq. ed attiguo ripostiglio di 3,87 mq., al piano terra, mi chiedeva la somma di 122 milioni di lire, iva esclusa». Falzea quindi stipula un atto preliminare di compravendita per l’acquisto dell’alloggio.

«Nel 1993 – continua il racconto – mi rendevo conto di alcune illegittimità, pertanto chiedevo all’impresa di riconoscere i miei diritti, ma questa società negava ogni evidenza e si rifiutava di accettare le mie legittime richieste». Nel 94 quindi, Falzea intraprende azione legale nei confronti dell’impresa sulla base del mancato frazionamento del mutuo agevolato, per aver dovuto pagare in anticipo – durante il corso dei lavori – somme relative alla quota di mutuo ed infine per la mancata stipula del contratto definitivo. «L’impresa poi – sottolinea Falzea – alterava il prezzo convenuto con atto preliminare da 122 milioni di lire a oltre 159 milioni e mi imponeva il pagamento di questa somma come condizione per la stipula del contratto di compravendita».

Qui inizia un tira e molla con l’impresa e il Comune di Grosseto che, nel tempo, ha fatto fluttuare i metri quadrati della casa e la relativa valutazione. «Da quando sono in lite con l’impresa – spiega – la vicenda è degenerata, tanto da trovarmi impelagato in due cause civili, due procedimenti penali e tre ricorsi al Tar». Infine, nel dicembre del 2002 il Tribunale di Grosseto dichiara il fallimento dell’impresa Biemme costruzioni. «Adesso rischio – continua – di perdere la casa dove vivo, sia pure in condizioni di precarietà e di disagio, dal luglio del 1994, dopo aver pagato il prezzo pattuito nell’atto preliminare e altre somme per delle migliorie apportate all’alloggio e dopo aver sostenuto ingenti spese legali». Sulla vicenda pesano anche le lungaggini della giustizia italiana: «Basti pensare che nella causa civile, nella quale si sono finora avvicendati tre Giudici, intrapresa nei confronti dell’impresa nel 1994, la consulenza (tecnica e contabile) disposta il 23 gennaio ’98 dal primo Giudice, dopo ben sei anni dall’incarico, non si è mai definitivamente conclusa. E pensare che sono stati incomodati nel tempo, complessivamente ben 6 consulenti tecnici (un geometra, un dottore commercialista, due ingegneri, un geometra nonché geologo e un ragioniere) per una consulenza che doveva prevalentemente determinare la superficie ed il prezzo dell’alloggio». Ora al danno si potrebbe aggiungere la beffa. «In questo momento – conclude Falzea – rischio di perdere la casa, i soldi spesi per acquistarla (circa 130 milioni di lire) e tutta la somma spesa per legali, consulenti e spese processuali (circa 70 milioni di lire)». Il sogno, purtroppo, è finito. Ma l’incubo è solo all’inizio.

Il sito del Coordinamento nazionale comitati vittime fallimenti immobiliari