Toscana

Cattolici e politica: obbligati alla presenza

di Andrea FagioliÈ stato l’ultimo segretario nazionale della Dc e il primo del Partito popolare. Da allora, dallo scioglimento del cosiddetto «partito unico dei cattolici», sono passati dieci anni. «Per me, i mesi tra il 1993 e il 1994, hanno rappresentato un passaggio drammatico, anche sul piano personale, al punto – racconta oggi Mino Martinazzoli – che, fatto un pezzo di strada, non mi sono più sentito in grado di tenere una responsabilità soverchiante». Adesso Martinazzoli è consigliere regionale della Lombardia dopo aver perso lo scontro diretto con Formigoni per la presidenza della Regione. Lo raggiungiamo per telefono nel suo studio di Brescia.

Martinazzoli, è possibile attuare oggi un collegamento sociale cristiano? Ed eventualmente su quali basi, su quali valori, ma anche su quali scelte concrete e quale azione comune da parte dei cristiani impegnati in politica presenti nei vari schieramenti?

«Innanzitutto vorrei sottolineare quanto sia utile e significativa l’iniziativa di monsignor Simoni, tanto più che si accompagna ad altre riflessioni che qua e là si fanno magari con sigle diverse, ma tutte animate da questa idea di compiere una ricognizione attenta sullo stato del cattolicesimo politico oggi in Italia. Premetto anche che non si deve rimpiangere storie che si sono consumate nel tempo. Credo però che sarebbe una resa considerare che la condizione dell’impegno dei cattolici in politica, caratterizzata oggi in Italia da una forte diaspora e dalla insignificanza, sia un destino irrimediabile. D’altro canto, in questi dieci anni che ci separano dal partito che nel modo più rilevante ha rappresentato questa esperienza, alcune domande sono state poste e alcuni tentativi di risposta sono stati dati: l’idea, ad esempio, di un progetto culturale che caratterizzi peculiarmente la presenza dei cattolici nella società italiana; l’idea di una unità sui valori. Mi pare però che siamo rimasti semplicemente ad una fase di constatazione e non abbiamo prodotto risposte, non dico per l’oggi o per il domani, ma nemmeno per il dopodomani. Sarebbe a questo punto interessante se partendo dagli incontri di monsignor Simoni si potesse cominciare a costruire una rete che colleghi questi diversi spunti, sia pure critici e orientati in modo diverso, ma tutti animati da una stessa domanda: davvero è tutto qui quello che possiamo fare nel nostro tempo come eredi di una lunga e importante tradizione?».

Lei parla ora del rischio di una «resa». Qualche tempo fa disse di volersi ribellare a chi voleva fargli subire il dogma della disunità politica dei cattolici. Dunque, in qualche forma di unità ci crede ancora. Allora le chiedo: perché di fronte ad un problema come quello della guerra, sono state possibili posizioni così diverse tra i cattolici in politica?

«Credo sia stato inesorabile proprio il fatto che siamo prigionieri di un modello bipolare abbastanza rozzo nel quale i cattolici stanno di qua o di là, oltretutto per ragioni non fino in fondo indagate. C’è insomma una sorta di costrizione ad agire all’interno degli schieramenti in cui ci si trova. Per cui da un lato abbiamo avuto cattolici che per necessità di schieramento hanno dovuto in qualche modo mettere la sordina al loro sentimento che non può non essere un sentimento antibellicista. Dall’altro, e devo riconoscerlo con onestà, c’è stata una inevitabile acquiescienza nell’attaggiamento radicale di testimonianza, che è di straordinario peso morale ma politicamente abbastanza inadeguato. Di fronte allo slogan contro la guerra senza se e senza ma, mi veniva da pensare ad un grande cristiano e politico come Aldo Moro che non avrebbe mai pronunciato enfaticamente una frase del genere. Moro sapeva che i se e i ma sono nella storia, che fuori dal reale non si fa politica. Quando dico non mi arrendo al dogma della disunità è un modo, ammetto abbastanza schematico, per negare che questo stato di necessità sia in qualche modo non modificabile. Io dubito che lo schema che è uscito fuori così casualmente dalla fine degli equilibri della cosiddetta prima Repubblica sia fino in fondo espressivo delle esigenze di futuro di questo Paese. Oggi, anziché una democrazia dell’alternanza e quindi compiuta, abbiamo un bipolarismo che sembra una guerra civile; uno scontro di fazioni piuttosto che una competizione ideale».

Allargando il discorso al mondo cattolico in generale, perché, a suo giudizio, persino i movimenti e le associazioni ecclesiali risentono in maniera così sensibile di questo bipolarismo «rozzo»?

«Da un lato, anche se in buona fede, c’è l’idea di una distanza da guadagnare: si sta nel sociale, con un impegno operoso, ci si realizza lì, si immagina di compiere lì il proprio dovere in modo esauriente, ma si guarda alla politica con sospetto, per non dire con disprezzo. Dall’altro, quando invece la distanza è più ridotta, c’è il rischio di un coinvolgimento fazioso. Ma questo accade persino al sindacato: si pensi alla Cisl che sta vivendo il problema di dove collocare oggi la sua autonomia. Non credo che ci siano soluzioni facili, non mi riesce di capire in che modo questa potenzialità possa ritrovare il gusto e il rischio della politica e non essere subalterna alla politica degli altri. Io credo però che la cosa importante sia mantenere accesa questa inquietudine, questo inappagamento, dopo di che accadrà quello che deve accadere. Non penso per niente a delle repliche o all’esigenza di mettere insieme dei cocci. Non so come, ma credo però che nel futuro questa presenza tornerà a diventare un compito urgente. Se mi guardo in giro, non solo in Italia, mi pare di constatare un declino, una progressiva perdita del valore umano della stessa regola democratica. È possibile che i cattolici vogliano essere latitanti in una condizione così rischiosa?».

Il 30 maggio a Firenze De Rita presenta il CscRiprendendo la migliore storia del cattolicesimo sociale e politico, si tratta di riportare i laici, cominciando dai giovani, a interessarsi costantemente del bene comune, si tratta di facilitare la loro formazione e preparazione culturale e spirituale in proposito, e di favorire il loro collegamento e, con esso, l’incisività della loro presenza. Tutto ciò a partire da un sentimento radicato, quello della comune Appartenenza cristiana, che è più profonda, più importante e più decisiva delle nostre diverse e pur legittime appartenenze politiche». È con queste parole che il Collegamento sociale cristiano invita al primo incontro nazionale, venerdì 30 maggio alle 15 a Firenze presso l’auditorium dei padri scolopi (via Cavour, 94), al quale interverrà il segretario generale del Censis, Giuseppe De Rita, con una relazione su «Diaspora sotto esame. Per una presenza coerente ed efficace dei cattolici nella società». Previsti poi una serie di interventi moderati dal direttore di Toscanaoggi, Alberto Migone (informazioni: 0574/449739, dalle 9,30 alle 12). Banchi: il dialogo più che utile è necessarioA proposito del Collegamento sociale cristiano, tutto ciò che permette ai cattolici impegnati nel sociale e nel politico di ritrovarsi a dialogare, non in modo accademico, per rendere operativi i comuni riferimenti alla dottrina sociale della Chiesa, è utile, anzi fortemente necessario. Tanto più che la situazione della Toscana impone ai cattolici non solo di seguire – ora più che mai, in questa fase di elaborazione finale dello Statuto – una bussola comune, ma addirittura di testimoniare coraggiosamente i nostri valori, incarnandoli pur nella diversità di collocazione. Quello che serve è davvero una progettualità condivisa, che traduca in concreto i riferimenti ai recentissimi richiami del Pontefice, come la difesa e la promozione della famiglia attraverso le leggi e non a parole. Ma penso anche al pluralismo scolastico, che parta dal riconoscimento della piena parità; così come ritengo che occorra fare chiarezza sul delicato versante della bioetica. Su queste frontiere chi siede nel Consiglio Regionale Toscano, anche se su scranni diversi, ma pur sempre animato dalla medesima ispirazione, non può non essere disponibile ad una strategia comune.Franco BanchiConsigliere regionale Udc Parrini: sì ad una funzioneculturale e socialeIl Collegamento sociale cristiano è nato grazie all’intuizione di monsignor Gastone Simoni, infaticabile animatore delle coscienze civili dei cattolici. Ho aderito subito all’iniziativa intendendo il Collegamento il luogo privilegiato, la sede più autorevole per recuperare, innanzitutto, quello spirito unitario che una volta contraddistingueva i cattolici e del quale oggi non v’è più traccia. Il Collegamento sociale cristiano non è, non può, e non dovrà essere equivocato come il tentativo di ritornare ad una improbabile, ed ormai superata dalla storia, unità politica dei cattolici: deve, piuttosto, garantire a tutti i cattolici militanti in entrambi gli schieramenti la possibilità di confrontarsi serenamente, senza pregiudizi e senza condizionamenti, e di ritrovare su alcune questioni fondamentali legate ai principali temi cari alla dottrina sociale della Chiesa ed alla peculiare sensibilità dei cattolici italiani, posizioni condivise che caratterizzino la nostra azione politica. Il Collegamento deve assolvere a questo fondamentale ruolo di stimolo senza sostituirsi alle forze politiche e senza confondersi con esse; deve continuare, come sta opportunamente facendo dal momento della sua costituzione, questa faticosa, paziente ma insostituibile funzione culturale e sociale di risveglio delle coscienze e di recupero di quella dimensione di fraternità che deve contraddistinguere l’ azione politica dei cattolici.Gianluca ParriniConsigliere regionale La Margherita