Toscana

Chi bussa alle porte della Caritas? In 25 mila nel 2011, aumentano gli italiani

E’ un cambiamento progressivo, inevitabile, dovuto alla crescente crisi economica: 25.207 persone sono ricorse nel 2011 ai 121 Centri d’ascolto (CdA) della rete regionale Caritas. Rispetto al 2010 sono aumentate di 375 individui. Il 72,5% di loro è immigrato. Tuttavia, crescono anche gli italiani: erano 4.036 nel 2007 sono stati 6.923 nel 2011, quasi 3.000 persone in più in soli quattro anni. In calo gli stranieri, da 18.510 a 18.284 persone. La presenza femminile è sensibilmente maggiore fra gli stranieri (54,9%, il 55,0% nel 2010), rispetto agli italiani (50,8%, rispetto al 49,6% del 2010). Preoccupa la «fotografia» del disagio sociale, secondo il «Dossier 2012 sulle povertà – Rilevazione dati Centri d’ascolto Caritas della Toscana del 2011», coordinato da Stefano Simoni e realizzato con il contributo della Regione Toscana – Osservatorio sociale regionale, presentato giovedì 22 novembre a Firenze.

Per la maggior parte delle persone, il rapporto con il CdA è funzionale alla risoluzione di un problema immediato: ricerca di un lavoro, facilitazione in pratiche burocratiche o un aiuto materiale (pacco viveri, vestiario, pagamento di utenze) per tamponare, almeno temporaneamente, una situazione di emergenza. Crescono le difficoltà delle famiglie che hanno due o più figli. Sono più gli stranieri (10,5%) con figli a carico rispetto agli italiani (9,5%).

Prevale la «mezz’età». La maggioranza delle persone in cerca di aiuto ha tra i 25 e i 45 anni, quelle fasce d’età «centrali» della vita, che dovrebbero corrispondere al pieno sviluppo delle proprie possibilità professionali e il consolidamento della vita familiare e sociale. Confrontando la componente italiana con quella straniera, notiamo che quest’ultima è, in media, sensibilmente più giovane (49 anni per gli italiani, 38,9 per gli stranieri). Un italiano su tre (il 33,7%) ha più di 54 anni, oltre il 15% è ultrasessantacinquenne.

Famiglie spezzate. La rottura del vincolo matrimoniale riguarda prevalentemente gli italiani (27,2% contro il 9,2% di stranieri). Celibi, nubili, separati, divorziati e vedovi costituiscono il 69,5% degli italiani, percentuale decisamente preoccupante: circa sette italiani su dieci non hanno il supporto del coniuge. La vulnerabilità relazionale che spesso ne deriva è una delle ragioni di disagio che porta alla ricerca d’aiuto. In particolare, con la rottura del legame coniugale, il disagio diviene spesso anche economico.

La fragilità relazionale tocca anche il 41,5% degli stranieri, valore che, pur essendo sensibilmente più basso di quello degli italiani, è di per sé indubbiamente elevato. Fra gli stranieri prevale nettamente la componente dei coniugati (58,5%). I celibi sono più delle nubili, con un numero maggiore di donne fra le persone coniugate, separate, divorziate e vedove.

Oltre la metà delle persone ascoltate nei CdA vive all’interno del proprio nucleo familiare. A questo dato si somma chi vive da solo (il 17,6% del totale, era 16,3% del 2010) e, infine, di chi dimora insieme a persone con le quali non condivide vincoli di parentela (convivenza in nucleo non familiare,celibe/nubile, coniugato/a, divorzio/separazione, vedovo/a). Di anno in anno si assiste a una lenta decrescita di immigrati che vivono in nucleo non familiare, a favore di chi vive in Italia con la propria famiglia: pur con le ben note complessità burocratiche e le gravi difficoltà socio-economiche, continuano i ricongiungimenti familiari.

Il 45,4% delle persone iscritte al Centro vive in affitto e un altro 18,6% alloggia presso amici e/o familiari. In crescita le persone che vivono in un alloggio di fortuna (abitazione fortemente precaria, casa abbandonata, roulotte, ecc.) oppure addirittura senza alloggio.

In soli quattro anni è raddoppiato il numero coloro che, pur facendo supporre una condizione di benessere grazie alla proprietà della loro casa, hanno avuto necessità di rivolgersi ad un CdA.

Titoli di studio elevati. Una caratteristica delle persone che si rivolgono ai Centri, è il possesso di titoli di studio elevati. Testimonianza di come a un bagaglio formativo di un certo spessore non si accompagni la possibilità di una buona realizzazione professionale, indice di una precarietà che coinvolge una parte crescente della popolazione. Il confronto fra i titoli di studio di italiani e stranieri rivela scarti particolarmente sensibili: il 38,2% di stranieri ha un diploma di scuola media superiore (o titolo equivalente secondo la normativa del paese di origine), mentre la percentuale di italiani diplomati è solo del 16,8%. I laureati stranieri sono il 7,1%, gli italiani l’1,9%. Circa il 26% degli italiani ha la licenza elementare, la scuola media inferiore è ancora il titolo di studio nettamente più diffuso. I titoli di studio più elevati prevalgono fra le donne.

La disoccupazione colpisce il 73,0% delle persone ascoltate: una delle principali necessità  riguarda la ricerca di un lavoro. La condizione di disoccupato è nettamente prevalente, sia per gli italiani sia per gli stranieri, I pensionati sono quasi esclusivamente italiani, cosa che non sorprende, vista l’età delle persone accolte.

Prevalenza di rumeni. Il paese da cui proviene la maggior parte degli stranieri è, ormai da molti anni, la Romania (25,6% del totale degli immigrati). La presenza marocchina, al contrario, aumenta negli anni, fino all’attuale 15,2%. Più ridotta la presenza di albanesi (8,8%). In crescita tunisini e nigeriani e, parallelamente, una diminuzione dei peruviani e dei somali. In pratica arrivano in Toscana da tutto il mondo o quasi: dal Perù, Ucraina, Sri Lanka, Polonia, Senegal, Georgia, Cina, Moldavia, Bulgaria, Bangladesh, Macedonia, Kosovo, e altri paesi ancora.

Solo il 47,5% fra i non comunitari arrivati in Italia nel 2010 ha un regolare permesso di soggiorno. I motivi di rilascio umanitario – politici riguardano il 14,6% del totale, in diminuzione rispetto al 16,1% del 2010. Il problema del lavoro (disoccupazione, sottoccupazione, sfruttamento, lavoro nero, ecc.) è prevalente per il 40,7% degli stranieri, contro il 22,4% degli italiani che lamentano la povertà di mezzi economici (reddito insufficiente, indebitamento, assenza di entrate, ecc.). Crescono per gli immigrati i problemi legati all’istruzione (scarsa conoscenza dell’italiano, ritardo scolastico, deficit formativi in relazione alle richieste curricolari italiane, ecc.).

Sofferenze al femminile. Maggiori per le donne i problemi legati al lavoro (40%, è il 28% per gli uomini). Tuttavia, le donne dimostrano una maggiore volontà o necessità, di proporsi sul mercato del lavoro. Netta prevalenza femminile anche tra chi ha problemi familiari (6%, contro il 3,3% dei maschi), mentre è l’opposto per i problemi abitativi, dichiarati dal 9,9% dei maschi e dal 7,2% delle femmine. Tra i nuovi arrivati al Centro nel 2011 è da registrare marcata crescita fra le donne dei problemi di povertà economica (46,3% tra le iscritte nel 2010, 39,1% tra tutte le donne) e fra gli uomini l’intensificarsi dei bisogni legati all’abitazione.

Dietro ai tanti numeri, schede e diagrammi, ci sono le vicende – spesso i drammi – delle tante persone che si rivolgono ai CdA. Di queste parlano le interviste che completano il «Dossier 2012» e che hanno come protagonisti persone e famiglie seguite dai Centro di Ascolto diocesano della Caritas di Arezzo-Cortona-Sansepolcro; dell’Area vasta costiera: Diocesi di Livorno, Lucca, Pisa, San Miniato e Volterra; Area maremmano-senese: Diocesi di Siena-ColleVal d’Elsa-Montalcino, Grosseto, Pitigliano-Sovana-Orbetello, Massa Marittima-Piombino; dell’Area metropolitana: Diocesi di Firenze, Pescia, Pistoia e Prato.