Toscana

Chiesa e Ici, ecco quanto pagano le diocesi ai Comuni

Raccogliendo la «sfida» lanciata da un nostro lettore siamo andati a scovare degli esempi concreti. Abbiamo preso due diocesi toscane, la più grande – Firenze – e una delle più piccole, Montepulciano-Chiusi-Pienza. Dopo la riforma del Concordato, voluta nel 1984 dal socialista Craxi, i beni di proprietà delle Diocesi (quelli rimasti dopo le tante «spogliazioni») sono confluiti negli Istituti diocesani per il sostentamento del clero (Isdc), regolati da una legge italiana e finalizzati a fornire uno stipendio a tutti i sacerdoti. Alcuni immobili, strettamente legati al culto (come le chiese e gli oratori) o alle attività pastorali e caritative (locali parrocchiali, canoniche, se abitate dal parroco, aule di catechismo…) sono poi stati conferiti all’ente Diocesi o all’ente parrocchia. Tutti gli altri, capaci in astratto di produrre un reddito, sono rimasti agli Idsc. I quali pagano Ici e altre tasse, secondo la legge, come qualsiasi altro ente italiano.

Firenze: «Altro che evasori…»di Riccardo Bigi

Quattrocentonovantottomilaquattrocentosei euro. Quasi mezzo milione, praticamente un miliardo di vecchie lire che l’Istituto diocesano di Firenze paga di Ici ogni anno. Una cifra che, nella sua imponenza, dovrebbe bastare a mettere a tacere le polemiche su Chiesa, tasse, esenzioni.

Le leggi della comunicazione dicono che anche la più infondata delle bugie, ripetuta all’infinito, finisce per essere presa per vera. Un esempio evidente è il ritornello che torna, periodicamente, alla ribalta sui giornali o nei dibattiti politici: «la Chiesa non paga l’Ici». Ma è davvero così? Siamo andati a chiederlo a Marco Galletti, direttore dell’Istituto diocesano di sostentamento del clero di Firenze. Quello che in ambienti ecclesiali viene chiamato semplicemente «l’Istituto». Si tratta dell’ente che, dopo la revisione del Concordato del 1984, ha «ereditato» la proprietà di quelli che erano i vecchi «benefici» parrocchiali: terreni, case, altri immobili… Tutto ciò che serviva al sostentamento del parroco. Il nuovo sistema ha riunito tutti questi beni affidandoli, appunto, agli istituti diocesani perché ne traessero un utile, che viene poi utilizzato per concorrere al pagamento degli «stipendi» mensili di tutti i preti della diocesi.

Come in ogni diocesi italiana, dunque, anche a Firenze l’Istituto amministra aree fabbricabili, terreni agricoli e immobili di vario genere. E su di essi, o almeno sulla grande maggioranza di essi, paga regolarmente le tasse. 498.406 euro, appunto: questa è la cifra pagata dall’Istituto diocesano nel 2010 ai vari comuni del comprensorio fiorentino. Il Comune che ha riscosso di più, prevedibilmente, è Firenze: oltre 107 mila euro. Ma ci va vicino Scandicci, dove l’Ici pagata lo scorso anno ammonta a 82 mila euro. Seguono i Comuni di Montespertoli (36 mila euro) Campi Bisenzio (31 mila euro)  e poi, con cifre minori (ma comunque «importanti», intorno ai 20 mila euro) Empoli, Bagno a Ripoli, San Casciano, Sesto, Vicchio di Mugello. Fino ad arrivare ai 3.856 euro pagati al comune di Signa, o ai 1.860 pagati a Palazzuolo sul Senio.

Da dove vengono fuori queste cifre? «L’Istituto diocesano di Firenze – spiega il direttore Galletti – amministra 1.859 unità immobiliari: di queste solo 232, circa il 15%, è esente dal pagamento dell’Ici: per tutto il resto paghiamo regolarmente».

Ma quali sono le proprietà esenti dal pagamento dell’Ici, e perché? I motivi dell’esenzione sono quelli previsti dalla legge 504 del 1992 (e dalle successive norme interpretative): riguardano gli immobili destinati al culto e alla «cura delle anime» (non solo le chiese cattoliche, quindi, ma anche quelle di altre confessioni cristiane, o le sinagoghe) e quelli destinati ad attività «assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive», purché siano di proprietà di enti che non abbiano «per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali». Un ulteriore requisito introdotto da molti Comuni poi è quello dell’uso diretto dell’immobile da parte del proprietario. «La legge – commenta Galletti – è piuttosto chiara: ci possono essere ancora dei dubbi interpretativi su casi singoli, ma sono questioni che si affrontano caso per caso con i vari comuni interessati. Ogni altra polemica è strumentale».

Torniamo all’Istituto diocesano di Firenze, quindi: tra i 232 beni esenti ci sono 127 immobili adibiti al culto, oppure dati in comodato gratuito a enti e associazioni no profit per attività di utilità sociale; gli altri 105 sono terreni e immobili rurali in cui vivono coltivatori diretti (altro requisito che consente l’esenzione). Su tutto il resto (l’85% del totale) l’Istituto diocesano paga quindi regolarmente l’Ici, come qualsiasi altro contribuente. Perché dunque si insiste con la «leggenda metropolitana» che la Chiesa non paga? «Davvero non lo capisco – dice Galletti – almeno si dovrebbe dire la verità nella sua completezza: che la Chiesa Cattolica, come ogni altro ente religioso riconosciuto dallo Stato, e come ogni ente no profit, non paga l’Ici sugli edifici di culto e su quelli usati per finalità di interesse pubblico. Su tutto il resto paga regolarmente, come ogni contribuente».

Questo dunque il ragionamento generale. Ma forse è utile fare degli esempi concreti, di immobili esenti e altri che invece non lo sono: il direttore Galletti, con i suoi collaboratori, ci aiuta tirando fuori cifre e tabulati. Partiamo da Villa San Luigi, a Castello (periferia nord di Firenze): un centro gestito dall’Oda (Opera diocesana assistenza) che ospita disabili, una struttura di grande utilità sociale che unisce i tratti della carità cristiana a quelli della ricerca scientifica, per offrire cure mediche all’avanguardia. Poiché però manca il requisito dell’«uso diretto da parte del prioprietario» (l’immobile, di proprietà dell’Istituto, è dato in affitto all’Oda) ogni anno vengono pagati al Comune di Firenze ben 13.400 euro di Ici.

Un caso simile riguarda il Centro internazionale studenti «Giorgio La Pira», in via dei Pescioni a Firenze: il centro svolge attività culturali, didattiche, assistenziali per gli studenti stranieri. Ma anche qui, per lo stesso motivo, l’Istituto paga al Comune di Firenze 1.044 euro l’anno. Interessante, fa notare Galletti, che la chiesa dei Santi Michele e Gaetano, che sorge nello stesso edificio, è invece esente essendo destinata al culto.

Per spostarsi da Firenze a Scandicci, anche qui c’è il caso di «Casa Mamma Margherita», una struttura gestita dai Salesiani per accogliere minori tra i 14 e i 18 anni. Anche in questo caso l’Istituto, che è proprietario dell’Immobile, paga oltre 3.000 euro l’anno al Comune di Scandicci. Vale la pena ricordare che alcuni mesi fa questa struttura fu tra quelle disponibili ad ospitare profughi e immigrati provenienti da Lampedusa, aiutando le istituzioni nazionali e regionali ad affrontare una difficile emergenza.

Poco lontano, a Sant’Ilario a Settimo, sorge «Casa Don Lelio», una struttura gestita dalla Caritas che ospita i familiari dei bambini ricoverati all’Ospedale pediatrico Meyer. Qui però siamo nel territorio del Comune di Lastra a Signa che ha stabilito che la struttura, viste le finalità, ha diritto all’esenzione.

Significativo anche il caso di Barbiana, in Mugello: qui è esente dal pagamento dell’Ici non solo la chiesetta ma anche il «Museo Don Milani» allestito nella canonica (nei locali in cui don Lorenzo Milani teneva la sua celebre scuola), che è di proprietà dell’Istituto ma è dato in comodato gratuito alla Fondazione Don Milani, per finalità culturali e didattiche.

Un discorso a parte poi riguarda le unità abitative: lo scopo dell’Istituto (che non è un ente di beneficienza) è quello di dare gli appartamenti in affitto, per poi utilizzare il ricavato per il sostentamento dei sacerdoti diocesani. Proprio per questo l’Istituto paga su questi immobili, come è giusto, l’Ici. «I Comuni lo sanno bene – sottolinea Galletti – e sanno bene anche che gli affitti che chiediamo sono equi e hanno un’effetto positivo sul mercato, aiutano a calmierare i prezzi. Anzi, capita spesso che qualche Comune ci chieda una mano per situazioni di emergenza abitativa: quando possiamo abbiamo sempre fatto la nostra parte».

Ovviamente non tutti i beni riconducibili, in vario modo, alla Chiesa fiorentina sono di proprietà dell’Istituto: ci sono immobili di proprietà delle singole parrocchie (in genere la chiesa, la canonica, le sale per le attività pastorali) oppure appartenenti direttamente alla diocesi. I criteri per l’esenzione però restano gli stessi, e il discorso non cambia. Anche qui Galletti cita un esempio, che vale per tutti: il Convitto della Calza, che spesso è stato citato a sproposito tra i presunti «alberghi di lusso esentasse» della Chiesa. Il Convitto accoglie (secondo le sue finalità originali) preti anziani, ma alcuni anni fa fu ristrutturato per poter ospitare anche convegni. Qui si svolgono eventi e incontri ecclesiali, ma anche congressi di vario genere. Per il Convitto della Calza la Diocesi paga al Comune di Firenze ogni anno oltre 10 mila euro. In teoria potrebbe essere fatta una divisione tra le superfici adibite all’ospitalità per sacerdoti, rispetto a quelle riservate a finalità alberghiere e alla convegnistica: proprio per evitare contenziosi, però, alla fine è stato preferito pagare per l’intero immobile. Perché nessuno possa dire «la Chiesa non paga l’Ici»!

A Pienza l’hotel paga, il museo nodi Claudio Turrini

Non è la più piccola diocesi della Toscana, ma poco ci manca. Con i suoi 76.470 abitanti Montepulciano-Chiusi-Pienza supera di poco la confinante Pitigliano-Sovana-Orbetello (71.770), ma come superficie è quasi la metà. Un territorio che dal 1986 mette insieme due diocesi (Montepulciano e Chiusi-Pienza), ricche di storia. In tutto quarantasei parrocchie disseminate in 13 comuni.

Anche qui l’Istituto diocesano per il sostentamento del clero, costituitosi nel 1985 dopo la revisione concordataria, ha preso in carico gli immobili e i terreni dei vecchi benefici parrocchiali, delle due mense vescovili (una per ciascuna delle precedenti diocesi) e degli altri beni diocesani. Successivamente il vescovo ha riassegnato alcuni di questi beni alle singole parrocchie che li usano a fini pastorali (come gli edifici sacri, la canonica dove abita il parroco, le aule di catechismo) e alla stessa Diocesi (principalmente i palazzi vescovili). Tutto il resto, destinato per legge dello Stato (la 222 del 1985) a produrre un reddito che copra, almeno in parte, le modeste retribuzioni dei sacerdoti, è rimasto all’Istituto che cerca, come accade in tutte le diocesi, di amministrarlo al meglio. È un patrimonio fatto di terreni e immobili che frutta ai 13 comuni oltre 28 mila euro all’anno di Ici. Qui le uniche esenzioni o riduzioni sono quelle previste per tutti i cittadini italiani. Né più né meno. Come per gli immobili e i terreni agricoli utilizzati direttamente dalla «Gestione agricola» dell’Istituto, che sono esenti. Se l’immobile è inagibile si paga la metà. Se è vincolato dai Beni culturali (legge 42/2004) per la base imponibile si calcola la rendita sulla tariffa d’estimo più bassa per la zona censuaria.

Diverso è il caso degli immobili della Diocesi o delle parrocchie. Come detto sono quasi tutti adibiti a culto o a pastorale e quindi esenti dall’Ici. Ma non tutti. Vediamo qualche esempio concreto. A Montepulciano è esente il Palazzo vescovile, sede dell’episcopio e della Curia, oltre che dell’Archivio e delle abitazioni del vescovo e del cancelliere. La pagano invece gli immobili in via San Donato e vicolo Remoto (recentemente restaurati e dati tutti in affitto) dove ora ci sono diverse attività commerciali che hanno riportato questa parte del paese, prima buia e disabitata, alla «vita». Troviamo infatti una banca, un bar, uno studio tecnico e uno commerciale, un’agenzia immobiliare e tre civili abitazioni. Sono tutti riconosciuti come «beni di interesse storico artistico» e per questo pagano un’ici ridotta, comunque di 3.995 euro.

Spostiamoci a Chiusi. Anche qui è esente il Palazzo vescovile. Il piano terra, primo e secondo piano sono stati concessi in comodato gratuito alla Parrocchia di S. Secondiano per l’attività pastorale e caritativa. Il terzo piano è adibito al Museo dell’Opera della Cattedrale di Chiusi e all’Archivio della «vecchia diocesi» di Chiusi. Pagano invece l’Ici (2.132 euro) una villa affittata e un piccolo magazzino adibito a mostre.

Infine Pienza, la città voluta da un papa, Pio II Enea Silvio Piccolomini. Uno si aspetterebbe chissà quali beni di proprietà della Diocesi. In realtà si contano sulle dita di una mano. Tra quelli esenti c’è il Palazzo Vescovile in Piazza Pio II: il piano terra, primo e secondo piano sono stati concessi in uso gratuito alla Parrocchia dei Santi Vito e Modesto per l’attività pastorale e caritativa e per l’abitazione del parroco. Il terzo piano è adibito in parte a Museo Diocesano (gestito dal comune di Pienza) e in parte ad Archivio della «vecchia diocesi» di Pienza. Proprio per questo palazzo una ventina di giorni fa la Società Etruria Servizi, concessionaria di accertamento e riscossione Ici per il Comune di Pienza ha notificato alla Diocesi due «avvisi di accertamento» per gli anni 2008 e 2009 per un totale di 13.348,65 euro. Ovviamente la Diocesi sta preparando un ricorso che si prevede finirà come gli unici tre contenziosi precedenti – in quel caso riguardanti beni dell’Istituto – con i Comuni di Montepulciano, Bucine e Pienza: tutti andati a buon fine, sanando eventualmente alcune posizioni.

Sempre a Pienza è il Seminario a possedere due immobili di notevole pregio storico-artistico. Uno è il Seminario stesso che è esente perché utilizzato dalle parrocchie per ritiri spirituali e brevi soggiorni e ritrovi. L’altra struttura, l’ex Seminario di San Francesco, nel centro storico, è invece data in affitto ad una società alberghiera. E per questo il seminario paga annualmente un Ici di 13.764 euro.

Il commento

Chiesa e Ici, qualche esempio