Toscana

Corpus Domini: card. Betori, essere promotori di riconciliazione e di pace nella società

Di seguito l’omelia pronunciata dall’arcivescovo di Firenze, cardinale Giuseppe Betori, durante la Messa per la solennità del Corpus Domini

Il dono che Dio fa al suo popolo, secondo il libro dell’Esodo, sono parole che devono essere accolte come norme di vita, comandamenti da cui lasciarsi plasmare, una Legge. Ma sarebbe sbagliato pensare che la Legge di Dio sia in qualche modo assimilabile alle leggi umane, una serie di precetti che dall’esterno si impongono come un abito di cui rivestirsi. E infatti questa Legge è definita Libro dell’Alleanza. Ciò significa che tramite l’obbedienza alla Legge l’uomo si dispone ad accogliere la volontà di Dio per legarsi a lui, in un patto d’amore. La Legge è il modo con cui Dio ama il suo popolo, perché gli rivela la sua verità. La Legge di Dio è ben più che un codice, essa è una parola di vita in quanto svelamento della verità sulla vita, in quanto riporta la vita all’intenzione originaria che Dio ha impresso nel mondo con l’atto della creazione. Per questo motivo l’atto di consegna della Legge è segnato da un gesto di comunione, che esprime la reciproca appartenenza tra Dio e il popolo, un’alleanza tra Dio e il suo popolo. Il sacrificio degli animali, sacrificio di comunione, tramite la simbologia del sangue rende manifesto che tra Dio e il popolo, grazie alla Legge, c’è ora unità di vita, per la quale Dio si impegna con il popolo e chiede al popolo di impegnarsi con lui. 

Come ricorda la lettera agli Ebrei, è sulla base di questa comunione tra Dio e il popolo che si edifica la vera religiosità. I sacrifici espiatori varranno a ristabilirla quando viene infranta e quelli di comunione si preoccuperanno di rinsaldarla. Ma nessun sacrificio sarà in grado di giungere a un esito definitivo. I peccati si moltiplicano e sempre nuovi sacrifici devono essere ripetuti. Qui si inserisce la novità che è Gesù. A differenza dei sommi sacerdoti antichi che spargono il sangue di sacrifici animali incapaci di redimere l’umanità dal male, Gesù è al tempo stesso sacerdote che offre e vittima offerta, capace di redenzione eterna. Il sangue che viene a sancire la sua nuova alleanza è il suo stesso sangue, sparso per noi sulla croce. Gesù, vittima che offre sé stessa, porta così a compimento la logica del sacrificio, Al Padre viene offerto colui che egli ci ha donato, il suo stesso Figlio. Il sangue che viene sparso sulla croce non è più soltanto un simbolo della comunione di vita tra Dio e l’umanità redenta, ma è la stessa vita divina comunicata a noi come dono. 

Sta qui la radice del mistero eucaristico che questa sera celebriamo. Il pane diventa il corpo di Cristo per noi, perché duemila anni fa da quel corpo fu effuso per noi il sangue, cioè la vita, di Cristo. Nell’effusione del sangue si concretizza il farsi dono di Gesù, che è il senso profondo dell’eucaristia e la sua logica interiore, che chiede di tradursi nella vita dei discepoli, per diventare vita eucaristica, vita donata. Se è vero che l’eucaristia è segno di comunione, con Dio e tra di noi, questa comunione a sua volta è l’esito di un dono e questo dono è estremo perché è il dono di una vita. Si spiega così perché la fede cattolica insista fortemente sul significato sacrificale dell’eucaristia, riconoscendo nel sacrificio di Gesù sulla croce il fondamento del dono eucaristico. Gesù può donarsi come cibo per i suoi perché dona per loro la propria vita sulla croce. Riscoprire l’eucaristia come il memoriale che fa presente per noi il sacrificio di Cristo è il primo passo chiesto dalla fede. Ciò che compiamo sull’altare non è un gesto di concordia umana, né ciò che viene lì rappresentato è un puro ricordo di un evento che fu, ma anzitutto la sostanza dell’evento è la croce come dono, di cui il pane spezzato e il vino versato sono il segno, e in secondo luogo quel gesto di spezzare il pane e di condividere il calice del vino è presenza reale dell’evento del Golgota, perché davvero il pane che tra poco consacreremo è corpo di Cristo e il vino è il suo sangue. Ce lo ha rassicurato egli stesso nel vangelo: «Questo è il mio corpo… Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti». 

Riconoscere che ciò che si compie su questo altare è la presenza attuale di quel sacrificio che si rinnova per noi che vi partecipiamo, significa anzitutto aderire con atto di fede al fatto che quel che avvenne un giorno alle porte di Gerusalemme, quel sacrificio della croce anticipato nel segno del pane e del vino in una stanza al piano superiore di una casa di quella città, accadde in quel tempo e in quel luogo, come un evento unico ed irripetibile, ma portava con sé un significato e un valore che vale per tutti tempi e che il sacramento eucaristico rende attuale ed efficace per quanti vi partecipano. Così lo definisce il Catechismo degli adulti della Chiesa italiana: «Nella forma di un convito sacrificale la Chiesa rivive l’evento totale della Pasqua; fa memoria della morte e risurrezione del Signore, una memoria che non è semplice ricordo, ma ripresentazione reale dell’evento stesso nel rito. Il Crocifisso risorto si fa presente come Agnello immolato e vivente. Il pane è realmente il suo corpo donato; il vino è realmente il suo sangue versato. La sua parola con la potenza dello Spirito compie davvero quello che annuncia. Il pane e il vino non sono più cibo e bevanda usuali; sono diventati, per una conversione singolare e mirabile, che la Chiesa chiama transustanziazione, il corpo e il sangue del Signore, la sua nuova presenza, “vera, reale e sostanziale”, dinamica e personale, nell’atto di donare se stesso e non solo nella sua efficacia santificante come negli altri sacramenti» (La verità vi farà liberi, 689). 

Partecipare all’eucaristia chiede che ciascuno condivida con Gesù la logica del dono sacrificale, con cui dobbiamo fare di tutta la nostra vita un’offerta vivente per i fratelli e la loro riconciliazione, impegnandoci a donarci e a sacrificarci per il bene di tutti, perché tutti «ricevano l’eredità eterna che è stata promessa», la vita stessa di Dio. Un impegno che nella comunità cristiana si traduce nella comunione fraterna, che dà forma al camminare insieme in un dialogo condotto sotto la luce dello Spirito, e nel nostro stare nel mondo come testimoni del Risorto in quanto pronti a cogliere i segni della sua presenza nella storia e a farci promotori di riconciliazione e di pace nella società. Sono prospettive che si faranno concrete per noi nei prossimi mesi, nel Cammino sinodale della Chiesa italiana e nella preparazione dell’Incontro per il “Mediterraneo frontiera di pace”. Saranno il nostro modo di vivere secondo la forma eucaristica.

Giuseppe card. Betori

Arcivescovo di Firenze