Toscana

Cosa si nasconde dietro il ritorno delle Br

Quanta retorica nei mass media, quanti luoghi comuni su questi «terroristi della porta accanto», su questi insospettabili brigatisti dalla vita tranquilla, tutti «casa, famiglia e lavoro», e poi inaspettatamente arrestati a partire dal 24 ottobre a Roma, Firenze e Pisa, nell’ambito delle indagini per gli omicidi del prof. D’Antona il 20 maggio 1999 a Roma e del prof. Biagi il 19 marzo 2002 a Bologna.

Ma dove sta scritto che questi signori dovessero uscire ogni volta dall’abitazione, con disegnata la stella a cinque punte sulla fronte e magari con un borsone a tracolla giusto per rimpiattare un kalashnikoff, o andare per piazze e raduni a spaccare le costole al primo sgarbo, pur di farsi notare? Se hanno scelto di aderire ad una organizzazione che fa della lotta armata e della clandestinità il punto distintivo, non si vede perché dovessero comportarsi diversamente da come hanno fatto. Semmai c’è da capire perché siano finiti in carcere ora e non prima. Non c’è dubbio che il sanguinoso scontro a fuoco alle porte di Arezzo, sul treno Roma-Firenze il 2 marzo scorso è stato un momento di verità, proprio per tutta quella documentazione informatica trovata nella borsa della brigatista latitante Desdemona Lioce, arrestata dagli agenti della Polfer.È evidente che la Lioce ha commesso degli errori clamorosi, se si guardano le «regole brigatiste» della clandestinità e della compartimentazione. Ma bisogna anche aggiungere che – come tutte le regole – non è affatto facile rispettarle 365 giorni l’anno. E c’è da domandarsi come la Lioce abbia potuto, mentre era in clandestinità, frequentare così tranquillamente i suoi «compagni» spostandosi spesso tra Roma, Firenze e dintorni almeno nel 2002 e nei primi due mesi del 2003 senza che scattasse alcun allarme particolare tra gli inquirenti. Ma quel che è stato fatto dagli inquirenti, dal giorno della sparatoria sul treno ad oggi – ne va preso atto – è un lavoro molto complesso. Informazioni e appunti su centinaia e centinaia di persone. Giovani che avevano palesato nelle occasioni più diverse sin dall’inizio degli anni ’80 un qualche loro interesse per i gruppi eversivi vicini alla lotta armata o simpatizzanti dei comitati di solidarietà per i detenuti dichiaratisi «prigionieri politici»; persone presenti tra il pubblico prima ai processi contro militanti del Comitato rivoluzionario toscano delle Br, poi a quelli delle Br-Pcc e dei Nuclei comunisti combattenti. Roberto Morandi e Simone Boccaccini «scoperti» a Firenze non erano nomi sconosciuti. Erano «curati» saltuariamente. Loro cercavano certo di far credere di avere solo hobbies innocui oltre al proprio lavoro, ma non sfuggiva agli investigatori che i due usassero troppi accorgimenti per essere sicuri, ad esempio di non essere seguiti, quando incontravano qualcuno. Anche Cinzia Banelli che lavorava al Santa Chiara di Pisa era stata notata, a suo tempo, in alcuni comitati autonomi.Dunque nessuna meraviglia che siano spuntati certi nomi dall’incrocio informatico di vecchie note e le nuove messe a disposizione, involontariamente, dal «palmare» della Lioce, dai cellulari dell’organizzazione Br e dai materiali di documentazioni sequestrati nelle case nell’immediatezza degli arresti a Roma, Olbia, Firenze, Vecchiano e Pisa.Quanti brigatisti mancano all’appello in Toscana? Pochi, dice il procuratore aggiunto di Firenze, Francesco Fleury. Lui ha sotto mano le 12 sigle in codice di chi partecipò alla rapina all’ufficio postale di via Torcicoda a Firenze, il 6 febbraio scorso. Ma c’è da tener presente un fatto: un vero esperto di queste vicende dei gruppi eversivi come il magistrato Gabriele Chelazzi, morto improvvisamente nell’aprile scorso, ricordava in tempi non sospetti come restassero ancora da identificare almeno altre sei persone che risultavano aver partecipato all’omicidio dell’ex sindaco di Firenze, Lando Conti il 10 febbraio 1986. Se a questi sei si aggiungono un paio di militanti Br processati per l’assassinio di Conti, datisi poi alla latitanza, il numero dei brigatisti che hanno gravitato in Toscana – e ancora da catturare – aumenta. Alcune loro tracce gli inquirenti le hanno ritrovate in Francia, ma non è chiaro se l’aria di Parigi abbia favorito contatti eversivi durante la comoda latitanza od abbia offerto l’opportunità di una riflessione personale seria per un concreto percorso di uscita dall’esperienza della lotta armata. Proprio dai materiali cartacei e informatici sequestrati in queste ultime settimane durante la trentina di perquisizioni eseguite in Toscana i magistrati della Procura di Firenze potranno avere le risposte a molti quesiti. Se cioè anche i brigatisti latitanti all’estero abbiano contribuito all’input per le azioni più efferate, come gli omicidi di D’Antona e Biagi, oppure se è la sola componente degli irriducibili in carcere, quella delle Br-Pcc (Brigate rosse-Partito comunista combattente) già condannata per aver partecipato all’uccisione di Lando Conti (1986) e del prof. Roberto Ruffilli, a tenere i contatti attraverso i mille modi di comunicare da un carcere con i militanti liberi e con i nuovi aderenti ai Nuclei comunisti combattenti. che avrebbero raccolto l’eredità delle Brigate rosse.

La curiosa disputa sociologica se in Toscana ci sia stata o meno una «buona acqua di coltura» che abbia favorito la formazione di nuove leve della lotta armata non sembra per ora aver approdato a conclusioni ragionevolmente condivisibili. Che nell’arcipelago dei gruppi di sinistra e dei movimenti antagonisti ormai sia così chiaro e pacifico – come qualcuno è disposto a giurare – il rifiuto di ogni tipo di violenza prevaricatrice e il rifiuto di ogni logica delle azioni armate, ci sembra una constatazione frettolosa e di comodo. Oltre tutto troppi segnali indicano ancora tanti piccoli grigi «maestri» che non rinunciano a inculcare spirito settario, odio e metodi di linciaggio morale degli avversari politici.

I danni incredibili che provocano queste «impostazioni» non suggeriscono titoli cubitali sui mass media, anzi non fanno proprio notizia. Bisognerebbe domandarsi quale «acqua di coltura» alimenta queste «brigate» di «piccoli uomini grigi». E con quali prospettive.

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