Toscana

Così la Regione progetta la salute

DI SIMONE PITOSSIQuasi duecento pagine compongono il Piano Sanitario Regionale 2002–2004 approvato dalla Giunta regionale. La definitiva approvazione – prevista per i primi di aprile – toccherà al Consiglio regionale. Oltre quattro miliardi e mezzo di euro – per la precisione 9.100 miliardi di lire di cui 8.400 per la gestione delle Asl e altri 700 per progetti speciali – sono destinati dalla Regione al piano per il 2002. E questo la dice lunga sull’importanza che riveste per i cittadini toscani: infatti il comparto sanitario assorbe circa l’80% dell’intero bilancio della Regione.«Alla base del nostro impegno – spiega l’assessore al diritto alla salute, Enrico Rossi – saranno gli obiettivi di salute, non la semplice sperimentazione di nuovi modelli organizzativi. È questo il messaggio che intendiamo lanciare con il nostro programma. Non è un Piano di medicina, quanto piuttosto un Piano di salute pubblica: non siamo soltanto noi a dirlo, ma sono proprio queste le parole che ha usato il direttore dell’ufficio europeo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità dopo averlo letto».

Il Piano Sanitario Regionale chiama infatti numerosi soggetti a collaborare alla sua attuazione, partendo dal principio che a determinare la salute sono molti fattori – ambientali, economici, culturali – e non soltanto gli investimenti in sanità. Ecco allora che accanto ai primi protagonisti, i cittadini toscani, sono chiamati a fare ciascuno la propria parte, anche i medici, il personale sanitario, il mondo del volontariato, i sindacati, gli enti locali, il privato e il privato sociale.

Il programma prevede alcune innovazioni. In primo luogo le «Società della salute», organismi che gestiranno l’assistenza extraospedaliera con il coinvolgimento degli enti locali e delle parti sociali e che verrannno sperimentati per tre anni. In secondo luogo, le «holding», che rappresentano la punta più avanzata della seconda fase dell’aziendalizzazione della sanità toscana. «I nostri obiettivi – conclude l’assessore Rossi – sono quelli di fornire risposte sempre più adeguate alle realtà locali e ai bisogni dei cittadini e di risparmiare nella gestione del sistema per investire in assistenza ed in innovazione. Consideriamo la salute un bene che si costruisce e si mantiene con la partecipazione ed il contributo di tutti i soggetti e di tutti i settori. Questo è un Piano che interagisce e che ispira le politiche regionali e locali nel loro complesso. Ci attende un lavoro impegnativo per raggiungere un traguardo ambizioso: migliorare la salute e le condizioni di vita dei cittadini della Toscana».

Non sono mancate osservazioni e critiche al Piano sanitario regionale. Marco Carraresi, capogruppo del Ccd in Consiglio regionale, ha fatto un lavoro di analisi molto approfondito, puntiglioso. E alla fine il giudizio complessivo «non è positivo». «Pur condividendo lo spostamento di interesse verso il “piano per la salute” – osserva – lo sviluppo del Piano evidenzia però un palese contrasto tra le finalità preordinate e le sue concrete attuazioni».

Carraresi risconosce però che nell’elaborazione del piano la Giunta ha proceduto in modo diverso rispetto al passato cercando maggiore collaborazione. «Fino ad oggi – sottolinea – pareri, consultazioni, presentazioni di emendamenti rischiavano di rappresentare solo atti dovuti, che non venivano poi presi minimamente in considerazione dal Governo regionale. Invece, in queste settimane, abbiamo avuto modo di apprezzare un diverso atteggiamento da parte della Giunta di fronte alla proposta di Piano sanitario: non un documento “inemendabile” ma, viceversa, un testo aperto al contributo anche delle altre forze politiche, prime fra tutte quelle dell’opposizione, e di conseguenza capace i recepire numerosi emendamenti».

Ma secondo il capogruppo del Ccd ci sono alcuni elementi critici. Primo fra tutti, le cosiddette «Società della salute». «Numerosi – spiega – sono i punti non chiari e le problematiche che verrebbero introdotte da questo nuovo strumento giuridico: ruolo dei Comuni, configurazione giuridica ed autonomie, scelta degli ambiti territoriali della sperimentazione, coinvolgimento di soggetti che sono anche fornitori di prestazioni, fonti di finanziamento, ruolo per i medici convenzionati e per gli altri operatori sanitari a livello territoriale». Il timore del consigliere regionale è che «questo strumento possa diventare un ulteriore livello burocratico che si frappone fra i servizi e i cittadini». «Non a caso – aggiunge –, su pressione anche di ampi settori della maggioranza che sostiene la Giunta del presidente Martini, è stato deciso di rinviare la definizione delle caratteristiche delle costituende Società della salute ad un successivo atto del Consiglio regionale».Anche l’altra grande novità del piano – la programmazione di area vasta – secondo Carraresi è debole. O anzi controproducente. «Fino ad oggi – osserva – la sanità toscana è stata né più né meno la sommatoria delle strutture e delle attività delle 12 aziende Usl e delle 4 aziende ospedaliere. Parlare perciò di “sistema”, di “rete”, di area vasta appare un’utopia. La realtà vede invece una forte logica aziendale, una migrazione dell’utente tra le diverse aziende sanitarie, nessuna azione significativa di concertazione e di programmi comuni». Tutto ciò, secondo il capogruppo del Ccd, è il frutto delle «logiche di bilancio e di finanziamento delle aziende Usl che impone di raggiungere i numeri per “fare bilancio”». Non solo. «La riconduzione all’Area vasta delle scelte preminenti in materia di istituzione di servizi e di strutture di rilievo regionale – sottolinea – se da un lato migliora la compattezza e la governabilità della programmazione territoriale, dall’altro rischia di relegare a ruoli di contorno e marginali quelle strutture ospedaliere, ed i relativi operatori professionali, che in certe realtà territoriali hanno risposto pienamente alle attese dei cittadini».

Fra gli emendamenti accettati dalla Giunta al testo oridinario ce ne sono alcuni che riguardano il rapporto pubblico/privato che hanno ricadute pratiche sui cittadini. «Importante – conclude Carraresi – è la libertà di scelta del cittadino, proposta dai popolari, di ricorrere alle prestazioni dei produttori accreditati quando la struttura pubblica non è in grado di assicurare le prestazioni, anche prescindendo dai tetti di spesa stabiliti dai contratti, quando vengono superati i tempi massimi di attesa». I limiti stabiliti sono questi: 12 ore per l’urgenza, 72 ore per le priorità, 7 giorni per l’attenzione, 30 giorni per la routine, 4 mesi per i dilazionabili.

Un lavoro altrettanto approfondito sul Piano sanitario regionale è stato fatto dal neonato Osservatorio giuridico–legislativo dei vescovi toscani diretto da mons. Antonio Cecconi. Il lavoro dell’Osservatorio si è soprattutto soffermato sul terzo settore e sul ruolo che deve avere nel campo dei servizi socio–sanitari. «È importante – afferma mons. Cecconi – che sia mantenuto un preciso ordine valoriale quando si vanno ad elencare i seguenti soggetti: istituzioni e servizi pubblici,, terzo settore, privato profit. Tale successione trova fondamento nella finalità sociale e solidaristica del servizio pubblico e del terzo settore, a differenza della legittima finalizzazione al profitto dell’imprenditore privato».

Un distinzione, secondo il direttore dell’Osservatorio, deve essere fatta poi all’interno del terzo settore tra impresa sociale non profit e volontariato. «I vari soggetti di impresa sociale – precisa – hanno un forte ruolo, e vanno tenuti nel debito conto, nella programmazione concertata e nella gestione dei servizi. Mentre il volontariato, che per sua natura non può né deve gestire “servizi”, ha soprattutto il compito di umanizzare i servizi, accompagnare le persone, farsi voce e “avvocato” dei poveri, tenere viva nella comunità una cultura di accoglienza, altruismo e gratuità».

Infine un’osservazione sull’assistenza religiosa. «Per quanto possibile – conclude mons. Cecconi – andrebbero migliorate le opportunità di assistenza religiosa nei luoghi di cura, in un’ottica di servizio alla persona e di vera attenzione alla globalità dei suoi bisogni».

Ecco le principali novità• GLI OBIETTIVI. Sono tre: migliorare la salute e il benessere della popolazione; la soddisfazione e la partecipazione dei cittadini; l’efficienza e la sostenibilità del sistema.

• LE HOLDING. Prende il via la seconda fase del processo di aziendalizzazione delle Unità Sanitarie Locali e delle Aziende Ospedaliere che serve anche ad aggregare alcune delle funzioni delle Asl risparmiando circa il 10% delle spese sostenute oggi, che ammontano a circa 2.000 miliardi l’anno.

• MENO LIVELLI DI GOVERNO. Si rende più snello il governo della salute attraverso l’aggregazione della zona–distretto. Oggi la piramide della sanità toscana è formata da Regione (1), aree vaste (3), Asl (12), Zone (34), distretti (56). Il Piano prevede l’abolizione dei 56 distretti e la creazione delle 34 zone-distretto.

• L’AREA VASTA. Le aree vaste sono tre: quella della Toscana del centro nord, che comprende le Asl di Firenze, Empoli, Prato, Pistoia e le Ao di Careggi e del Meyer; quella della costa che comprende le Asl di Massa Carrara, Lucca, Viareggio, Pisa, Livorno e la Ao di Pisa; quella del centro sud che comprende le Asl di Arezzo, Siena, Grosseto e la Ao di Siena.

• LE SOCIETÀ DELLA SALUTE. Si occupano della gestione della sanità in area locale per la parte non ospedaliera. Verranno sperimentate per 3 anni. Vi partecipano le Asl, i Comuni, le parti sociali (cittadini, associazioni, sindacati, privato e privato sociale), i medici di famiglia. Sono società senza scopo di lucro e hanno l’obbligo di reinvestire i risparmi in migliori servizi o aumento delle prestazioni. Il loro livello territoriale di riferimento è quello della zona-distretto.

• IL COSTO. La manovra totale è da 9.100 miliardi di lire per il 2002.