Toscana

De Rita: poco laici i cattolici in politica

di Andrea FagioliRicorre ad un’immagine tipica dei monaci zen, Giuseppe De Rita, per spiegare la diaspora politica dei cattolici: «Quando qualcuno faceva una domanda ai monaci, loro rispondevano prima facendo il pugno e poi aprendo la mano. Il significato è chiaro: il mondo e la storia sono fatti di periodi in cui, quando la mano è aperta, le dita vanno per proprio conto, la tensione è verso l’esterno, verso l’esplorazione del nuovo. Ogni tanto, poi, si ritorna ad un pugno chiuso, ci si raccoglie in un’identità precisa, si guarda più al proprio interno, ci si compatta».

A De Rita, Segretario generale del Censis, il Collegamento sociale cristiano, nato in Toscana su iniziativa del vescovo di Prato, Gastone Simoni, ha affidato la relazione del primo incontro a livello nazionale dedicato alla «Diaspora sotto esame: per una presenza coerente ed efficace dei cattolici nella società».

De Rita, in questo momento, per i cattolici, la mano è dunque aperta?

«Sì, ma non bisogna per questo sorprenderci. Nella storia del mondo cattolico ci sono periodi di pugno chiuso (com’è stato in un recente passato nell’esperienza di tanti cattolici in politica) e periodi di mano aperta, come questo in cui i cattolici vanno un po’ dappertutto ad esplorare o presidiare nuove realtà. Il problema non è dire diaspora sì, diaspora no. Oggi la diaspora c’è».

E allora, qual è il problema della dispora?

«Il problema è di come la si vive: se in modo nostalgico o attivo. In questo momento mi sembra che l’esplorazione altrove soddisfi più di un nostalgico ritorno al centro. Semmai mi sembra poco attiva la presenza dei cattolici all’interno di altre realtà culturali. I cattolici sembrano sempre in minoranza, senza orgoglio, incapaci di difendere una componente importante della società».

Nessuno dunque intende tornare al pugno chiuso, ma la diaspora è vissuta in modo esasperato, litigioso. Sono più forti i contrasti tra i cattolici dei due schieramenti politici che non tra cattolici da una parte e non cattolici dall’altra.

«Questo mi sembra in qualche modo inevitabile, nel senso che nel mondo cattolico non c’è una dimensione laica ma quasi religiosa delle posizioni, per cui se si parla di pace o di guerra non si ricorre ad una valutazione laica, ma quasi al giudizio di Dio, all’obbedienza ai precetti. “Io obbedisco ai precetti più di quanto non obbedisci te”. In qualche modo manca a questi cattolici la laicità della politica, hanno più voglia di dividersi fra di loro piuttosto che avere forza di convinzione nei confronti dei compagni di strada (le forze politiche in cui sono collocati)».

Si dice che la passione per il bene comune si è andata attenuando tra i cristiani, che ci si impegna nel volontariato ma si resta lontani dalla politica. Questo perché la politica non dà più una grande immagine di sé o che altro?

«È un problema che ha due aspetti. Da una parte la politica è diventata troppo spettacolare per cui pochi hanno voglia di salire alla ribalta, solo i più esibizionisti o chi vuole cogliere il momento di salire sul palcoscenico per dire la sua. Ma chi ha scelto di essere spettatore della rappresentazione non sale sul palco e noi, purtroppo, non abbiamo più processi di partecipazione alla politica, ma abbiamo processi della rappresentazione della politica. Siamo tutti spettatori della politica, non andiamo in una sezione di partito, ma ce ne stiamo davanti al televisore a vedere Porta a porta o Ballarò…. La seconda ragione riguarda il fatto che la passione politica, una volta, aveva l’idea di dare un senso alla marcia positiva di tutta la società. Questa intenzione di dare senso, di dare significato, di dare direzione di marcia era tipica della politica alta. Questo non c’è più: la politica non sa più dare direzione di marcia anche perché la società complessa non trova più nella politica il pubblico gestore della direzione di marcia, non delega più alla politica il dare senso alle cose».

In questa situazione, com’è possibile realizzare una presenza coerente ed efficace dei cattolici nella società? Servono iniziative come questa del Collegamento sociale cristiano?

«Il problema è che noi abbiamo sempre in mente la ricomposizione politica del mondo cattolico. L’impressione mia è che invece bisogna andare su collegamenti di sottosistemi: per esempio sulle reti sociali di protezione della famiglia, del volontariato, su grandi temi internazionali tipo la pace. Bisogna andare per sottosistemi e non su tutto l’insieme, scendere da un piano alto del collegamento a tanti collegamenti di sottosistema».

Nei giorni scorsi, sui giornali, a partire dal «Corriere della Sera» poi ripreso da «Avvenire», si è parlato di «nuova stagione della cultura cattolica». È d’accordo?

«Confesso che mi sembra una piccola moda giornalistica più che una realtà vera. Non mi sembra che ci sia una nuova stagione della cultura cattolica. Non c’è un gruppo universitario di cultura cattolica, non ci sono centri di ricerca dichiaratamente cattolici, non ci sono riviste di approfondimento culturale. Ed anche nella vita della Chiesa dove sono i momenti di ripensamento profondo come quello degli anni ’70 con Evangelizzazione e promozione umana?».

Per cui nemmeno il «Progetto culturale» lanciato dalla Chiesa italiana ha fatto significativi passi avanti?

«Il Progetto rappresentava la volontà di fare un’esperienza fondante, l’origine, la sorgente di una nuova cultura. Finora però, e già questo è un sintomo, non è che abbia prodotto soprattutto in termini di formazione di nuove idee e formazione di nuovi modi di partecipare alla vita della Chiesa».

Cattolici e politica: obbligati alla presenza

Settimana sociale, si riparte dalla Toscana