Toscana

Domenica delle Palme: card. Betori, “la logica del dono si contrappone alla cultura dominante oggi”

La logica del dono che Gesù fa dalla cena pasquale alla morte in croce, è una logica “che si contrappone alla cultura oggi dominante, che si nutre di possesso, di sopraffazione e di violenza”. Lo ha detto l’arcivescovo di Firenze, cardinale Giuseppe Betori, durante l’omelia della messa della domenica delle Palme celebrata oggi nella cattedrale di Santa Maria del Fiore. “La contrapposizione è già dentro il racconto della Passione: alla scena della comunione – ha spiegato Betori – segue subito l’annuncio del tradimento e poi un insegnamento di Gesù sul servizio nella comunità dei discepoli, sulla perseveranza nelle prove e sulla conversione a cui affidarsi nelle fatali fragilità” 

Di seguito l’omelia

Ci affidiamo al racconto della Passione dell’evangelista Luca per entrare nel mistero del sacrificio di Gesù per la salvezza del mondo. Tutto inizia con Gesù e i suoi discepoli nell’ultima cena prima della sua morte. Gesù dà significato nuovo ai gesti della cena pasquale, memoria dell’uscita del popolo dall’Egitto verso la libertà. Gesù annuncia che l’agnello immolato viene sostituito dal suo sacrificio, con cui egli porta in mezzo a noi il regno di Dio. Questo attraverso la comunione con lui, nel segno del pane e del vino fatti suo corpo e suo sangue, una presenza e un dono di comunione, un dono inaudito, con cui il Signore si fa cibo che dà vita a chi vuole diventare una cosa sola con lui. Il dono, come ogni dono, impegna, e l’impegno è che anche noi si diventi dono per i fratelli. Una logica, questa del dono, che si contrappone alla cultura oggi dominante, che si nutre di possesso, di sopraffazione e di violenza. La contrapposizione è già dentro il racconto della Passione: alla scena della comunione segue subito l’annuncio del tradimento e poi un insegnamento di Gesù sul servizio nella comunità dei discepoli, sulla perseveranza nelle prove e sulla conversione a cui affidarsi nelle fatali fragilità. Il tempo della Chiesa sarà sempre tempo della prova, in cui vivere con perseveranza, consapevoli delle nostre fragilità, ma fiduciosi nella possibilità di conversione che il Signore ci offre, per vivere come fratelli gli uni al servizio degli altri. Le parole di Gesù, il suo testamento, sono un vero e proprio programma di vita, personale e comunitario. 

Si passa alle falde del monte degli Ulivi, al luogo della preghiera. La preghiera è ciò che permette a Gesù di vivere l’imminenza della Passione non nell’angoscia ma nella fiducia verso il Padre, che gli risponde con il conforto che gli comunica un angelo. Mentre Gesù prega, i suoi discepoli, invece, vinti dall’angoscia per ciò che si preannuncia, non pregano, cadono nel sonno. Solo la preghiera, da cui giunge l’aiuto divino, permette all’uomo di non soccombere nella prova. Così è per l’umanità di Gesù. Chi non prega, come i discepoli, non riesce a cogliere il significato di quanto sta accadendo. Così che mentre i gesti di Gesù, anche nel momento dell’arresto, restano quelli dell’amore e della cura, i discepoli invece mostrano di condividere ancora la logica del mondo, la difesa di sé e l’uso della forza.

Su Gesù si abbatte «il potere delle tenebre» (Lc 22,53). La passione è l’ora in cui Gesù dona sé stesso, ma è anche l’ora in cui si svela il dominio satanico sul mondo, di cui si fanno strumento i nemici di Gesù. La Passione vedrà esplodere la malvagità che Satana ispira al cuore degli uomini. Ci sarà poi la risurrezione a mostrare però che questo dominio non è assoluto, ma viene vinto dall’amore del Padre che risponde all’amore del Figlio.

Gesù, catturato, viene portato nella casa del sommo sacerdote, dove si consuma il triplice rinnegamento di Pietro, a cui succede il pentimento sotto lo sguardo misericordioso di Gesù. Ogni discepolo deve sapere che nulla lo garantisce dalla fragilità, ma più forte di essa è l’amore del Signore, il cui perdono è capace di muovere a conversione, così che si possa realizzare la missione che ci ha affidato. Nel confronto con il sinedrio emerge il perché della Passione: chi è Gesù? È il Messia e il Figlio di Dio o un impostore. Gesù non si sottrae alla domanda e questo gli costerà la vita: «Tu dunque sei il Figlio di Dio?» (Lc 22,70); «Voi stessi dite che io lo sono» (Lc 22,70). Non tocca a Gesù dire di sé: ciascuno deve dirlo guardando le sue azioni e ascoltando le sue parole. Vale per i membri del sinedrio e vale per ognuno di noi. Non riconoscere in Gesù il Figlio di Dio porta a rifiutarlo e a perseguitarlo. Un dramma che continua nella storia, nella presenza di Cristo che è la sua Chiesa, come pure nell’umanità dei poveri. Ogni giorno si vive nuovamente la passione del Signore. 

Le accuse contro Gesù, di far credere di essere il Messia e di attribuirsi una natura divina, di fronte a Pilato vengono trasformate in accuse di carattere politico: Gesù sarebbe un agitatore del popolo contro il potere romano. Pilato non accetta l’accusa e per ben tre volte proclama l’innocenza di Gesù, opinione condivisa anche da Erode. L’evangelista è interessato a mostrare che la fede in Gesù non deve impensierire il potere civile, perché non si pone come un potere alternativo. Il Vangelo sollecita la presenza nel mondo, ma non agisce secondo i poteri del mondo, pur senza lasciarsi piegare da essi.

Al posto di Gesù, l’innocente, viene liberato un malfattore omicida. E alla fine Pilato, debole, cede alla pressione dei nemici di Gesù e lo consegna alla croce. Lungo il tragitto verso il luogo dell’esecuzione si incontra un uomo, Simone di Cirene, che viene incaricato di portare la croce dietro a Gesù. Aveva detto Gesù: «Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo» (Lc 14,27). Attorno a Gesù si raccoglie poi «una grande moltitudine di popolo e di donne, che si battevano il petto e facevano lamenti su di lui» (Lc 23,27): sulla via della croce Gesù raccoglie attorno a sé un popolo di discepoli. Anche oggi Gesù attrae a sé verso la croce. Infine, Gesù è accompagnato da due malfattori, e in mezzo a loro viene crocifisso. Era stato predetto nel libro di Isaia: «È stato annoverato fra gli empi, mentre egli portava il peccato di molti e intercedeva per i colpevoli» (Is 53,12).

Mentre è in croce, tra l’ironia e gli insulti dei suoi oppositori, Gesù ci lascia tre parole su cui è doveroso meditare. Anzitutto «Gesù diceva: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”» (Lc 23,34). Gesù non si preoccupa di sé, ma di coloro che lo hanno messo in croce e li raccomanda al Padre, chiedendo per loro il perdono. Dio è la sorgente del perdono e della misericordia, a cui uniformare la nostra vita: «Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso» (Lc 6,36). Ma per diventare anche noi misericordiosi, abbiamo bisogno di un cuore disponibile. È quanto manifesta il malfattore, la cui attesa di salvezza è riassunta in queste parole: «Gesù, ricòrdati di me quando entrerai nel tuo regno» (Lc 23,42), quando cioè avverrà il regno di Dio. E il regno di Dio sta avvenendo su quella croce, in quel miracolo d’amore che è la morte di Gesù per noi. Per questo Gesù può rispondere: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso» (Lc 23,43). C’è un orizzonte di pace che si staglia sul Golgota per chi crede nella misericordia di Dio. La risurrezione di Gesù ci farà scoprire come proprio nella sua morte egli compie quel mistero d’amore che apre le porte dell’amore a tutti i peccatori che si lasciano raggiungere dal suo abbraccio.

L’ultima parola di Gesù è un’espressione di abbandono fiducioso: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23,46; cfr. Sal 31,6). Una serena fiducia in Dio colma il cuore di Gesù al momento della sua morte, in perfetta coerenza con il pieno abbandono al Padre che l’ha guidato per tutta la sua vita. Ancora una volta Gesù è modello del discepolo. E lo «spirito» di Gesù, quello che egli consegna al Padre, altro non è che lo Spirito Santo. Al termine della sua missione, Gesù riconsegna al Padre lo Spirito, perché ora venga comunicato come un dono ai discepoli, perché siano in grado di essere i testimoni di lui nel mondo. Dalla croce inizia la nostra missione. 

Giuseppe card. Betori