Toscana

Don Ciotti: Memoria e impegno per una rinascita delle coscienze

«Non è un corteo, non è un evento, non è una manifestazione. È un abbraccio a centinaia di familiari di vittime di mafia». Così don Luigi Ciotti, fondatore e presidente di Libera, presenta le «giornate della memoria e dell’impegno» che si svolgono in questi giorni a Firenze. Un appuntamento ogni anno in una diversa regione d’Italia.

Perché quest’anno è stata scelta Firenze?

«Firenze è la città del Rinascimento nella letteratura, nell’arte, nella musica: per noi è l’augurio di un altro rinascimento, etico, morale, pratico, concreto, per portare il cambiamento fin dalle piccole cose. Un rinascimento delle coscienze di cui abbiamo tanto bisogno. È un mese che giro tutta la Toscana, perché si sceglie ogni anno una regione e una città. Sono anche venti anni dalla strage di via dei Georgofili, l’uccisione della famiglia Nencioni e di un ragazzo siciliano che era venuto a Firenze a studiare, Dario Capolicchio. Ma Firenze anche perché vogliamo ricordare alcuni magistrati molto attenti, molto generosi, in primo luogo certamente Antonino Caponnetto che dopo l’uccisione del giudice Chinnici fece domanda per andare a sostituirlo a Palermo, dove organizzò il pool antimafia, quello con Falcone e Borsellino. Antonino Caponnetto dopo la stragi, a 72 anni, si mise in gioco, girò l’Italia, non c’è associazione, gruppo o scuola che lo abbia chiamato e lui non sia arrivato. Ricordo i suoi funerali. Ho concelebrato la Messa in una grande chiesa di Firenze. Una marea di gente, soprattutto giovani. Vogliamo ricordare un altro magistrato, Gabriele Chelazzi, che un infarto ha stroncato mentre stava lavorando su indagini molto complesse e difficili. E penso anche a Pierluigi Vigna che è stato alla direzione nazionale antimafia per un lungo periodo. Siamo qui per sottolineare le cose belle, importanti, positive, la stima e la riconoscenza per tante realtà, la bellezza di questa regione… E qui giungeranno da varie parti d’Italia migliaia di persone nella giornata della memoria e dell’impegno. Perché il miglior modo di fare memoria è quello di impegnarci di più tutti».

Uno dei momenti di queste giornate è proprio il ricordo dei nomi, delle persone che hanno combattuto la mafia o che sono state uccise dalla mafia. Perché?

«Ricordo un anniversario della strage di Capaci, a Palermo. Gli oratori dicevano: siamo qui per ricordare la strage del giudice Falcone e i ragazzi della scorta. Vicino a me c’era una donna con il suo foulard nero che singhiozzava continuamente  e a un certo punto mi prende la mano e mi dice: ma come mai non dicono mai il nome di mio figlio? Il figlio di quella signora era Antonio Montinaro, che assieme a Rocco Dicillo e a Vito Schifani sono morti quel giorno con Falcone e la moglie Francesca Morvillo. Erano tre ragazzi pugliesi, andati nell’adempimento del loro dovere a morire in terra di Sicilia. Abbiamo capito che per una mamma, per un papà, per un figlio, per le persone care è importante sentire il nome che risuoni forte. E poi non dimentichiamoci che sono tutti morti per la stessa ragione: per la democrazia e per la libertà nel nostro paese».

Sono proprio loro, i familiari delle vittime, i protagonisti delle giornate fiorentine.

«Sono più di 600 familiari, in rappresentanza di alcune migliaia. Siamo riusciti a mettere insieme questo pezzo d’Italia per dare forza, dignità e soprattutto per trasformare quelle ferite in impegno e speranza. Dico una cosa, che è una pagina che ci parla della resurrezione, quella concreta… Chi è che va nelle carceri minorili ad incontrare i ragazzi che sono in carcere? Ci vanno i familiari delle vittime di mafia. Ho presente ad Isida, nel cortile del carcere, la mamma di una vittima della camorra, che a un certo punto mi dice: “don Luigi mi stia vicino, vede quel ragazzo che sta venendo verso di noi? È quello che ha ucciso mio figlio. Quando ho visto dove è nato, dove abita, la famiglia che ha, ho deciso di seguirlo… Certo deve pagare per le sue responsabilità. Ha ucciso mio figlio. Ma io mi sono chiesta: dove va quando esce questo ragazzo?” E penso a tanti altri, come questa mamma: è una delle cose più belle, esser disposti a perdonare chi ha ucciso le persone a loro più care».

Lei ha detto che le radici delle mafie sono al Sud, ma i rami e i frutti arrivano in tutta Italia. Anche in Toscana?

«La Toscana è una terra che ha e ha avuto una presenza mafiosa. È vero, le radici della mafia arrivano dalla Sicilia, dalla Calabria, dalla Campania, soprattutto. Però questo albero che è la mafia i frutti li fa soprattutto al Nord, dove è possibile investire il denaro, nei luoghi più belli e prestigiosi. La Toscana è anche una regione che nell’arco di questi anni ha saputo reagire, avere gli anticorpi. Però attenzione perché questo non basta. Perché la capacità di penetrazione nelle fessure della società, oggi più che mai, della criminalità organizzata e delle mafie è sempre forte. E soprattutto nei momenti di crisi economica e finanziaria le mafie fanno un po’ da banca. Ho visto un recente rapporto sull’usura in Toscana: usura in mano alla criminalità organizzata che presta denaro alle piccole e medie imprese. Bisogna prendere coscienza che il problema c’è, che i beni confiscati sono una piccola cosa di quello che si potrebbe andare a confiscare. Un’operazione contro la camorra è avvenuta proprio in questi giorni: un bar in piazza Pitti, a Firenze, in mano alla camorra napoletana… E poi il problema è anche un altro. Quando ci sono persone che fanno uso di stupefacenti quel mercato è un mercato di mafia. Sfruttamento della prostituzione. Il mercato del doping. Forme di usura. Ma penso anche ad altre forme, nelle imprese, negli appalti, nell’agroalimentare… anche la Toscana è toccata da queste cose».

Siamo in una situazione politica particolare. Che impegno chiede a chi oggi è nelle istituzioni?

«La più grande definizione di politica la fece Paolo VI, ripresa da Pio XI: la politica come la più alta ed esigente forma di carità. Proprio perché è un servizio al bene comune. Allora da cittadino, che non sta alla finestra a guardare, vorrei vedere un cambiamento nel paese. Mi sembra di dover alzare il tono della voce per dire che chi oggi è impegnato in politica, che arrivi da movimenti o che arrivi da altre formazioni già consolidate, non si dimentichi che la politica è un servizio per il bene di tutti. Allora dobbiamo spogliarci di tanti meccanismi che non permettono di realizzare veramente un servizio per la collettività. Ci sono molti egoismi, individualismi. Abbiamo visto e toccato con mano nell’arco di anni una politica distante dai problemi della gente. E quando la politica è distante dai poveri, dagli ultimi, dai bisogni delle persone, quella non è politica, è un’altra cosa. Bisogna che torni una politica non solo trasparente, ma anche di contenuto, di sostanza, di servizio. Ci troviamo in una situazione difficile. In questa crisi economica a pagare di più sono alle fasce più povere. C’è tanto impoverimento, tanto smarrimento, tanta povertà che cresce. Se la politica non è in grado di trasformare le paure delle persone in speranze, è una politica senza speranza».

Anche nella Chiesa si vive un momento particolare…

«C’è un cambiamento che si respira nella società e c’è stata una scossa anche nella Chiesa. Ho apprezzato l’umiltà di Benedetto XVI. Perché non è di tutti riconoscere i propri limiti fisici. Mi sembra un segno di grande umiltà e anche di intelligenza il mettersi da parte. Ma attenzione che è anche un segnale inquietante perché se attorno c’è chi sostiene, chi fa la propria parte, ti viene meno quella fatica e quella solitudine. Quindi qualcosa è mancato in quella dimensione. Ma lo dico da sacerdote appassionato, che ama la Chiesa anche se poi mi ci arrabbio anche tante volte. Questo segnale deve scuotere. Abbiamo bisogno di aria fresca, di pastori, che la macchina della Curia torni all’essenziale. Non voglio generalizzare, non è giusto. Bisogna far emergere il positivo che c’è. La meraviglia di una Chiesa sparsa per il mondo. Penso ai missionari in terre sperdute, nell’essenzialità, nella povertà, nella testimonianza cristiana. E mi hanno colpito le parole del Papa che ha detto: vi chiedo umilmente perdono per i miei tanti difetti. E che ha detto anche: lo faccio per amore alla Chiesa. La Chiesa deve portare avanti un processo di purificazione dai poteri economici, politici. Una Chiesa più povera: Dio si è fatto uomo, è entrato nella storia nell’assoluta essenzialità. Ma lo dico con rispetto, perché sento la gente, sulla strada… Vedo i loro giudizi e il loro allontanarsi. Una Chiesa profetica, perché la Chiesa o è profetica o non è Chiesa. E vuol dire abitare questo tempo, insieme, leggerlo. Quanti recinti nella Chiesa, quante barriere, quanti cenacoli, quanti gruppettini… E vedo anche tanti che dicono: bisogna difendere la Chiesa… Ma non perdiamo tempo! A difendere la Chiesa ci pensi lo Spirito Santo. Noi siamo chiamati a difendere i poveri, gli ultimi, quelli che fanno fatica, ad imparare il coraggio di stare da quella parte. È quello che il Signore ci ha insegnato. La parola di Dio è spesso difficile, scomoda, provocante. Ma la Chiesa non è in funzione di se stessa, del suo apparato, è al servizio».