Toscana

Due ragazze in affidamento: «Un regalo anche per noi, scelte che si fanno col cuore»

Un’esperienza nata in maniera spontanea, come un seme che trova il terreno giusto e che porta frutti inaspettati: «Non l’abbiamo cercata, è successo. E ci sta donando moltissimo». Mauro e Isella Conticini hanno iniziato oltre 15 anni fa un percorso di affidamento familiare con due bambine, Debora e Sharon – oggi due giovani donne – che avevano bisogno di trovare un ambiente familiare sereno in cui crescere, mantenendo i contatti con i loro genitori naturali che per vari motivi non avevano la possibilità, in quel momento, di prendersi cura di loro.La data in cui in Italia si celebra la Giornata nazionale dell’affido (il 4 maggio, giorno in cui nel 1983 fu promulgata la legge che regolamenta questo istituto giuridico) offre l’occasione per ripercorrere questi anni, e per raccontare cosa significa essere famiglia affidataria. «Possiamo dire – spiega Isella – che la nostra è un’esperienza coerente con la nostra storia. Come coppia, e poi come famiglia, abbiamo sempre avuto l’idea che fosse importante l’essere aperti, l’accoglienza, siamo cresciuti con questa formazione. Io poi vengo anche da un’esperienza familiare che forse mi ha segnato in questo senso, mio babbo era un figlio adottivo. Ci sono state tante cose che probabilmente hanno maturato misteriosamente dentro di noi». Nella loro storia c’è il cammino insieme nella parrocchia di Bibbiena, in Casentino, che li vede impegnati anche da sposi: «Eravamo conosciuti come una famiglia che si dedica volentieri ai bambini, sia nell’oratorio, sia accompagnando un gruppo di ragazzi in montagna durante l’estate». Mauro e Isella avevano già due figli, che stavano crescendo, Luca e Gabriele: «Non avevamo – sottolinea Mauro – un vuoto da riempire, vivevamo già l’esperienza di genitori. Diciamo che questa opportunità, che non abbiamo cercato, ci ha permesso di scoprire un modo nuovo di vivere la genitorialità in maniera più gratuita». Un’opportunità che si è manifestata attraverso l’assistente sociale della Asl di Bibbiena. Fu lei a chiedere la possibilità di inserire nell’oratorio due sorelle di 6 e 9 anni che avevano bisogno di socializzazione. «Vivevano isolate, a causa delle difficoltà che stava vivendo la loro madre. Abbiamo iniziato a conoscerle portandole tre volte a settimana all’oratorio. È nata una grande empatia, si vedeva che avevano bisogno di stare con gli altri, di essere riconosciute». Così è passata l’estate, con il campo in montagna: «A settembre ci è stato chiesto di continuare a seguirle, a stare con loro».Pian piano questo rapporto si è fatto più frequente, più importante: le difficoltà della famiglia di origine stavano aumentando, e per le due bambine era sempre più necessario avere dei punti di riferimento esterni. «L’assistente sociale ha iniziato a parlarci dell’affidamento familiare, ci ha illustrato tutte le difficoltà che potevano esserci ma anche i vantaggi di un rapporto che veniva in qualche modo regolamentato e formalizzato». Si è trattato di un affidamento consensuale, che vedeva l’accordo con i genitori naturali: una forma sicuramente più semplice e facile da gestire rispetto alle situazioni (purtroppo più frequenti) in cui l’affidamento è imposto dal tribunale dei minori, contro la volontà della famiglia d’origine.«È stato un percorso graduale – racconta Isella – in cui le bambine hanno avuto all’inizio un loro spazio in casa, poi pian piano si sono stabilite in maniera più continuativa. Non hanno mai interrotto però il rapporto con i loro genitori naturali. Questo è stato anche complesso, a volte le ha messe in difficoltà: crescendo però hanno trovato il loro modo di vivere le varie relazioni». C’era il pericolo che potessero sentirsi in colpa di non restare vicino alla madre nelle sue difficoltà: «Abbiamo cercato di aiutarle a capire che non potevano farsi carico di problemi più grandi di loro».Nel loro caso l’affidamento, che di sua natura è temporaneo, si è prolungato: «È una cosa anomala, ogni anno l’assistente sociale fa una relazione, e ogni scelta viene presa nell’interesse del minore». Isella ricorda le riunioni a cui ha partecipato al Centro affidi di Arezzo, in cui si è potuta confrontare con le esperienze di altre famiglie, con affidamenti non consensuali, stabiliti dal tribunale, che in genere si concludono dopo periodi più o meno lunghi: «La nostra storia è particolare – spiega – la famiglia di origine ha sempre riconosciuto il nostro ruolo, molte cose le abbiamo decise insieme». Per questo l’esperienza è proseguita, e dura ancora che Debora e Sharon sono ormai cresciute, e hanno 22 e 25 anni: «Noi non ci eravamo dati un limite – spiega Mauro – e quando hanno sono diventate maggiorenni abbiamo chiesto loro: cosa facciamo? Cosa volete fare? È stata la più piccola a dire, in maniera molto naturale: “Non si può restare qui?” e così è stato».Un aspetto importante, sottolineano Mauro e Isella, è stato anche il coinvolgimento dei figli, Luca e Gabriele, che quando sono arrivate le bambine erano già grandi. «Per loro non era una cosa banale, avrebbero dovuto cambiare le loro abitudini. Dovevamo costruire questa cosa insieme a loro, ed è stato bello che l’abbiano condivisa». È stato un bel regalo, questo, anche per le due sorelline: «Mentre era complicato, per loro, dover gestire la cosa di avere due babbi o due mamme, era molto più naturale avere due nuovi fratelli maggiori, o dei nuovi nonni: tutte figure che si aggiungevano e che diventavano importanti per loro».Adesso che iniziano a vivere l’età adulta, le difficoltà non mancano: «Il vissuto che hanno avuto, soprattutto nei primi anni, le ha segnate. Il contesto sociale però le ha aiutate, a partire dalla parrocchia, dall’oratorio dove i nostri figli erano animatori. Le nostre amicizie ci hanno dato una mano, tante coppie ci hanno passato vestiti per loro quando erano piccole o ci hanno aiutato quando c’era da accompagnarle da qualche parte. Possiamo dire che tutta la comunità le ha accolte, insieme a noi». Crescendo ci sono state le difficoltà dell’adolescenza: «Sono ragazze fragili, ma non più di altri loro coetanei». Adesso stanno lavorando: «Le vedo realizzate – afferma Isella – vedo che pian piano trovano la loro strada. La più grande gestisce una piccola azienda agricola, insieme al nostro figlio più grande. La più piccola è in una cooperativa, ha fatto fatica a scuola ma vedo che se la cava. Forse per tutto quello che hanno passato, vedo che sono molto attente nel riconoscere la debolezza degli altri, a volte anche troppo, rischiando di farsi coinvolgere».Guardando indietro, adesso, come appare questo percorso? «Un’esperienza di amore gratuito che è stata un bel regalo fatto a Sharon e Debora ma anche a noi, e a Luca e Gabriele, che hanno potuto toccare con mano cosa significa avere a che fare con persone che vanno ascoltate, accolte, amate». L’esperienza dell’affidamento – a differenza dell’adozione – ti porta a occuparti di bambini e ragazzi che non sono «tuoi»: questa, sottolinea Mauro, «è la bellezza e la difficoltà, devi imparare la gratuità vera. È stato anche faticoso, rimettersi in gioco quando i figli erano ormai grandi, ritrovare tanti impegni, seguire le ragazze nella scuola…»«Sono scelte – aggiunge Isella – che non fai con la razionalità, le fai col cuore, perché c’è un seme che sboccia. Oggi Sharon e Debora le sento come figlie mie, a tutti gli effetti. Personalmente questa cosa mi sta dando l’idea della positività della vita. Ci sono stati momenti difficili, ma c’è sempre stato il sole il giorno dopo. Vedo molta luce, ho molta fiducia». Per Mauro e Isella, la scelta è nata anche con motivazioni di fede: «Ci siamo confrontati fin dall’inizio con il magistero della Chiesa, trovando sempre conforto. All’inizio, 15 anni fa, la Chiesa era forse più distante da quello che stava accadendo alla famiglia. Poi abbiamo visto un’apertura, un’attenzione alla bellezza e alle fragilità della famiglia che ci ha dato spinta. Certamente ci ha sempre dato fastidio sentirci dire “come siete bravi”: il messaggio che vorremmo dare è che tutti possono farlo, se hanno le condizioni».