Toscana

E la casalinga Alessandra fa i conti con le zucchine

di Ennio CicaliIl fattore «Z» ha rischiato di destabilizzare i bilanci delle famiglie italiane. Dove «Z» sta per zucchine. «Solo che a noi le zucchine piacciono poco, se le compro è solo per fare una frittata ogni tanto – dice Alessandra, casalinga, 2 figli di 12 e 2 anni, il marito tecnico a 1600 euro il mese – Ma ovunque mi giro vedo solo aumenti. Non c’è che l’imbarazzo della scelta». In effetti, gli aumenti sono generalizzati, dai generi alimentari all’abbigliamento, dalle tariffe alla ricreazione.

«Il giorno di riscossione dello stipendio – continua – prendiamo delle buste e cominciamo la divisione: mutuo, condominio, retta asilo per il più piccolo, mensa per la figlia più grande, benzina e trasporti, bollette. Poi vengono i consumi alimentari, spese farmaceutiche, abbigliamento. Per ultime le buste destinate alle spese varie (fine settimana, pizzeria), vacanze. Ma da qualche tempo restano desolatamente vuote».

Una storia tra le tante di una famiglia-tipo italiana alle prese con l’aumentato costo della vita. Una storia che accomuna lavoratori e pensionati. Gli istituti di statistica, Istat per l’Italia e Eurostat per l’Europa, continuano a registrare una crescita contenuta dei prezzi, se non addirittura in diminuzione come sembra stia accadendo per ortaggi e frutta. Ma tutti i sondaggi danno un risultato opposto: gran parte delle famiglie italiane sente che il potere d’acquisto sta progressivamente diminuendo; molti lamentano rincari per quasi tutti i generi, altri attribuiscono ancora al cambio da lira a euro la responsabilità di amplificare l’inflazione.

Chi ha ragione? È solo un fenomeno massmediatico – come se la colpa fosse dagli organi di informazione – è fondata la percezione di gran parte dei consumatori italiani dei prezzi in crescita o le statistiche non seguono le variazioni?L’allarme inflazione, nonostante i dati ufficiali, non solo non rientra ma si aggrava. A subire il danno maggiore sono soprattutto i lavoratori dipendenti e i pensionati. Al riguardo merita di essere segnalata un’inchiesta del «Corriere della Sera» che, senza citare il passaggio all’euro e mettendo in fila buste paga lorde complessive e inflazione ufficiale, attesta come dal 2001 al 2003 l’Italia del lavoro si sia impoverita: meno 13,3% il potere d’acquisto degli impiegati, calo del 9,3% per quello degli operai. Con una netta accelerata negli ultimi 12 mesi di quel 13,3% perso dagli impiegati quasi metà, il 6,2%, è andato in fumo nell’ultimo anno. Per gli operai l’erosione del 2003 è stata del 4,3% sul 9,3% totale.

Febbraio è stato un mese tormentato per la rilevazione dei prezzi. Prima i dati delle città campione registravano una crescita del 2,3% su base annua contro il 2,2% di gennaio. Poi l’Istat aveva corretto quel dato al rialzo e parlato di un +2,4%. Infine, la stima definitiva, sempre dell’Istat, ha riportato il costo della vita al +2,3%, dato confermato anche per marzo. Il dato tendenziale è tornato quindi a essere quello iniziale, a causa del gioco degli arrotondamenti e della riduzione delle accise applicate dai comuni del centro-nord sulle tariffe del gas. La sostanza, però, non cambia: per quanto l’inflazione segni un rallentamento resta sempre superiore a quella di altri paesi europei. Anzi, proprio l’Istat ha avvertito che a febbraio si è interrotta la fase di calmiere dei prezzi, iniziata a settembre dello scorso anno. Colpa della benzina, tornata ai livelli record del marzo 2003, penalizzando tutto il settore dei trasporti e gran parte delle merci viaggia su gomma. Ma neanche gli alimentari scherzano, con frutta e ortaggi che, rispetto al febbraio dello scorso anno, costano rispettivamente il 6,9 ed il 10,4% in più. Accompagnati dai tabacchi, che negli ultimi 12 mesi hanno registrato un incremento del 9,4%. E non è finita, dal momento che recentemente per molte marche di sigarette è scattato un aumento di circa 20 centesimi che ha portato il prezzo medio del pacchetto oltre i 3 euro.

«Tante cifre, tante percentuali, guarda gli ortaggi, per qualcuno diminuiscono per altri crescono – conclude Alessandra – il fatto è che alla fine del mese non ci si arriva più».

Il «balletto» degli stipendi tra Istat e ConfindustriaLe buste paga non riescono a stare dietro all’inflazione, i lavoratori perdono potere d’acquisto a vista d’occhio. L’anno scorso, per il quinto anno consecutivo, se si eccettua il 2001, l’indice delle retribuzioni è stato inferiore al tasso di inflazione. Nel 2003, secondo l’Istat, gli stipendi lordi sono aumentati in media del 2,1 per cento. mentre l’aumento dei prezzi è stato del 2,6 per cento. Nel quarto trimestre si è avuto un leggero recupero: le retribuzioni sono cresciute del 2,4 per cento sullo stesso trimestre dell’anno precedente, ma l’aumento non è stato sufficiente a coprire l’inflazione reale.

Secondo la Confindustria, invece, le retribuzioni contrattuali, tra il 1996 e il 2003, hanno tenuto il passo con l’inflazione. Sono cresciute del 21,1% contro il 20,1 dei prezzi al consumo, mentre le retribuzioni di fatto sono aumentate dell’1% in media l’anno.

Figlio mio… quanto mi costi!