Toscana

Economia: Confcommercio Toscana, “incognita Natale, consumi a rischio”

Quello 2020 sarà un Natale in tono minore per molti toscani. E, per la prima volta, la nostra regione potrebbe registrare performance di consumi più contenute rispetto alla media nazionale. Lo prevede Confcommercio Toscana: sette persone su dieci non rinunceranno a fare regali, ma spenderanno “solo” 162 euro, due euro sotto alla media nazionale di 164 euro. A Natale 2019 la spesa dei regali per i toscani si era attestata intorno alle 175 euro, sei euro in più della media nazionale. Tra i prodotti da mettere sotto l’albero i toscani sceglieranno le specialità enogastronomiche, articoli di tecnologia e arredo casa (dallo stereo nuovo a pc o lampade da scrivania), poi capi di abbigliamento comodi e informali, dalla tuta a maglie e scarpe da ginnastica. Tra i regali meno impegnativi: libri e profumeria. In generale, si doneranno più oggetti che “esperienze”, segnando la drastica diminuzione dei classici voucher per viaggi, benessere o cene al ristorante. Prevista in calo anche la spesa complessiva del Natale, comprensiva di pranzi e cene delle feste: probabile un -8%, che porta a 1.176 euro la cifra generale per famiglia, con una perdita di ben 102 euro (era di 1.278 euro nel 2019). 

Le cause? “Ristoranti e pizzerie ancora chiusi al pubblico, poi le forti limitazioni nel numero degli invitati anche nelle case private sono fattori che incidono negativamente sulla spesa”, spiega il direttore di Confcommercio Toscana Franco Marinoni, “le famiglie toscane non rinunceranno a trattarsi bene a tavola ma un conto è preparare un cenone per tanti ospiti, un conto farlo per sole 4 o 6 persone: meno portate, meno effetti speciali e un po’ più di essenzialità”.  “I consumi complessivi calano poi per altri fattori”, prosegue Marinoni, “mancano le occasioni sociali in cui sfoggiare nuove ‘mise’ e questo demotiva all’acquisto di prodotti di moda e di pelletteria, ma anche ad andare dal parrucchiere o dall’estetista una volta in più del necessario. Poi resta la motivazione più profonda: la Toscana ha un’alta vocazione turistica, ora che il turismo è scomparso da mesi manca uno degli ingranaggi essenziali della nostra economia. E i bilanci familiari ne risentono: la cassa integrazione ha ridotto stipendi e tredicesime, il lavoro di tanti professionisti e imprenditori si è contratto”.  “Lo shopping natalizio in genere si apriva a metà novembre, quest’anno in Toscana siamo in fortissimo ritardo a causa del “balletto dei colori”: praticamente siamo partiti domenica 6 dicembre, con l’ingresso in zona arancione. E ci si è messo di mezzo pure il maltempo a fiaccare l’entusiasmo. Come si dice in questi casi: ha piovuto sul bagnato”, sottolinea la presidente di Confcommercio Toscana Anna Lapini. “Non ci diamo per vinti, in ogni caso”, prosegue, “abbiamo abbellito negozi e vetrine, cercando di trovare proposte originali e con il giusto rapporto qualità-prezzo per dare il meglio ai nostri clienti. Sono certa che la voglia di regalare e di regalarsi il calore delle festività non mancherà neppure quest’anno, ma non so se basterà a salvare il Natale, che per alcune imprese vale fino al 50% del fatturato annuo”. 

Fondamentale sarà l’alleanza con i consumatori, invocata da più parti: “sono grata alle istituzioni, in primis le Amministrazioni Comunali, che hanno lanciato campagne di sensibilizzazione all’acquisto nei negozi sotto casa, così come ha fatto la nostra Confcommercio”, dice Anna Lapini, perché una grande incognita resta quanto del budget per i regali dei toscani sarà assorbito dal commercio elettronico. Lo shopping parte da una scelta anche etica da ponderare bene, visto che ad illuminare le nostre città sono i negozi fisici, non i colossi internazionali dell’e-commerce, ai quali del territorio non interessa affatto”. Forte è la preoccupazione di Confcommercio Toscana per il settore moda. “Negozi di calzature e abbigliamento sono rimasti chiusi fino al 5 dicembre compreso, perdendo tutto il beneficio del black Friday e dei primi acquisti invernali”, dice la presidente di Federazione Moda Confcommercio Toscana Federica Grassini, “questo mentre le grandi piattaforme del commercio elettronico spingevano le loro campagne promozionali. Il rischio è che chi voleva comprare qualcosa lo abbia fatto sul web nelle lunghe giornate chiuso in casa. Forse ai nostri negozi restano solo le briciole, senza contare il fatto che sono venute meno tante motivazioni all’acquisto: smart working, niente feste, niente serate con gli amici, uscite ridotte all’osso”. C’è timore anche per il futuro della ristorazione: “i pubblici esercizi sono purtroppo tra le imprese più colpite dalla crisi economica scatenata dalla pandemia”, conferma il direttore Franco Marinoni. “Le città si sono svuotate: mancano i turisti, mancano i dipendenti pubblici in smart working, manca soprattutto la possibilità di accogliere clienti nei locali, che è la prima e più vera vocazione del settore. Asporto e consegne a domicilio non recuperano che il 20-30% del fatturato, nei casi migliori. Ma vivere solo di queste significa rivedere drasticamente l’attività e ridimensionare il personale. E poi chi faceva catering, banchetti e cerimonie non può certo riciclarsi così. Per i 22mila pubblici esercizi toscani il destino è davvero incerto”. Negli ultimi anni, il numero di toscani che consumavano pranzo e cene delle feste al ristorante era in continuo aumento: nel 2019 almeno 360mila toscani erano stati in un locale per il pranzo di Natale, spendendo una cifra media di 45 euro a testa. “Numeri che il Covid ha tragicamente spazzato via”, commenta il presidente della Fipe-Confcommercio Toscana Aldo Cursano, “quest’anno il pranzo di Natale sarà consentito solo nelle zone gialle, quindi nel 30% del Paese. E i ristoranti aperti avranno comunque circa il 50% dei coperti in meno per il distanziamento. Se ci si mette anche la poca voglia di uscire della gente, saremo fortunati a stare intorno alle 140mila presenze, sempre che la Toscana torni ad essere gialla”. “A livello italiano”, aggiunge Cursano, che è anche vicepresidente nazionale di Fipe, “passiamo da 4 milioni di persone servite a nemmeno 800.000. E perdiamo totalmente i 5 milioni di clienti che vivevano l’ultimo dell’anno nei locali con gli amici e le persone care. Di questo passo muoiono la convivialità e la socialità. Poi è chiaro che si vendono solo pantofole, pigiami e tute: alla gente non interessa più uscire di casa. Ed è chiaro anche che si fa il gioco dell’online. Una contraddizione per chi come noi vuole valorizzare il Made in Italy e la relazione umana e chi fa il gioco di Amazon. E Amazon ringrazia i nostri Dpcm e l’Italia”. Per Cursano, le nuove misure restrittive per le festività natalizie sono “una condanna a morte. In questo modo si chiude un 31 dicembre con un profondo rosso per tutte le attività legate al terziario, perché sono state limitate o chiuse. Il mondo del terziario vive sul ‘fuori casa’ e non sta in piedi se le persone non possono uscire. Dicembre – insiste – è il mese in cui, a condizioni normali, si salva l’anno e in questo momento, con oltre nove mesi di chiusura o di pochissima attività alle spalle, diventa un elemento fondamentale per salvare almeno una parte delle imprese della ristorazione. Ma si continua a non farlo. E questa è una responsabilità politica grossa come una casa”, prosegue. “Per noi e per le nostre famiglie, che viviamo di questo, la sicurezza e la salute sono da sempre al centro del lavoro. La nostra missione è quella di far star bene le persone, non certo male. Quindi non è più tollerabile continuare a vedere che vengono spostate responsabilità nei confronti di chi come noi ha ruolo di educatore alimentare”, prosegue con amarezza, “noi che abbiamo investito in sicurezza e che ci siamo indebitati ulteriormente per creare maggiore sicurezza formando i nostri ragazzi, abbattendo il numero dei coperti, creando una nuova modalità di organizzazione della cucina, rivedendo i menu e circoscrivendo ogni ipotesi di rischio”.