Toscana

Giornata mondiale dei poveri: card. Betori, con difficoltà pandemia riemergono diffidenze, particolarismi e individualismi

“Le calamità segnalate da Gesù hanno preso il volto di una pandemia che fatichiamo a vincere e di fronte alla quale, dopo un primo tempo di condivisione e di corresponsabilità, stanno ora riemergendo diffidenze, particolarismi, individualismi”. Lo ha detto l’arcivescovo di Firenze cardinale Giuseppe Betori nel corso dell’omelia pronunciata alla Messa celebrata nella chiesa di San Piero in Palco in occasione della V Giornata mondiale dei poveri. L’arcivescovo ha proseguito citando le parole di Papa Francesco: «Se i poveri sono messi ai margini, come se fossero i colpevoli della loro condizione, allora il concetto stesso di democrazia è messo in crisi e ogni politica sociale diventa fallimentare. […] La povertà, al contrario, dovrebbe provocare ad una progettualità creativa, che consenta di accrescere la libertà effettiva di poter realizzare l’esistenza con le capacità proprie di ogni persona». “Stanno qui i presupposti per un vero cambiamento del paradigma che governa lo sviluppo, l’economia, la vita sociale, la stessa democrazia”, ha aggiunto Betori.

Di seguito l’omelia del cardinale Betori

Il vangelo che abbiamo proclamato è parte del discorso con cui Gesù, secondo i vangeli sinottici, conclude la sua predicazione prima di affrontare la Passione. In questo discorso Gesù usa un linguaggio apocalittico, in cui si offrono immagini dei tempi finali della storia, non però per dirci che cosa accadrà alla fine, bensì per offrire una chiave di lettura del senso ultimo della storia di tutti i tempi. Si descrive la fine, ma ci si riferisce all’oggi.

E della storia di sempre i testi apocalittici affrontano l’interrogativo più doloroso: lo scandalo della presenza del male nel mondo. Daniele lo definisce «un tempo di angoscia» (Dn 12,1); per Gesù sono giorni di «tribolazione» (Mc 13,24). Li aveva descritti prima, in questo stesso discorso, come giorni segnati anzitutto dalla distruzione del Tempio di Gerusalemme e poi dalla presenza di ingannatori, che usurpano persino il suo nome per presentarsi come salvatori dell’umanità, e di falsi profeti, che cercano di conquistare il consenso della gente con gesti prodigiosi; giorni di persecuzioni, che si abbattono sui discepoli di Gesù e che giungono fino a distruggere i legami familiari; tempi di guerre e devastazioni che insanguinano il mondo, di catastrofi cosmiche e di catastrofi umanitarie come carestie e calamità, del manifestarsi addirittura dell’empietà negli spazi sacri. Le parole di Gesù sono sguardo severo ma realistico della condizione dell’uomo nel tempo, anche in questi nostri tempi. Ne soffriamo in particolare proprio in questi giorni, in cui le calamità segnalate da Gesù hanno preso il volto di una pandemia che fatichiamo a vincere e di fronte alla quale, dopo un primo tempo di condivisione e di corresponsabilità, stanno ora riemergendo diffidenze, particolarismi, individualismi. Di fronte all’infuriare delle onde sembra entrare in crisi la consapevolezza che stiamo tutti sulla stessa barca e si diffonde l’idea che ognuno possa prendere la propria scialuppa e avventurarsi da solo nel mare, ovvero che le indicazioni che vengono date per mantenere una rotta ragionevole siano violenza alla libertà e non sagge misure di condivisione per evitare il disordine.

Quel che più preoccupa è che nella pandemia vengono a riemergere quei segnali di involuzione culturale che hanno segnato sempre più gli ultimi tempi dell’umanità, indirizzata improvvidamente sugli orizzonti dell’individualismo, dell’affermazione di sé, di una libertà senza riferimenti valoriali, giungendo a minare i fondamenti della identità sessuale, della famiglia, della vita. Sono le stesse scelte di regressione dell’umano che stanno alle radici della povertà nel mondo, esito di sistemi economici e sociali basati sull’ingiustizia, a sua volta effetto del prevalere dell’avere sull’essere e della chiusura di individui e popoli di fronte agli appelli alla fraternità. A questo vuole richiamarci oggi il Papa nella celebrazione della V Giornata Mondiale dei Poveri. Riproponendo la parola di Gesù: «I poveri li avete sempre con voi» (Mc 14,7), egli ci ricorda che «la loro presenza in mezzo a noi è costante, ma non deve indurre a un’abitudine che diventa indifferenza, bensì coinvolgere in una condivisione di vita che non ammette deleghe» (Francesco, Messaggio per la V Giornata Mondiale dei Poveri – 14 novembre 2021, n. 3). Questa condivisione ci è chiesta perché «il primo povero è Lui [Gesù], il più povero tra i poveri, perché li rappresenta tutti» (Ivi, n. 1), per cui «i poveri sono sacramento di Cristo, rappresentano la sua persona e rinviano a lui» (Ivi, n. 3). La condivisione che ci chiede Papa Francesco non si ferma alla sola azione solidale verso i poveri, ma implica un distacco dai beni che ci faccia vicini a chi è nel bisogno. Scrive ancora il Papa: «Se non si sceglie di diventare poveri di ricchezze effimere, di potere mondano e di vanagloria, non si sarà mai in grado di donare la vita per amore; si vivrà un’esistenza frammentaria, piena di buoni propositi ma inefficace per trasformare il mondo» (Ivi, n. 4). Trasformare il mondo richiede inoltre che si diventi consapevoli delle «forme di disordine morale e sociale che generano sempre nuove forme di povertà» (Ivi, n. 5). Da questa consapevolezza deve scaturire un ribaltamento della considerazione che si ha della povertà: «Se i poveri sono messi ai margini, come se fossero i colpevoli della loro condizione, allora il concetto stesso di democrazia è messo in crisi e ogni politica sociale diventa fallimentare. […] La povertà, al contrario, dovrebbe provocare ad una progettualità creativa, che consenta di accrescere la libertà effettiva di poter realizzare l’esistenza con le capacità proprie di ogni persona» (Ivi, n. 7). Stanno qui i presupposti per un vero cambiamento del paradigma che governa lo sviluppo, l’economia, la vita sociale, la stessa democrazia. Ma torniamo al nostro testo evangelico per prendere atto che Gesù, nel far emergere il volto oscuro della storia ha come unica preoccupazione quella di esortare i suoi discepoli a non spaventarsi, assumendo un atteggiamento di vigilanza e mantenendo la speranza. Questa speranza, la nostra speranza, è fondata sull’annuncio che il Signore non abbandona gli uomini e viene a salvarci: «Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria» (Mc 13,26). Per chi crede che Cristo è risorto, la storia ha già una direzione, essa ha già ricevuto in dono il suo esito, in essa opera già la salvezza. È una liberazione che tocca l’intero cosmo e di cui noi stessi dobbiamo essere protagonisti. È una liberazione che ha il carattere della riunione dei dispersi, la formazione di un popolo di salvati, di figli dell’unico Padre: il Signore «radunerà i suoi eletti dai quattro venti» (Mc 13,27). L’esplodere del male attorno a noi non deve farci cadere nello sconforto, ma al contrario deve indurci a cercare la presenza di Cristo nel mondo che ci circonda, i segni di risurrezione che nonostante tutto si diffondono e dicono che, grazie a Gesù, la vita è più forte della morte.

Giuseppe card. Betori