Toscana

Giovani cattolici e impegno politico

Un «sogno, di quelli che si fanno ad occhi aperti, e che dicono una direzione verso cui preme andare». Lo ha definito così il card. Angelo Bagnasco, chiudendo lunedì 25 gennaio la lunga prolusione ai lavori del Consiglio permanente della Cei (testo integrale). È il sogno di una nuova stagione nell’impegno dei cattolici italiani nella vita politica. Abbiamo chiesto a don Enrico Giovacchini direttore della «Toniolo» cosa si fa in Toscana per la formazione sociale e politica dei cattolici e abbiamo raccolto le esperienze di alcuni giovani impegnati in politica.

Le scuole di formazione? Purtroppo non ci sono piùdi Andrea Berrnardini

«L’esperienza delle scuole di formazione politica? Si è conclusa a metà degli anni Novanta». È lapidario don Enrico Giovacchini, 60 anni, pontederese, prete dal 1982, parroco di San Martino in Kinseca e San Sepolcro e delegato arcivescovile per la pastorale sociale e del lavoro in diocesi di Pisa.

Laureato in scienze politiche e licenziato in scienze sociali – una licenza conseguita alla Pontificia università gregoriana a Roma – don Enrico per molti anni della sua vita ha cercato di spiegare ai giovani la dottrina sociale della Chiesa.

Cosa è rimasto, oggi, dell’impegno profuso dalle Chiese toscane nella formazione di giovani all’impegno in politica e nella società?

«Iniziative spesso isolate: di uno, due, massimo cinque incontri; e non in rete. Le vecchie scuole diocesane di formazione non ci sono più».

Erano state utili?

«Ritengo di sì. Offrivano quegli strumenti di lettura della società necessari ad  una politica di alto profilo».

Ci sono stati giovani «allievi» che, frequentate le scuole diocesane, hanno poi deciso di impegnarsi in politica?

«Giovani e meno giovani che, nel tempo, hanno anche assunto un ruolo nella gestione della cosa pubblica».

Sono stati buoni testimoni?

«Purtroppo, posizionandosi, hanno spesso finito per litigare tra loro. E sinceramente non è molto edificante veder polemizzare dei cattolici impegnati in politica. Una lacerazione che fa male a tutti».

Il sogno del cardinal Angelo Bagnasco di una «nuova stagione» dell’impegno politico dei cattolici è realizzabile?

«Un sogno realizzabile, certo. La Chiesa, però, deve tornare ad investire nella formazione e a caldeggiare l’incontro di tutto il movimento cattolico per stabilire un’agenda di temi da trattare e privilegiare e far emergere così un impegno autenticamente politico più che partitico».

Giovani formati, dunque, da spendere. Dove?

«Prima di tutto all’interno della stessa Chiesa. Per far questo occorre un lavoro lungo, paziente e continuativo. Non immaginiamo che possa produrre frutti immediati. C’è da tirar su una nuova generazione di cattolici, capace di capire, prima di tutto, quali sono i valori che dovrebbero unire chi dice di rifarsi al Vangelo».

Un po’ quello che cerca di fare la Fondazione Toniolo, da lei diretta.

«Sì, e non solo con la “Tre Giorni Toniolo”: è questo, infatti, l’evento più conosciuto, non l’unico che ogni anno organizziamo in Toscana. Ma anche ciò che cerca di fare, ormai da anni, il Coordinamento sociale cristiano, nato dalla mente e dal cuore di monsignor Gastone Simoni, vescovo di Prato. Simoni, con fatica e perseveranza, è riuscito a riunire il variegato e frastagliato arcipelago del mondo cattolico, per invitarlo a costruire insieme una cultura sociale e politica non litigiosa, pur rispettosa delle diversità. Diversità che non sono di per sé sinonimo di divisione».

Già quando i vescovi parlano di valori «non negoziabili» ad alcuni cattolici viene il mal di pancia.

«Quando i vescovi parlano di valori non negoziabili, si riferiscono a quei valori che si evincono dalla stessa storia personale di Gesù. E dalla storia personale di Gesù si evince come a tutti i cattolici devono stare a cuore, ad esempio, valori come quelli della vita e della solidarietà. Questi pronunciamenti fanno problema soprattutto a chi deve calarli nei delicati equilibri di questo o quel partito, soprattutto ora che le aggregazioni sono così ampie».

Monsignor Fausto Tardelli, vescovo di San Miniato e delegato Cet per la pastorale sociale e del lavoro, si è riunito con i rappresentanti di diverse aggregazioni laicali e le ha invitate a sottoscrivere un patto formativo.

«È avvenuto un po’ di tempo fa. Con questo patto le associazioni si sono impegnate a proporre, nelle province o nelle diocesi in cui operano, una formazione dei loro dirigenti, centrata sulla dottrina sociale della Chiesa. Adesso aspettiamo con fiducia i frutti».

Politica, chi e cosa me l’ha fatto faredi Marco Lapi

La politica? Qualcosa di cui diffidare e da evitare accuratamente. Un luogo comune, forse, ma anche la posizione di partenza di molti giovani cattolici oggi attivamente impegnati in un partito o eletti negli enti locali. E cos’è allora che può far cambiare idea? Luca Pighini, 26 anni, laureato in Scienze politiche e Relazioni internazionali a Firenze e dal 2007 consigliere comunale del Pd a Lucca, sua città natale, ricorda la sua iniziale fede nel volontariato sociale come «lo strumento più idoneo e immediato per risolvere le ingiustizie che tormentavano il mondo». Poi la partecipazione a una riunione con Maria Eletta Martini, la scoperta di Giorgio La Pira, le esperienze con l’Opera Villaggi per la Gioventù e l’incontro con la Fuci, che «oltre ad essere luogo di sincere amicizie è stato luogo di formazione integrale». «Oggi – prosegue Luca – non sono i molti i luoghi dove i giovani si formano alla politica e alla responsabilità. Il volontariato resta un’esperienza importante ma servono testimoni, sull’esempio di chi ha speso la propria vita per un valore o un ideale, ed è dovere di tutta la Chiesa prestare attenzione a questa sfida educativa e formativa. Occorre più coraggio da parte di noi giovani ma anche capacità di ascolto degli adulti per una crescita reciproca».

Di iniziale diffidenza verso il mondo dei partiti parla anche il trentaseienne pisano Carlo Lazzeroni, che dopo la laurea in Scienze Politiche nell’ateneo della sua città ha frequentato alcuni corsi e master post-universitari. «Poi – spiega – la scelta è maturata gradualmente, vivendo il mio cammino di fede all’interno della Gioventù Francescana». Dal 2000, Carlo è attivamente impegnato nell’Unione di centro e oggi, oltre a presiedere il Circolo Liberal di Pisa, lavora al gruppo Udc in Consiglio regionale. «La vita di partito – aggiunge – non è sempre semplice, c’è il rischio di chiudersi e gli stimoli possono nel tempo diminuire. Per questo ho sempre cercato di partecipare a corsi e seminari di formazione, così come credo sia molto importante continuare ad avere un cammino di fede e vivere esperienze di associazionismo e volontariato. D’altra parte, sinceramente, si corre il rischio di rimanere un po’ “abbandonati”. La Chiesa chiede giustamente un rinnovato impegno di giovani cattolici, però si avverte un po’ di timore, nelle realtà parrocchiali e nei movimenti ecclesiali, a ragionare di politica e, in qualche modo, supportare e condividere l’attività dei laici politicamente impegnati».

Nell’Udc è impegnato anche Lapo Frangini, ventiquattrenne fiesolano. «Sono laureando in Giurisprudenza – racconta – e sin da quando ho 16 anni mi sono impegnato ad aiutare il prossimo iscrivendomi alla Misericordia, dove tuttora presto servizio. Il volontariato rappresenta oggi un’esperienza importante per i giovani, capace di sensibilizzarli all’aiuto del prossimo e di rapportarsi ai problemi quotidiani della vita. E gli stessi valori e la voglia di fare che mi hanno portato alla Misericordia mi hanno spinto all’età di 18 anni ad iscrivermi all’Udc, dove oggi ricopro l’incarico di segretario regionale dei giovani. Io credo che la politica sia in primo luogo un servizio, che non si deve fermare nelle sedi di partito, ma la si possa fare quotidianamente, nelle parrocchie, nella protezione civile, nelle associazioni di volontariato, aiutando il prossimo. Questo servizio reso dalla maggioranza silenziosa dei ragazzi, che non fa notizia sulle cronache dei giornali, è ciò che penso debba contraddistinguere l’impegno di tutti noi giovani per il futuro».

«Ho iniziato ad appassionarmi alla politica fin da piccolo – ricorda Emanuele Roselli, 31 anni, vicino all’esperienza di Comunione e liberazione e consigliere comunale a Firenze per il Pdl – affascinato da mio nonno che raccontava il suo impegno nell’Azione cattolica prima, e nella Dc poi. Racconti appassionati e drammatici, di un impegno teso non alla difesa di una parte, ma animato dall’interesse per un bene comune diffuso e riconosciuto». Dai tempi dell’Università, che lo ha visto rappresentante degli studenti, Emanuele guarda alla politica «non tanto come possibilità di un percorso personale, ma come ambito comune in cui costruire un percorso condiviso teso al bene di tutti, cercando di modellare la realtà secondo il proprio ideale». E dunque, aggiunge, «sebbene la politica sia spesso l’arte del compromesso, come cattolico ritengo che su certi valori e principi non si possa cedere neppure un centimetro». «Penso in particolare – conclude – alla salvaguardia della famiglia fondata sul matrimonio, alla libertà di educazione, ai temi legati alla vita e alla dignità della persona. Una sfida non facile, visto anche il contesto culturale che ci circonda, ma che diventa una possibilità di giudizio e di azione percorribile se sostenuta da un’amicizia con persone che vivono la stessa esperienza».

Dal capoluogo regionale a un piccolo comune della Lunigiana, ma con lo stesso ruolo di consigliere comunale di opposizione. Matteo Mastrini, 30 anni, nativo di Fivizzano, risiede da sempre a Barbarasco di Tresana, la cui parrocchia ha visto sacerdote il prozio Battista per ben 66 anni, dal 1933 al 1999. «Provengo dunque – racconta – da una famiglia profondamente cattolica e dopo la laurea in Storia, per completare il mio percorso, mi sono iscritto all’Istituto Superiore di Scienze Religiose Niccolò V della Spezia, presso il quale mi sto laureando. Il mio interesse per la politica risale ai tempi del liceo, ma l’ho coltivato a lungo senza renderlo pubblico. Poi l’incontro con Jacopo Ferri, coordinatore provinciale del Pdl, mi ha convinto a prestare il mio piccolo contributo alla comunità in cui vivo. Mi sono dunque candidato a Sindaco di Tresana alle amministrative 2009 e attualmente sono capogruppo consigliare del Popolo della Libertà: il mio impegno  è essenzialmente basato sulla volontà di essere d’aiuto, per quanto posso, agli altri». E conclude: «Ritengo che la politica non si desuma dalla fede, ma dalla ragione. Comunque mentre mi occupo di politica non mi dimentico mai ciò che sono: prima di tutto, un cristiano».

Per Piero Giunti, 42 anni, di Reggello, eletto nel Pd per il secondo mandato al Consiglio provinciale di Firenze dopo altri due nel suo Comune, «il “sogno di una nuova generazione di cattolici impegnati in politica” interpreta un disagio che nasce e si fa sempre più forte in tutte le nostre Diocesi a partire dalla base, ossia dalle parrocchie stesse». Occorre insomma che «al di là delle diverse “appartenenze” le scelte siano coerenti con l’«Appartenenza» (con la “a” maiuscola) a una comune fede». E racconta: «Ho maturato la scelta d’impegnarmi in politica attraverso il cammino che ho fatto nell’Azione cattolica, esperienza per me fondamentale nel discernimento del mio impegno, in quanto mi ha offerto un luogo in cui, non come singolo, ma insieme ad altri, si ascolta la vita e si interroga la fede». «Credo fortemente – aggiunge Piero – all’impegno in politica come “arte nobile e difficile” da vivere come un impegno esigente al servizio degli altri. Per fare questo occorre avere il coraggio di ritrovare tempi e luoghi per confrontarsi e non scontrarsi: parrocchie, associazionismo, scuole di formazione dove il confronto ti porta a fare sintesi e non la ricerca della visibilità. Bisogna insomma avere il coraggio di tornare a parlare di politica, in maniera seria e direi anche serena, affinché le diverse provenienze dei cattolici impegnati in politica diventino motivo di ricchezza e non di divisione e scontro».

Come eravamo: I quadri dirigenti nella prima Repubblica

Un cartello stinto, una porta che da molti anni non si apre: è quello che resta di una delle tante sezioni di partito che hanno animato la Prima repubblica, dove sono nati allora molti uomini politici. Come nasce oggi la classe dirigente? Proviamo a riflettere per dare una risposta a questa domanda per meglio capire i percorsi di formazione della classe dirigente della seconda Repubblica. Una classe dirigente non si inventa, non si fabbrica e non è fatta di uomini e donne uguali. Diverse sono le loro storie personali, le esperienze fatte nelle organizzazioni politiche, sociali, civili, ai diversi livelli. Non tutte le vie portavano al Parlamento, per altri c’era il consiglio comunale o provinciale, dal 1970, anche quello regionale.  Ma la partenza era la stessa per tutti: dal basso, nelle sezioni.

La selezione era diversa per i due partiti maggiori: Dc e Pci. Nella Democrazia cristiana si privilegiavano i corsi di formazione politica che potevano portare a ricoprire cariche di vario genere, sia nel partito che nei vari organi politici. Qualcuno arrivava al centro studi della Camilluccia a Roma, voluto da Amintore Fanfani, per poi entrare nell’agone politico.

Il percorso dei quadri dc cominciava dal basso, nelle sezioni o in altre organizzazioni: Acli, Mcl, Cisl.

L’Azione cattolica è stata la prima associazione di ispirazione cristiana a formare i quadri dirigenti della prima Repubblica. Dall’Azione cattolica proveniva Aldo Moro, presidente della Fuci (la federazione degli universitari cattolici) dal 1938 al 1941, negli anni in cui era più duro il contrasto con il regime fascista. Quando nel 1941 partì militare fu sostituito da Giulio Andreotti alla presidenza della Fuci. Nel 1945 Moro divenne presidente del Movimento laureati dell’Azione cattolica.

Nell’Azione cattolica fu anche Giorgio La Pira che nel 1933 lavorò con zelo nell’opera di apostolato in zone particolarmente «difficili» dell’empolese. Adone Zoli prestò la sua opera di avvocato alle associazioni cattoliche dei braccianti e dei piccoli proprietari del Mugello. Dall’Azione cattolica provenivano anche Amintore Fanfani, Giovanni Gronchi e Giuseppe Dossetti, promotori insieme a molti altri (tra cui La Pira, Moro, Andreotti) del «Codice di Camaldoli», sintesi della dottrina sociale della Chiesa. Decisivo è stato il contributo che molti uomini politici cattolici hanno dato alla stesura della nostra Costituzione.

Diversa la strada da fare nel Partito comunista. Dopo un periodo di «apprendistato» nelle strutture periferiche si arrivava alle Frattocchie dove tra gli anni ‘ 50 e ‘ 90 era l’«Istituto di studi comunisti Palmiro Togliatti» che ha ospitato la prima scuola di partito. Nella villa vicino Roma, acquistata dal Pci, 100 allievi seguivano il corso per funzionario per 9 mesi. Poi erano inviati a dirigere le strutture periferiche. Infine, approdavano al Parlamento.

Oggi è tutto diverso. Certo ci sono le fondazioni, i centri studi, c’è internet. Quello che manca è il rapporto con gli elettori, quello che solo strutture periferiche – le sezioni – erano in grado di assicurare.

E.C.

Giovani donne in politica: idee chiare e grande impegno