Toscana

Giovani e famiglia: altro che «bamboccioni»…

di Andrea Bernardini

Gli adolescenti sognano di lasciare la casa dei loro vecchi ad appena 23 anni. Sei su dieci già immaginano il giorno del loro matrimonio in chiesa. E ben 73 su 100 desiderano una famiglia tutta casa e figli, non meno di due. È quanto emerge da un questionario compilato da un campione di oltre cinquecento ragazzi dai 16 ai 20 anni, studenti di licei, istituti tecnici e professionali delle province di Pisa, Arezzo e Pistoia. I risultati del sondaggio saranno ufficialmente presentati e commentati domenica 2 ottobre al palazzo dei Congressi a Montecatini Terme in occasione dell’assemblea regionale delle famiglie numerose. Tema dell’incontro-festa: «Due cuori e una tribù». Il talk-show prenderà spunto dal questionario compilato dal campione di «over sedicenni» toscani, equamente distribuiti tra maschi e femmine, tra residenti in città e in campagna. 

Le domande poste dal questionario (che si trova e può essere compilato dai giovani lettori anche sul questo sito: VAI AL QUESTIONARIO): a che età lascerò casa? farò una vita da single o di coppia? e, in quest’ultimo caso: mi sposerò in chiesa, in comune o andrò a convivere con la mia compagna? E ancora: quanti figli nasceranno dalla nostra unione? su quali valori si fonderà la nostra vita di coppia? Quanto tempo voglio dedicare al mio/alla mia partner? quanto ai figli? quanto al lavoro?

Ecco le risposte, a volte soprendenti, che hanno dato gli adolescenti.

Fuori di casa a 23 anni. Il ministro Brunetta ha definito i giovani italiani dei bamboccioni: fragili, sarebbero incapaci di staccare il cordone ombelicale con la famiglia di origine. Eppure gli adolescenti che hanno risposto al questionario dicono di voler lasciar casa, in media, ad appena 23 anni. Le prime a volersene andare? Le ragazze che abitano in città.

Single for ever?. L’Istat racconta di un Italia fatta di milioni di uomini e donne che vivono da soli. Ma solo il 2% degli adolescenti ritiene molto probabile di vivere una intera esistenza senza almeno una convivenza con lui/lei, mentre il 47% ritiene impossibile una vita da single. Una percentuale che sale al 51% se analizziamo le sole risposte dei maschi.

E se trovano l’anima gemella? E se i nostri ragazzi trovano (od hanno già trovato) l’anima gemella? Sessanta su cento dicono di volersi sposare in chiesa, 14 su 100 in comune, 26 su cento pensano che «andranno a convivere» con l’altro/a. Dunque le nozze sacramentali continuano ad affascinare gli under ’20. Un desiderata che sapranno confermare negli anni?

I figli. L’Italia è il Paese dalle poche culle, la media di 1,4 figlio a donna fertile – sentenziano i sociologi – non ci garantisce un adeguato ricambio. Eppure il 58% dei nostri ragazzi dice di voler almeno 2 figli, mentre il 18% un solo figlio.  Le altre preferenze: il 15% degli intervistati sostiene di voler almeno 3 figli, il 2% 4 figli e ben il 6% cinque figli o più. Dobbiamo attenderci dunque più famiglie numerose per il futuro?  

I valori. Prima di tutto: l’amore. Se non c’è quello, un rapporto non regge. Il 65% dei ragazzi assegna all’amore un voto da otto a dieci quando si chiede loro su quali requisiti far reggere la coppia. L’amore è giudicato più importante della complicità (il 59% dei voti alti) e ascolto (59%), mentre, ad esempio, quanti soldi entrano in casa non è fondamentale per due ragazzi su dieci.

Le ore della giornata. Quante ore al giorno voglio stare vicino al partner? Sei adolescenti su dieci dicono di voler dedicare all’altro/a più di otto ore al giorno (un desiderio espresso dal 66% delle ragazze e dal 52% dei ragazzi). Quante ai figli? Identica risposta: più di otto ore per il 74% degli adolescenti che hanno risposto al questionario. Anche in questo caso sono le ragazze ad esprimere questo desiderio in modo più forte: rispondono così nell’86% dei casi e non poche chiariscono che vorrebbero stare vicino al loro futuro figlio ventiquattro ore al giorno.

Viene da chiedersi, in questo caso, se la rivelazione di questo desiderio non sia da interpretare  anche un po’ come una critica verso noi genitori che, nei fatti, ai figli dedichiamo poco tempo.

Quante invece ore al giorno vorrei lavorare? Anche più di otto ore al giorno per il 78% degli intervistati.

I RISULTATI DEL QUESTIONARIO

L’appuntamentoArticolato il programma del meeting «Due cuori una tribù», domenica 2 ottobre al palazzo dei Congressi a Montecatini Terme, in occasione dell’assemblea regionale delle famiglie numerose. Al mattino, talk-show presentato da Andrea Bernardini e Graziella Teta. Vi parteciperanno Francesco Belletti, presidente nazionale del Forum delle famiglie, Mario Sberna, presidente nazionale di Anfn, reduce dalla clamorosa protesta di fronte a Montecitorio contro le ultime due Finanziarie e il giornalista Mauro Banchini, nostro collaboratore, che parlerà di come è cambiata nel tempo l’immagine della famiglia che passa attraverso i media. E se la tv è specchio fedele della società o se invece, birichina, induce… in tentazione.

Durante la mattina sarà assegnato il premio «Due cuori e una tribù» a Pierluigi e Emanuela Bartolomei, romani, sposati e genitori di cinque figli, per la loro capacità di saper comunicare, anche con metodi espressivi nuovi ed efficaci, il valore della famiglia. Pierluigi, in particolare, nel pomeriggio, presenterà un esilarante spettacolo di cabaret liberamente tratto dal libro «I cinque linguaggi dell’amore» di Gary Chapman. A conclusione dell’evento, l’intervento di Luca Gualdani, presidente regionale di Anfn. Programma separato per i figli, che saranno seguiti da alcuni animatori. Per tutti la possibilità di farsi immortalare in un ritratto dal pittore Giovanni Giuliani, vincenziano, reduce da un’esperienza missionaria in Brasile.

L’iniziativa è promossa dall’Associazione nazionale famiglie numerose in collaborazione con il nostro settimanale, con l’Ucsi ed il Forum regionale delle famiglie, ha il patrocinio del comune di Montecatini e dell’ufficio di pastorale familiare della diocesi di Pescia. All’evento ha offerto il suo contributo la Cassa di risparmio di San Miniato.

LA STORIA: In giro con il suo show per raccontare «croci e delizie» della vita familiare

di Graziella Teta

La scorsa settimana Pierluigi Bartolomei era «incatenato» simbolicamente di fronte alla Camera dei deputati, insieme con una cinquantina di genitori dell’Associazione nazionale famiglie numerose. La manifestazione era cominciata con il corteo in via del Corso: volantini, striscioni e slogan «Senza famiglia non c’è futuro: più bimbi, più futuro»; carrozzine vuote per simboleggiare che, a forza di bistrattare le famiglie, quello sarà il risultato; t-shirt con citazione dell’articolo 31 della Costituzione «La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose». Il gruppo era poi giunto davanti a Montecitorio per chiedere a gran voce una riforma fiscale che tenga conto dei carichi familiari, nonché la riduzione immediata dell’Iva (dal 21 al 4%) sui prodotti per l’infanzia, oggi equiparati ai beni di lusso.Commenta Bartolomei: «Passavano alcuni politici dichiarandoci sostegno. Ma io mi sono reso conto che per aiutare la famiglia non possiamo puntare solo su soggetti politici e sociali. Già c’è il rischio che sia strumentalizzata e, certamente, subisce da tempo una discriminazione mediatica: non c’è una politica seria che favorisce la natalità e della famiglia se ne parla poco o in modo tale che ai giovani non viene voglia di farla. Invece, occorre rivalutarla come scelta di vita portatrice di valori per tutta la società. Come quello della solidarietà: in questi tempi di crisi economica, vedo tante famiglie che vanno avanti, condividendo le risorse, con grande dignità».

Ma, allora, qual è il «nemico numero uno» della famiglia oggi? «Il primo nemico è l’egoismo: se tante famiglie si disgregano la colpa è nostra. Mia nonna diceva: dopo i confetti, scappano i difetti. Intendo dire che matrimonio e famiglia significano un progetto di vita, una scelta non solo di amore ma anche e soprattutto di impegno continuo, di responsabilità, anche quando è passato l’innamoramento dei primi tempi e i difetti reciproci li conosciamo a memoria. Come dire, il segreto per portare avanti una famiglia è amarne la quotidianità». Ma come si sopravvive senza soccombere allo slalom quotidiano tra impegni di lavoro, figli e casa da accudire, coniuge da fronteggiare, soldi e tempo che non bastano mai? «Si può, diventando campioni di slalom famigliare», afferma convinto.

E se lo dice lui, c’è da credergli. Pierluigi Bartolomei, romano «de’ Roma», 50 anni da compiere il prossimo 19 ottobre, si dichiara «felicemente sposato da vent’anni – nonostante i suoceri – con Emanuela, 44 anni, una donna meravigliosa». Sono genitori di cinque figli: Teresa di 19 anni, Giovanni 17, Pietro 14, Agnese 9 e Stefano di 3. Il «famigliologo», come si definisce, di tematiche familiari è davvero esperto, intervistato da giornali e chiamato in trasmissioni televisive (come «A sua immagine», Rai 1). Spiega Bartolomei: «Occorre lavorare su due piani paralleli: primo, conoscere se stessi, affrontare e sconfiggere i difetti che ostacolano la vita familiare; secondo, portare avanti con coerenza, generosità e perfino disciplina il proprio ruolo di coniuge e genitore. Uno sforzo che ricambia in emozioni autentiche, con la consapevolezza che crescere i figli significa fare qualcosa di valore per la società, per l’umanità intera. E allora davvero possiamo urlare al mondo: ce la possiamo fare!».

Pierluigi ci crede talmente che è diventato un vero paladino dei valori della famiglia, che sa trasmette in modo originale ed accattivante: abbinando la sua competenza di educatore alla passione per il teatro e il cabaret, quattro anni fa ha creato uno spettacolo ispirandosi al libro dell’americano Gary Chapman «I 5 linguaggi dell’amore». Quello di Bartolomei è un esilarante «one man show», dove è unico attore e regista, che racconta croci e delizie della vita familiare, con allegria ed ironia per aiutare il pubblico a riflettere e a scoprire che si può imparare a costruire legami solidi e felici. «Ho girato l’Italia, esibendomi per associazioni, scuole, istituzioni, cattoliche e laiche». Finora il suo spettacolo ha avuto ben 72 «repliche» e il tour continua: il 30 settembre sarà a Torino, all’Unione Industriale, il giorno dopo a Bra, il 2 ottobre si esibirà al palazzo dei congressi a Montecatini, in occasione dell’assemblea regionale dell’Associazione famiglie numerose. Il pubblico si riconosce e s’immedesima nelle tragi-comiche familiari messe in scena da Pierluigi con il titolo-bandiera: «Moglie, mariti e figli, come so’ te li pigli» (detto popolare, ironico e saggio, ereditato da sua nonna Teresa). È anche il titolo del suo ultimo libro, con prefazione di Pippo Franco: una raccolta di storie matrimoniali che approdano ad una convinzione finale, quella che, nonostante tutto, vale la pena di metter su famiglia.

Bartolomei, confessa, da giovane pensava di non esserci proprio portato per matrimonio e figli: «Volevo diventare attore, ho fatto anche un provino per entrare nella scuola di Gigi Proietti. Ma mio padre Gregorio, poliziotto tutto d’un pezzo con un grande amor di patria, non lo voleva un figlio artista e mi disse di studiare. Lo facevo disperare spesso, da ragazzino ero attaccabrighe e un po’ bulletto: una volta mi venne a prendere a scuola, io ballavo scalzo sul banco. Ho fatto la strada verso casa di corsa, io davanti, lui dietro a rifilarmi cinghiate. Quando è mancato ho sofferto molto: scoprii solo dopo la sua scomparsa che rifiutò un encomio solenne (durante il terremoto del Friuli aveva salvato due persone da morte sicura e recuperato importanti documenti dell’archivio di Stato) dichiarando: era mio dovere. Una figura esemplare per me».

L’incontro con Emanuela gli cambia la vita: «Non avevamo una lira: ci siamo guardati e ci siamo detti, sposiamoci!». Hanno messo su una bella famiglia e si sono affermati nel lavoro: lei, già giudice di pace, è cancelliere al tribunale di Roma; lui, due lauree (in Economia e Commercio e in Sociologia), è docente di comunicazione e direttore della Scuola di Formazione professionale Elis («preside di frontiera e form-attore» si definisce nel suo blog), anche responsabile della Ong che promuove programmi di cooperazione allo sviluppo nei cinque continenti.

Di lui la moglie dice che è megalomane, però è contenta che metta a servizio degli altri tutta la sua verve e la sua esperienza: «In casa ci dividiamo i compiti – spiega Emanuela – io le faccende domestiche, lui porta e riprende i figli che sono sempre impegnati in tante attività». Di lei il marito dice: «Quando torno a casa mi deve raccontare a forza tutta la giornata e guai se non ascolto con attenzione. Ci becchiamo spesso, i figli dicono che siamo una coppia comica alla Stanlio e Ollio». Ma ce ne vuole di pazienza, ammette Pierluigi, pure con il suocero Pino che va tutti i giorni a trovarli e si piazza sulla poltrona a ronfare davanti alla tv; con la suocera Carla sempre «precisina»; con la mamma, «sora» Margherita, che ancora chiede al figlio: «Ma tu’ moglie te tiene bene? Te fa’ mangia’?». Non solo lo tiene bene e lo nutre, ma Emanuela gli ha donato la grande gioia del quinto figlio: «È stato uno dei momenti più belli della mia vita – dice Pierluigi – con i precedenti quattro figli non ero stato così apprensivo. In attesa delle doglie i medici ci dissero: la signora deve camminare, e ho passeggiato con lei per ore sul lungotevere fino a mezzanotte, poi siamo tornati in ospedale. Dopo il parto, lei ha sollevato il bambino che l’ha centrata in fronte con un filo di bava. Ci siamo messi a ridere. Sono tornato a casa stremato e contento. Il mattino dopo ricevo un sms di mia moglie: ti ringrazio di essermi stata vicina, ti amo tanto». È il bello di «tenere famiglia».

L’ANALISI: Quell’immagine deformata dalla tv

di Mauro Banchini

Famiglia e tv. Intrecci osservabili almeno da due punti di vista: come la prima viene rappresentata nel piccolo schermo e come la seconda condiziona i cambiamenti del soggetto che la Costituzione definisce «società naturale fondata sul matrimonio».

Non mancano analisi scientifiche (una ricerca – «L’amore nei programmi televisivi» – sta sull’ultimo numero di «La Parabola», rivista Aiart che le parrocchie farebbero bene a considerare fra gli strumenti formativi). Qui saranno sufficienti piccole notazioni. Iniziando dal «bianco e nero»: quello di certi programmi Rai che, pescando dalle Teche aziendali, ripropongono l’Italia fra gli anni Cinquanta e Sessanta. Guardatele, queste tenerissime immagini: troverete la cifra di una Italia lontana anni luce, anche per i rapporti nelle famiglie. Diffidate da chi loda i tempi passati: non tutto ciò che vediamo nel bianco/nero era giusto; mari di ipocrisia sommergevano spesso i rapporti, anche quelli familiari. Ma l’Italia era quella, in una tv che era quella e che fino agli anni Ottanta ha continuato, certo con i cambiamenti resi necessari dal tempo, a essere quella. Poi è arrivata quella commerciale. Sono state costruite – a tavolino, secondo qualcuno – le condizioni per un’Italia che andava cambiata, «modernizzata», forse sottratta a quella «morale cattolica» di cui oggi blatera Terry, escort del presidente del Consiglio. Sono arrivati consigli per gli acquisti in dosi sempre più massicce. L’offerta tv è aumentata in modo massiccio. Il tutto finalizzato a modificare la natura di noi utilizzatori finali: da persone vere a consumatori ubbidienti. La rappresentazione della famiglia è oggi  effettuata sulla base di concetti «larghi». Quella un tempo definita, non senza ipocrisie, «normale», oggi fatica a trovare spazio. È la tv a riflettere la realtà o è questa a essere condizionata, plasmata e manipolata, dalla prima e da chi ha qualche interesse a condizionare, plasmare, manipolare? Mi son fatto l’impressione che esistano risposte positive a entrambi i corni del problema.  Talvolta mi sorprendo a riflettere che i portatori sani di una mentalità «tradizionale» avrebbero possibilità notevoli in un contesto dove, esempio sulla famiglia, quello che un tempo era normale e lento secondo lo scorrere del tempo (l’innamoramento, il fidanzamento, i rapporti sessuali non usa e getta, il matrimonio in Chiesa fra un uomo e una donna, il mettere al mondo figli, l’educare i figli anche alla luce del Vangelo, il restare fedeli fra marito e moglie nonostante il tempo che passa, l’invecchiare insieme, il diventare nonni, il trasmettere insegnamenti ai nipoti …) oggi finisce per essere considerato una sorta di singolare «deviazione». Chi è, oggi, a essere più «deviante» rispetto alla banalità della «norma» se non chi progetta quel tipo di percorso un tempo tradizionalissimo?

E se, in base all’abc del giornalismo, a fare notizia non è il routinario e lo scontato ma lo straordinario e l’eccezionale, allora il ribaltamento rispetto al concetto di normalità offre occasioni un tempo impensabili in una società secolarizzata, ormai, con un «post al quadruplo». Un po’ come, in generale, vale per le sempre più piccole comunità cristiane in Paesi un tempo  cattolicissimi (Italia compresa…). Non è forse giunto il tempo di rievangelizzare contesti ormai scristianizzati? E di farlo in base all’esempio concreto di vite davvero alternative alla luce del Vangelo? Sotto questo aspetto i media, vecchi e nuovi, possono offrire opportunità interessanti a chi, pur volendo vivere «nel mondo» cogliendone appieno la bellezza, coltivi ancora la passione di non essere «del mondo». Digitale terrestre e digitale web offrono, oggi, spazi enormi di comunicazione mediatica per chi ha voglia di comunicare in positivo valori e stili alternativi.

E sugli spot occorre capire le tecniche con cui vengono realizzati, il cosa ci sta dietro, saperli leggere, essere capaci di denunciare alle autorità giuste le eventuali violazioni etiche, conoscere le dinamiche del mercato anche per tentare di dominarle, accettare la sfida di stili di vita basati sulla essenzialità e sulla sobrietà. Quante cose si possono fare, in positivo.…

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