Toscana

Gli equivoci della pillola del giorno dopo

di Andrea Bernardini

La pillola del giorno dopo non è una panacea. La sua efficacia dimostrata in clinica è assai inferiore rispetto a quella teorica. Moltissime tra le donne che l’assumono ne avrebbero potuto fare a meno, perché comunque non sarebbero rimaste incinte. Infine: la sua diffusione non riduce il ricorso all’aborto. È quanto emerso dal convegno scientifico su Pillola del giorno dopo: dalla clinica al diritto, organizzato – nei giorni scorsi nella sede dell’Ordine dei medici di Pisa – dall’associazione «Scienza & Vita» di Pisa e Livorno.

Un convegno tenutosi all’indomani del deferimento alla commissione di disciplina di otto medici di guardia, rei, secondo la Asl, di aver affisso alla porta del distretto de «I Passi» un cartello che recitava: «Qui non si prescrive la pillola del giorno dopo. Entro 72 ore rivolgersi a medico di famiglia o privato, pronto soccorso ginecologico, consultorio familiare» con tanto di indirizzo.

Nel corso dei lavori sono stati divulgati i più recenti studi scientifici sul Norlevo, utilizzato come rimedio d’emergenza dopo un rapporto potenzialmente fertile. Tra questi una serie di dati – presentati dalla dottoressa Maria Giovanna Salerno, primario dell’unità operativa di ginecologia e ostetricia a Pisa, relatrice al convegno – che portano a concludere come vi sia una notevole differenza tra l’efficacia teorica del farmaco e quella dimostrata nella pratica clinica.

Il dottor Renzo Puccetti, esperto di bioetica della società medico-scientifica interdisciplinare Promed Galileo, ha illustrato dati che mostrano come la pillola del giorno dopo non ha ridotto il ricorso all’aborto né in quei Paesi in cui è richiesta la prescrizione, né in quelli in cui è un prodotto da banco, così come, infine, tra le donne che ne tengono scorte in casa.

L’assunzione del Norlevo è in molti casi inappropriata. Un terzo delle donne sbaglia ad identificare il giorno del ciclo mestruale (Anna Glasier, docente alla London University School e presidente di due comitati dell’Oms), due adolescenti su tre non riconoscono il momento dell’ovulazione (Iss «Salute riproduttiva tra gli adolescenti, 2000) e addirittura in un terzo delle donne che chiedono la pillola del giorno dopo non si rinvengono spermatozoi all’interno della vagina (studio del dipartimento di ostetricia e ginecologia dell’ospedale de la Santa Creu i Sant Pau, Barcellona, Spagna).

Gli studi scientifici – ha osservato il professor Corrado Blandizzi, docente di farmacologia all’ateneo pisano – non concordano sul meccanismo di azione del prodotto. Se questo sia solo un anticoncezionale o abbia effetti anche post-fertilizzativi è un dato etico significativo non solo per il medico, ma anche per quattro ragazze su dieci.

È andato a fondo del tema di attualità l’avvocato Giuseppe Mazzotta, membro del comitato interdipartimentale di bioetica dell’Università di Pisa. «Che cosa differenzia un farmaco cosiddetto da banco rispetto ad uno per il quale è prevista la prescrizione? – si è chiesto – la condivisione del rischio, secondo l’espressione utilizzata dal Comitato nazionale di bioetica nel documento del 18 giugno 2004 in tema di principio di precauzione. Lo stato che autorizza la commercializzazione del farmaco richiede l’intermediazione del medico perché, in base al proprio sistema di valori giuridicamente tutelati, non è disposto ad assumersi integralmente il rischio degli effetti derivanti dall’uso del farmaco stesso, se non a seguito di un esame caso per caso e paziente per paziente». È il caso anche del Norlevo. E il medico, come deve comportarsi? «Laddove il medico ritenga di non poter prescrivere il Norlevo per ragioni cliniche attinenti al singolo paziente, diligentemente non deve prescrivere; laddove invece ritenga di volersi previamente astenere dall’atto medico per motivi che discendono dalle proprie convinzioni personali, deve anche evitare interferenze dirette tra la sua decisione e la continuità del servizio pubblico. Come? Comunicando, ad esempio, l’obiezione di coscienza al direttore dell’azienda unità sanitaria locale o dell’azienda ospedaliera, nel caso di personale dipendente, al direttore sanitario, nel caso di personale dipendente da strutture private autorizzate o accreditate».

Scienza & Vita ha preparato un modello di dichiarazione di obiezione di coscienza scaricabile dal sito della stessa associazione (www.scienzaevita.info). «Si tratta – si legge in una nota dell’associazione, di un contributo alla collaborazione, affinché le istituzioni e le autorità sanitarie possano, conoscendo il numero di medici obiettori, provvedere ad organizzare i vari servizi sanitari, in modo da non privare la possibilità di accesso delle donne ai servizi che lo Stato intende comunque assicurare, rispettando al contempo la coscienza del medico».

La vicendaL’8 maggio la direzione generale della Asl 5 (Pisa), dopo aver chiuso l’istruttoria interna, ha inviato una «contestazione di addebito» ai medici di guardia coinvolti nella vicenda della mancata prescrizione della «pillola del giorno dopo» e ha inviato gli atti al collegio arbitrale di disciplina per un’eventuale sanzione da prendere entro 180 giorni. La direzione ha contestato ai medici l’affissione del cartello «non si prescrive la pillola del giorno dopo», ciò dimostra, secondo la Asl, l’intenzione dei medici che operano nel distretto di rifiutare la prestazione e la successiva eventuale prescrizione del farmaco, prescindendo dalla necessaria valutazione circa l’effettiva indifferibilità dello stesso.

La vicenda era scoppiata con il presunto scoop di un quotidiano locale: una ragazza si sarebbe recata a notte fonda alla guardia medica del villaggio «I Passi» (Pisa) per ottenere la pillola del giorno dopo e avrebbe trovato un cartello con scritto «non si prescrive la pillola del giorno dopo. Entro 72 ore rivolgersi al medico curante, privato, pronto soccorso, consultorio» con tanto di indirizzo (ma il cartello sarebbe stato sopra un dispenser). La ricerca sarebbe proseguita al pronto soccorso, dove però sarebbe stata ricevuta da un medico solo alle 6 del mattino. Un’altra ragazza avrebbe invece raccontato di essersi recata direttamente al pronto soccorso, insieme ad un’amica, ma di non aver saputo aspettare né di aver avuto soddisfazione dalla guardia medica. Circostanze negate dall’Azienda ospedaliera. Pochi giorni dopo lo stesso quotidiano chiede ad una collaboratrice di presentarsi alla guardia medica simulando di aver avuto, poche ore prima, un rapporto a rischio. Scoppia il caso e altri due giovani raccontano agli organi di stampa (e in particolare a Radio Radicale che per l’occasione ha organizzato una diretta) episodi simili tra cartelli che invitano a rivolgersi al medico di famiglia e medici obiettori. La Ausl apre un’inchiesta, ascoltando le guardie mediche in servizio in quei giorni, mentre il procuratore Antonio Di Bugno apre un fascicolo.

Il documentoEcco perché un medico può negare la prescrizione«La prescrizione di qualsiasi farmaco e di ogni presidio terapeutico rappresenta un atto medico… e impegna direttamente la responsabilità professionale ed etica del medico che nel suo agire mai deve accedere a richieste che si pongano in contrasto con i principi di scienza e coscienza al mero scopo di compiacere il richiedente». Parte da questa premessa generale il documento «La prescrizione post-coitale del levonorgestrel», presentato martedì 13 maggio a Pisa, per iniziativa dell’Associazione Scienza & Vita di Livorno e Pisa.

Prima di entrare nello specifico della cosiddetta «pillola del giorno dopo», il testo si sofferma su quale debba essere il corretto rapporto tra medico e paziente: «una «relazione personale in cui fiducia, scienza e coscienza s’incontrano» e che è finalizzata alla cura. Ne consegue che «il medico a cui venga richiesta una prestazione che contrasti con la propria coscienza non è tenuto a soddisfare una tale richiesta, tranne i casi in cui non sia di grave ed immediato nocumento per la salute del paziente». Ogni richiesta di prescrizione, prosegue il documento «deve sempre essere confrontata con l’esperienza e la competenza del medico». Per questo «ogni medico ha il dovere di accogliere, ascoltare, visitare ed informare il paziente» e non mai ammissibile ««l’abbandono del paziente».

La seconda parte del documento affronta la questione specifica del «levonorgestrel usato come farmaco postcoitale», sui cui meccanismi d’azione «attualmente esiste incertezza». Non è infatti possibile, ancora, «una valutazione diretta dell’effetto del farmaco sulla sopravvivenza embrionale prima dell’impianto». Gli «studi disponibili» si muovono su due piani, quello dell’interferenza col processo ovulatorio e quello delle «alterazioni a livello tubarico e/o endometriale compatibili con una riduzione delle possibilità d’impianto dell’embrione». «Al momento – afferma il testo – entrambi questi percorsi d’indagine forniscono dati contraddittori, incompleti e risultano pertanto non definitivi». Inoltre «la letteratura internazionale mostra che» l’uso del levonorgestrel non ha «alcun effetto in termini di riduzione delle gravidanze indesiderate e del ricorso all’aborto».

«Il medico – si legge ancora nel documento – ha il dovere d’informare la donna sulla reale efficacia del farmaco, sui possibili effetti collaterali, le eventuali controindicazioni e lo stato delle conoscenze circa il meccanismo d’azione, anche per non indurre la donna a comportamenti potenzialmente in contrasto con i propri principi etici. L’eventuale prescrizione del farmaco non può quindi che essere l’atto che segue ad un’attenta ed accurata visita della paziente» e che può anche concludersi con la decisione di non prescrivere il levonorgestrel post-coitale, «così come di ogni altro farmaco». Il medico può dire di no per un «convincimento clinico di non appropriatezza del farmaco rispetto allo specifico contesto clinico», ma anche per un«convincimento di coscienza», quando in base «al principio generale di precauzione e ai principi costituzionali di tutela della vita, non intenda porre in essere comportamenti potenzialmente lesivi del concepito». In quest’ultimo caso però il medico «ha comunque l’obbligo di comunicare preventivamente la propria posizione alle competenti autorità sanitarie e alla paziente che a lui si rivolge». Il documento si conclude con la difesa dell’«indipendenza e dignità» del medico che «ha il diritto a non essere in alcun modo discriminato sulla base dei propri convincimenti morali».