Toscana

I 50 anni della «Vela»: una scuola di vita per migliaia di toscani

di Claudio Turrini

In cinquant’anni ci saranno passati almeno 30 mila toscani. Da qualche paese toscano addirittura intere generazioni. Per molti di loro il Villaggio «La Vela» di Castiglion della Pescaia ha segnato una tappa importante nel cammino di crescita personale. Per tanti, almeno fino agli anni ’70, anche il «battesimo» con il mare. Perché erano poche le famiglie, specie nei piccoli centri, che si potevano permettere una vacanza al mare. Oggi i ragazzi fanno le vacanze da soli a 15 o 16 anni e il mare lo conoscono da piccoli. Eppure ancora oggi i campi-scuola che l’Opera per la Gioventù «Giorgio La Pira» organizza da metà giugno a metà settembre sono sempre pieni. Specie i turni dei più piccoli, per i quali le liste di attesa cominciano già a maggio.

L’«inventore» di questi «campi-scuola» fu Pino Arpioni, figura di primo piano del laicato toscano, morto il 3 dicembre 2003 alla soglia degli ottant’anni. Come responsabile prima parrocchiale a Empoli e poi diocesano a Firenze della Giac (la Gioventù di Azione cattolica), organizzò i primi campi sulle montagne toscane e poi sulle dolomiti. Come ha spiegato lui stesso in una lezione tenuta un paio d’anni prima di morire ai ragazzi di Nomadelfia, e che è stata registrata, la vocazione di servizio pieno ai giovani gli venne nei giorni bui della prigionia in Germania. Davanti ad un evento del genere si rese conto da un lato dell’insufficienza della sua formazione e dall’altro della ricchezza di fede che la mamma gli aveva trasmesso. Da qui, miracolosamente rientrato a casa, quando i suoi lo davano già per morto, la decisione di aiutare i giovani a formarsi come persone complete sia sul piano spirituale che umano e sociale.

Le prime esperienze furono in tenda. Anche quando decise di portare i giovani al mare, all’isola d’Elba, rompendo una specie di tabù. Poi nel 1954, utilizzando la mano d’opera dei «cantieri comunali di lavoro», che da giovane consigliere in Palazzo Vecchio si era visto affidare dal sindaco La Pira, la costruzione del primo villaggio stabile a Pian degli Ontani, il «Cimone». L’anno dopo nasce «La Vela» su un terreno dell’Ente Maremma, in una zona allora ritenuta senza futuro, ma che per Pino aveva quella «bellezza» necessaria per far da cornice al suo lavoro educativo. Dalle tende si passò alle baracche prefabbricate, che volutamente gli ricordavano i lager, ma solo negli aspetti positivi, in quel «rovescio della medaglia» che lui vedeva in ogni cosa: la solidarietà umana che si sperimenta nel vivere insieme, 24 ore al giorno. L’attuale presidente dell’Opera è Gabriele Pecchioli, un giovane avvocato, arrivato alla «Vela» da piccolo e diventato ben presto uno dei punti fermi del gruppo degli educatori. Lo abbiamo incontrato a «Casa gioventù», la tradizionale sede fiorentina dell’Opera, in via Gino Capponi. La prima cosa che gli chiediamo è se c’è una caratteristica che unisce questi 50 anni di campi-scuola dell’Opera. «Fin dall’inizio – ci risponde – la formula campo-scuola, che se non l’ha inventata Pino certamente è stato tra i primi ad utilizzare, era connessa a questa idea: il campo non doveva essere un’esperienza estemporanea nella vita del ragazzo, ma un’esperienza forte, una scuola di vita, che insegna un metodo e dei ritmi che possono tranquillamente continuare anche una volta a casa. Una formazione equilibrata, che mira a dare al ragazzo tutto quello di cui ha bisogno: quindi la dimensione del gioco, della riflessione, della preghiera. Il tutto nella cornice di una vita comunitaria che lo educa alla vita sociale e alla partecipazione».

Cosa differenzia l’Opera da altre forme associative?

«L’Opera è sempre stata uno strumento. Da qui nasce anche il rifiuto di farne un movimento vero e proprio, e di mantenerla invece in una dimensione di servizio che educhi le persone ad impegnarsi là negli ambienti in cui vivono. L’Opera non chiede un’appartenenza, chiede solo un servizio educativo che non è fine a se stesso, ma che è finalizzato a suscitare altro servizio».

In questi 50 anni però dei cambiamenti ci saranno stati…

«Pino, pur mantenendo fermi certi capisaldi, come ad esempio il continuare a fare campi separati per sesso fin perlomeno alla prima età giovanile, ha sempre avuto un’attenzione profonda a tutti i mutamenti della società e dei giovani. Per esempio l’Opera ha cominciato a trattare i temi di discussione attraverso immagini già venticinque anni fa».

E i giovani che arrivano alla Vela come sono cambiati?

«Oggi fanno molta più fatica, ad esempio, a fare un lavoro di riflessione culturale, perché difettano di alcuni strumenti. Da qui la necessità di ripensare tutto l’approccio educativo. Non tanto nei punti di fondo, quanto nel prendere coscienza che c’è un’impreparazione assoluta a cui corrisponde una disponibilità enorme, che magari in passato era schermata dall’ideologia o dalle convinzioni preconcette. Il relativismo di oggi crea indubbie difficoltà, ma dall’altro aiuta perché l’autenticità dell’esperienza che proponi, la convinzione di certe idee che testimoni hanno una capacità di incidere che è fenomenale. Questi giovani sono un campo aperto enorme».

E come cercate di rispondere a queste nuove esigenze?

«C’è uno sforzo per capire la realtà e trovare strumenti nuovi. La novità sta soprattutto nel cercare di avere un rapporto sempre più personale, nel sottolineare ancora di più il ruolo di fratello o sorella maggiore dei capo-gruppo, quindi un accompagnamento sempre più attento alle persone, ai mondi dai quali provengono, alle famiglie…».

Che a loro volta sono cambiate…

«Sono molto più deboli, più fragili. Basta una minima difficoltà del ragazzo per suscitare apprensione, anche difficoltà normalissime dovute al vivere lontani da casa. Uno dei problemi più grossi soprattutto con i più piccoli è farli staccare da una serie di abitudini che hanno a casa dai game boy ai cellulari. Su questo siamo molto attenti e chiari. E chiediamo la collaborazione dei genitori».

Quali sono i temi di discussione ai campi?

«Lo schema di fondo è rimasto negli anni sostanzialmente lo stesso: Cristo, la Chiesa, il mondo. Ma viene adattato a seconda delle età e delle sensibilità che cambiano. C’è una forte attenzione alla vita di fede, ai temi della famiglia, della scuola, dell’affettività, della scelta vocazionale. Quest’anno, poi, tutti i campi sottolineano il tema dell’eucarestia, nell’anno che le è dedicato».

E il gioco come rientra nel progetto educativo dell’Opera?

«C’è sempre stata una grande attenzione al gioco e vi dedichiamo molte energie. Questo per la considerazione che è nei momenti di gioco che il ragazzo manifesta la sua personalità. Cadono tante finzioni e da lì puoi partire per aiutarlo. E poi è una palestra di vita: ci sforziamo di far capire che si può vivere la competizione in maniera sana, che si deve sempre giocare per vincere, ma rispettando tutti i compagni e facendo giocare anche chi è meno dotato. E – lo confesso – mettere in pratica questo, a volte, è una fatica anche per i capi-gruppo».

Alla «Vela» si impara anche a pregare…

«L’esperienza della preghiera è finalizzata a far sì che ai ragazzi resti soprattutto un metodo e degli strumenti, anche minimi, che gli possono essere utili. Quindi abituarsi alla preghiera al mattino e alla sera, facendo anche imparare delle preghiere, perché oggi hanno bisogno anche di questo. Allo stesso tempo cerchiamo di far percepire che tutta la vita del campo ruota attorno al mistero eucaristico, anche fisicamente, perché la cappella è nel punto più alto del villaggio».

La partecipazione alla Messa quotidiana è obbligatoria?

«No. I giovani sanno che nella vita del campo c’è sempre uno spazio dedicato alla celebrazione della messa alla quale però c’è libertà di partecipare. Certo, c’è anche un forte invito e la testimonianza da parte degli educatori che terminano sempre la giornata con un momento di adorazione, dove ricondurre a Lui tutta l’esperienza della giornata. È una scuola anche per gli educatori: siamo stati a discutere fino a ora tarda delle cose che magari non vanno, siamo stanchi… dopodiché ci si mette davanti al Signore e si pongono a Lui i nostri problemi».

Dalla «Vela» sono passati anche tantissimi sacerdoti toscani. Qual è il ruolo del sacerdote al campo?

«La responsabilità del campo è dei laici, ma l’opera educativa è frutto dell’impegno di tutti e l’assistente spirituale ha un ruolo di consiglio importante. Non si è mai fatto un campo senza l’assistente, perché è una presenza indispensabile che completa e rende davvero integrale l’esperienza che questi ragazzi possono vivere».

Come curate la formazione degli educatori?

«Questa è un’esigenza sempre più sentita negli ultimi anni. Si cerca di fare una preparazione che non è solo finalizzata al ruolo che uno deve fare al campo, ma che parte da lontano e mira alla crescita completa dell’educatore, stimolando anche il suo impegno nel mondo».

Un campo particolare è quello «internazionale» riservato ai più grandi. Che tipo di esperienza è?

«Nacque alla fine degli anni ’80 dopo il viaggio ecumenico a Londra. Ma nel 1984 l’intuizione si affina e diventa sempre più “lapiriana”. È l’anno del pellegrinaggio in Russia nel XXV anniversario del primo viaggio a Mosca del Professore. Così il campo internazionale da esperienza solo ecumenica diventa qualcosa di più: l’unità della Chiesa per l’unità delle nazioni, per usare uno slogan di La Pira. Da qui tutta l’insistenza di Pino per aprirsi anche alla società civile russa e non solo, nella ricerca tutta “lapiriana” degli snodi critici del cammino umano. L’andare nell’84 a Mosca era andare a toccare uno snodo importante. L’aver fatto un passo ulteriore instaurando rapporti sia con ebrei che cristiani e musulmani della Terra Santa è toccare un altro snodo essenziale di oggi, quello della “pace di Gerusalemme”».

Qual è il rapporto con le Chiese toscane?

«Il nostro è un servizio alla Chiesa e quindi alle diocesi. In questo c’è una continua ricerca di dialogo con i vescovi che non per nulla vengono a visitare i campi. Il vescovo che viene al campo è importante perché fa vedere anche fisicamente il nostro legame alla Chiesa. Negli ultimi anni è un rapporto che si va sempre più approfondendo. Siamo noi stessi, specie dopo la morte di Pino, a sentire il bisogno di ancorarsi fortemente e sempre più alla realtà ecclesiale toscana».

Gabriele Pecchioli, 38 anni, avvocato, dal gennaio 2004, è diventato presidente dell’Opera per la gioventù «Giorgio La Pira» ad un mese circa dalla morte del fondatore e presidente Pino Arpioni, avvenuta il 3 dicembre 2003, ma già negli ultimi anni aveva ricoperto la carica di vice-presidente vicario. L’opera «La Pira» è un’associazione laicale, iscritta al registro delle onlus e riconosciuta dalla Conferenza episcopale toscana che ne nomina l’assistente. I soci sono circa 90 ed eleggono ogni quattro anni un consiglio direttivo composto da sette membri, che poi elegge al suo interno presidente e vicepresidente. Nella foto, Gabriele Pecchioli lo scorso anno alla Vela con il card. Ennio Antonelli, durante il campo internazionale.

Domenica 26 sosta a Nomadelfia e Messa con il card. Piovanelli Festa grande domenica 26 giugno al Villaggio La Vela di Castiglion della Pescaia, per celebrare i 50 anni di vita della struttura dalla quale sono passati migliaia di giovani toscani, che per tutta la vita penseranno all’«Elba», al «Giglio» o a «Giannutri» come luoghi dove hanno imparato a pregare, a discutere, a giocare insieme. Alla «Vela», infatti, ogni casetta ha un nome che Pino volle prendere dalle isole dell’arcipelago toscano. Ma pochi sanno perché volle chiamare il villaggio «La Vela», dando magari per scontato il riferimento al mare e alle barche. «Il nome – come ricorda Enea Piccinelli, più volte deputato per la Dc ed amico da sempre di Pino Arpioni – fu scelto durante un viaggio in macchina da Castiglione a Follonica pensando al soffio dello Spirito Santo che avrebbe dovuto sospingere la piccola barca dell’Opera». La giornata di domenica inizierà alle 9,30, a Nomadelfia, con una preghiera, presieduta dal vescovo di Grosseto, mons. Franco Agostinelli, sulla tomba di Pino Arpioni che ha voluto essere sepolto lì. Alle 11, al Villaggio, proiezione del filmato «Pino Arpioni racconta», giochi ai campi sportivi e sulla spiaggia, mentre sarà possibile guardare la mostra fotografica «Cinquanta anni di campi scuola». Alle 13, pranzo insieme, seguito da un momento di animazione musicale. Alle 16 il saluto delle autorità e alcune testimonianze di «velisti» vecchi e nuovi. Chiusura alle 17, con la Concelebrazione eucaristica presieduta dal Cardinale Silvano Piovanelli, Arcivescovo emerito di Firenze.

Pino Arpioni

Quando l’educazione passa da uno sguardo e da qualche «no»