Toscana

I giovani al mare con i disabili, le buone vacanze del Gruppo Elba

«Non camminare dietro a me, potrei non condurti. Non camminarmi davanti, potrei non seguirti. Cammina soltanto accanto a me e sii mio amico». Recita così una celebre frase dello scrittore Albert Camus che riassume benissimo quello che fa don Andrea Faberi con il Gruppo Elba aps che compie quest’anno quarantacinque anni dalla sua fondazione: creare un’amicizia tra i membri del gruppo, giovani e disabili, che partono insieme per una vacanza all’isola d’Elba, camminando accanto non solo per una decina di giorni, bensì vivendo un’esperienza di vita e un legame che proseguirà nel tempo.Abbiamo incontrato don Andrea e il giovane volontario Lorenzo Nebbiai presso la casa canonica della Chiesa di Santa Maria di Bagno a Ripoli per sapere di più di questo progetto che in oltre quattro decenni è riuscito a coinvolgere oltre 1.300 giovani.Don Andrea, il Gruppo Elba nasce nel 1977 con il nome di Gruppo Giglio. Ci può raccontare la storia dei primi anni di questa importante realtà?«Ero stato ordinato sacerdote da un anno ed ero parroco nella chiesa parrocchiale dell’Immacolata e San Martino a Montughi, nella periferia di Firenze. Occupandomi soprattutto di giovani, mi resi conto che volevo coinvolgere i ragazzi non solo con la catechesi ma proporre anche un servizio concreto su cui misurare la fede: cominciai così a portarli al Cottolengo, in cui conobbero disabili e persone anziane. In quegli anni la situazione del disabile era diversa da quella di oggi: all’epoca le persone che avevano un handicap spesso restavano chiuse in casa e, talvolta, venivano accompagnate a fare qualche uscita dall’Asl o dalle famiglie, ma si trattava di rare occasioni. Proprio in quei giorni vidi entrare in chiesa dei giovani che spingevano una carrozzina e, parlando con loro, scoprii che non erano dei parenti di quel disabile, bensì alcuni ragazzi della parrocchia di Castello a cui il parroco aveva proposto loro di passare del tempo con alcuni disabili. Quel gruppo mi invitò a passare l’estate del ‘77 all’isola del Giglio e lì iniziò la mia esperienza. Da allora, ogni anno, la seconda quindicina di luglio, portiamo i ragazzi a passare qualche giorno al mare».Quali difficoltà avete trovato all’inizio e come veniva vissuto dai villeggianti e dai residenti la vostra presenza?«Di difficoltà ce ne erano molte! L’isola all’epoca era poco approvvigionata e con poche spiagge; pertanto i bar e i punti di ritrovo in cui andavamo erano sempre gli stessi e qualcuno iniziò a chiederci se potessimo andare in altri luoghi. Noi eravamo circa una ventina di persone, tra le quali cinque o sei disabili, persone in carrozzina, altri con movimenti scoordinati e tanto altro. Alcuni si interessavano a noi e al nostro servizio e ci facevano i complimenti; altri invece erano infastiditi dalla nostra presenza e ci capitò più di una volta che ci consigliassero di andare su una spiaggia riservata a noi, separati dagli altri».I giovani sono stati il cuore pulsante dell’associazione. Che ruolo hanno avuto in particolare?«La mia idea era quella di canalizzare la potenzialità giovanile in qualche servizio che coinvolgesse la realtà quotidiana e che gli facesse avere una visione più completa del mondo. I disabili esistevano e non dovevano rimanere chiusi in casa, volevo che l’energia dei giovani fosse messa a disposizione di chi aveva più bisogno».Ci può raccontare qualche aneddoto simpatico vissuto in questi anni?«Un anno riuscimmo a portare con noi un ragazzo di diciassette anni che soffriva di incontinenza notturna. Eppure, dalla prima sera che rimase con noi al mare, smise di soffrire di incontinenza, smise completamente, tanto che riportò a casa una quantità enorme di pannoloni che avevamo comprato appositamente per lui, ma che non gli erano serviti. Questa situazione ci fece comprendere quanto fosse importante per i disabili vivere esperienze normali con i loro coetanei».Nasce il progetto Sassi Turchini. Un luogo bello e accogliente dove l’indifferenza e il pregiudizio viene vinto. Cosa vuol dire questo luogo per il gruppo Elba?«Già nell’89/90 ci fu un miglioramento: ci spostammo sull’isola d’Elba e passammo da una scuola dove dormivamo per terra con i sacchi a pelo e per cucinare usavamo dei fornelli che portavo dalla parrocchia, a una scuola dove c’erano letti a castello e una cucina attrezzata. Facemmo salti qualitativi enormi! Nel 2011 abbiamo costruito un villaggio di settecentocinquanta metri quadrati: ci sono quattro camere per le femmine, quattro camere per i maschi, i relativi servizi, una cucina modernissima, un refettorio e una tettoia che a volte ospita le attività ludiche, mentre a volte funge da refettorio. È un villaggio che ci viene chiesto anche da altre associazioni, non lo utilizziamo soltanto noi. Un grande ringraziamento va al comune che ci ospita e alla Regione Toscana che all’epoca ci diede un grosso aiuto economico».In questo percorso, la fede che ruolo ha?«Nel gruppo ci sono persone anche di altre religioni, ad esempio quest’anno abbiamo con noi due ragazze musulmane. Non abbiamo mai avuto l’etichetta di gruppo cattolico, siamo aperti a chiunque voglia darci una mano. Durante la giornata ci sono momenti di preghiera e la Messa della domenica, ma non si è obbligati a partecipare. Il nostro obiettivo è di creare esperienze di vita comunitaria tra giovani e disabili in modo che le differenze vengano trasformate in risorse. L’esperienza della condivisione è un messaggio religioso più efficace delle parole. Spero che la nostra semplice testimonianza possa contagiare anche altre parrocchie». Lorenzo, giovane volontario: «Qui non esiste il “noi” e il “voi”, le amicizie che nascono sono vere»Lorenzo Nebbiai, giovane volontario dell’associazione, conferma che la testimonianza è contagiosa: «Sono entrato nel gruppo sei anni fa. Ho voluto provare quest’esperienza perché avevo degli amici che vivevano questa realtà. Posso dire che all’inizio non si sa bene come ci si debba comportare o cosa si debba fare, poi con il tempo si impara. Il rapporto assistente-disabile che si instaura diventa immediatamente una grande amicizia e non si fa più caso alla condizione. È un unico gruppo, non esiste il “noi” e il “voi”, ma semplicemente chi ha più bisogno in determinate cose viene aiutato da chi sta meglio. Tutto qui. Le amicizie che nascono sono vere: ci si incontra anche in inverno e in alcuni pomeriggi si parla, si canta, si fanno delle attività. Viviamo anche delle gite come quella di Roma di pochi mesi fa».«Chi viene aiutato – conclude Lorenzo – ti è riconoscente, te lo dice e te lo fa capire; ma la cosa bella è ci si arricchisce a vicenda, perché, dopo aver passato del tempo insieme, non hai l’idea di aver svolto un servizio, bensì sai di avere aiutato un amico a fare un’esperienza nuova e bella».