Toscana

IRAQ, LIBERAZIONE ARCIVESCOVO: IL RACCONTO DI MONSIGNOR CASMOUSSA

“Sono stato trattato con molto rispetto e resto convinto che, nel caso del mio rapimento, si sia trattato di uno scambio di persona”. Lo dice alla MISNA Monsignor Basile Georges Casmoussa, arcivescovo di Mosul di rito siro-cattolico, sequestrato ieri pomeriggio nella città settentrionale irachena e liberato oggi. “Ero in visita pastorale in città – racconta il presule alla nostra agenzia – ed ero appena uscito da un’abitazione nella quale avevo impartito una benedizione quando, alle 17:05 locali, ho visto una macchina in mezzo alla strada; ne sono uscite due persone armate di fucili che mi hanno catturato e costretto a entrare dentro il baule dell’autovettura”.

Confermando che i rapitori erano di nazionalità irachena, l’arcivescovo ha detto di aver trascorso la notte sotto sequestro e ha aggiunto che l’indomani mattina i criminali gli hanno domandato dettagli sulle sue generalità, chiedendogli in particolare nome e indirizzo. È stato lo stesso presule, che aveva con sé il cellulare, a suggerire ai criminali di contattare i suoi confratelli. Questi hanno telefonato a monsignor Petros Mouché, vicario generale della diocesi di Mosul; durante la telefonata monsignor Casmoussa ha parlato brevemente con monsignor Mouché rassicurandolo sulle sue condizioni di salute. Alle 12:30 i sequestratori hanno portato l’arcivescovo nella zona est di Mosul, in via Al-Wahda, e l’hanno lasciato per strada. Tornato libero, il presule ha preso un taxi ed è rientrato nella sua residenza.

“Ora sono a casa e sto bene” prosegue l’intervistato, aggiungendo: “Episodi come questi vengono interpretati dagli abitanti locali come un segnale lanciato agli ambienti ecclesiastici da gruppi estremisti in vista delle elezioni del prossimo 30 gennaio; molti pensano che si voglia colpire la Chiesa per evitare che assuma un ruolo di rilievo nel futuro governo, ma io non credo assolutamente che sia così e ritengo che il mio sequestro sia stato un errore. Tra l’altro io non avevo mai ricevuto minacce di nessun genere in precedenza”.

L’arcivescovo ammette tuttavia che i cristiani, una minoranza nel Paese, si sentono insicuri e afferma che “i soldati statunitensi dislocati in varie zone dell’Iraq, e vissuti dagli abitanti locali come occupatori, hanno contribuito a dare un’immagine negativa della cristianità alle popolazioni di altre religioni”. L’arcivescovo ricorda che “il Paese è in preda al caos, ovunque ci sono disordini e c’è un alto tasso di disoccupazione” e conclude sostenendo che “in Iraq non c’è ancora democrazia”. (a cura di Luciana Maci)Misna