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ISRAELE, UCCISO A GAZA RANTISI, CAPO DI HAMAS

Una folla che ha continuato a crescere per ore, al grido di “vendetta, vendetta” si è subito radunata intorno all’ospedale “al-Shefa” di Gaza dove ieri sera è morto il pediatra Abdel Aziz Rantisi, 55 anni, capo del movimento integralista islamico Hamas, poco dopo essere stato colpito da uno o due missili israeliani. Anche a Ramallah, sede del presidente dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) Yaser Arafat, si è svolta una manifestazione di imponenti dimensioni. Tumulti sarebbero scoppiati, secono il quotidiano israeliano “Haaretz”, in alcune carceri in cui si trovano detenuti palestinesi. In Egitto, al Cairo, centinaia di studenti hanno lasciato i dormitori dell’università ‘al-Azar’ per un sit-in di protesta; ulteriori manifestazioni sono state convocate per oggi in diversi centri egiziani. Altre condanne sono state espresse, con un’immediatezza senza precedenti, sia dalla Lega Araba che dal governo della Giordania riunito per una seduta d’emergenza.

Rantisi era a capo di ‘Hamas’ – il più deciso avversario di Israele – dal 22 marzo scorso quando lo sceicco Ahmad Yassin era stato ucciso in un’analoga operazione israeliana. Lo stesso missile che ha colpito Rantisi avrebbe ucciso anche suo figlio (ma le prime informazioni sono contraddittorie) e un’altra persona; anche la moglie di Rantisi sarebbe rimasta ferita ma non si sa dove si trovi né quali siano le sue condizioni. “Questa campagna terroristica israeliana è il risultato diretto dell’incoraggiamento americano “ ha affermato, a nome dell’Anp, il primo ministro palestinese Ahmad Qureia. “Israele compie assassinii e fa terrorismo di Stato; il presidente americano lo ricompensa e gli permette di impossessarsi di pezzi del nostro territorio” gli ha fatto eco, ai microfoni della tv del Qatar ‘al Jazira’, il ministro degli Esteri Nabil Shaath.

Due giorni fa, un incontro svoltosi a Washington tra George W. Bush e il presidente israeliano Ariel Sharon si era concluso con la piena approvazione del piano di Sharon per il “disimpegno unilaterale” da Gaza e dalla Cisgiordania (21 insediamenti di coloni palestinesi nella ‘striscia’ e 4 minori nell’altro territorio), di fatto la cancellazione del “tracciato di pace” (o ‘roadmap) in un’atmosfera e con altre intese che hanno suscitato un coro internazionale di reazioni negative talvolta molto dure. Il mediatore palestinese (con grado di ministro) Saeb Erekhat, commentando l’ “esecuzione” – così è stata definita da fonti israeliane – ha invitato tutti a rinunciare alla vendetta aggiungendo però che “ormai tutto è aperto” ed esprimendo il timore che la prossima esecuzione possa riguardare Arafat.

Un anonimo portavoce americano ha detto alla tv americana Cnn che Washington non ha dato “luce verde” a Tel Aviv e che non sapeva alcunché di quest’ultima operazione. La dichiarazione è stata accolta con, a dir poco, grande scetticismo. Il governo britannico ha definito l’uccisione “illegale, ingiustificata e controproducente”. “Ormai Sharon è diventato il ‘padrino’ del Medio Oriente e fa ricorso a una diplomazia da momdo sotterraneo” ha detto Hadash Barakeh, vice-speaker dello Knesset, il parlamento israeliano, testimoniando che anche in Israele è forte a ogni livello il dissenso contro queste operazioni. E’ questa la settima ‘esecuzione mirata’ di esponenti palestinesi dal giugno 2002, all’interno cioè di questa cosiddetta “seconda intifada” – cominciata nell’autunno del 2000 dopo la “passeggiata” di Ariel Sharon (attuale presidente israeliano) – che, secondo alcune fonti, è già costata la vita a 8-900 israeliani e più di 2800 palestinesi.

Non tutte le volte queste operazioni avevano fatto vittime o erano riuscite a colpire il bersaglio voluto; nel giugno 2003, per esempio, Rantisi, allora ‘numero 2′ di Hamas, era rimasto solo ferito; nel marzo 2001, al posto di Marvan Barghouti, era stato ucciso un agente dei servizi di sicurezza palestinesi. Hamas, una parola che in arabo significa grosso modo “coraggio, audacia”, è in realtà anche una sigla che sta per “Harakat al-Muqawamah al-Islamiyya” ovvero ‘movimento di resistenza islamica”; fondato nel 1987, come evoluzione della “fratellanza musulmana” si è dotata di un “braccio armato” dal 1991 con le brigate ‘Ezzedin al Qassam’ ma non ha masi smesso di svolgere anche un’intensa e capillare azione di assistenza sociale nei confronti della popolazione palestinese. Poco meno di un anno fa, nonostante le sue posizioni intransigenti nei confronti dello Stato di Israele (di cui vuole la distruzione), aveva aderito a una “hudna”, una tregua che di fatto non è mai stata veramente in vigore. (Misna)