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Il Concilio ha 40 anni

di Riccardo Burigana*direttore del Centro di documentazionedel movimento ecumenico italiano (CeDoMei – Livorno)L’8 dicembre 1965 Paolo VI chiudeva ufficialmente il concilio Vaticano II: aveva così termine un lungo processo che aveva coinvolto non solo la Chiesa cattolica, fin dal momento della sua indizione, il 25 gennaio 1959, da parte di papa Giovanni XXIII che aveva dato notizia della sua volontà di convocare un concilio ecumenico ai cardinali romani riuniti nella basilica di S. Paolo fuori le Mura alla conclusione della Ottava di preghiera per l’unità dei cristiani.

Fin da quell’annuncio il concilio ecumenico, voluto da papa Giovanni insieme alla celebrazione di un sinodo della diocesi di Roma e alla riforma del Codice di Diritto canonico, come elementi caratterizzanti il proprio pontificato, era diventato oggetto di interesse non solo per la Chiesa cattolica, ma per i cristiani non-cattolici, per i credenti di altre religioni e per la società civile, anche quella più estranea a una riflessione religiosa. Questo interesse nasceva essenzialmente dalle speranze suscitate dal pontificato di Giovanni XXIII che, fin dai suoi primi gesti, aveva mostrato di voler percorrere la strada del dialogo all’interno e all’esterno della Chiesa, alla ricerca di ciò che univa gli uomini, pur riaffermardo con forza e con chiarezza la dottrina della Chiesa cattolica romana.

Proprio per questo nella lunga e travagliata fase preparatoria, sulla quale non molte erano le notizie che circolavano negli scarni comunicati ufficiali del Vaticano sui contenuti e sui tempi del futuro concilio, non mancarono le voci che chiedevano e auspicavano la celebrazione di un concilio ecumenico che fosse un momento di confronto tra le tradizioni cristiane, dopo secoli di condanne, nella prospettiva dell’unità della Chiesa e al tempo stesso diventasse un’occasione per la creazione di un dialogo tra la Chiesa cattolica e il mondo moderno nella prospettiva della costruzione di una società, fondata sulla giustizia e sulla pace. Le tante attese sulla celebrazione del concilio vennero in qualche modo frustrate dalla circolazione, nell’estate 1962, della prima serie di sette schemi, che i padri conciliari sarebbero stati chiamati a discutere nell’imminente apertura del Vaticano II; in questi schemi, fatta eccezione per quello sulla liturgia, era assente la tensione al dialogo e al rinnovamento del pontificato di Giovanni XXIII, tanto che era riproposta una dottrina in termini puramente apologetici.L’apertura del concilio, l’11 ottobre 1962, cambiò radicalmente la prospettiva perché Giovanni XXIII indicò ai padri conciliari, alla Chiesa e al mondo la strada per un «aggiornamento» che consentisse di presentare la dottrina plurisecolare della Chiesa in una forma nuova attraverso un dibattito fraterno tra i padri conciliari. Questo intervento, insieme alla mobilitazione di tanti vescovi e teologi fin dall’estate 1962, contribuirono a creare un clima nuovo nel quale vennero maturando gli schemi che furono promulgati a partire dalla seconda sessione del concilio, aperta il 29 settembre 1963 da Paolo VI, che era succeduto a Giovanni XXIII, morto il 3 giugno 1963.

Proprio a papa Paolo VI, che aveva preso parte alla I sessione del concilio in qualità di arcivescovo di Milano, si deve la straordinaria opera che ha condotto alla promulgazione dei sedici documenti, con il raggiungimento della quasi-unamità su ognuno di essi; da parte di Paolo VI non si è trattato semplicemente di lavorare per raggiungere un compromesso in nome dell’unità della Chiesa, quanto di procedere a una sintesi, pienamente coerente con la tradizione della Chiesa, in linea con la pluralità di posizioni emerse durante i lavori del Vaticano II, anche fuori dall’aula conciliare, dove si svolgeva il dibattito pubblico tra i padri conciliari, o fuori dalle aule delle commissioni, dove avveniva il confronto tra teologi.

Sarebbe però riduttivo immaginare che la ricchezza del Vaticano II possa esaurirsi nella conoscenza dei documenti finali, che pure rappresentano una pietra miliare sempre attuale nella vita della Chiesa, e nella ricostruzione del dibattito redazionale degli schemi, poiché il concilio Vaticano II costituì un evento della storia del XX secolo proprio perché coinvolse non solo coloro che erano chiamati più direttamente alla redazione e all’approvazione dei documenti, ma tutti coloro che furono in grado di seguire un confronto nel quale l’ansia di aggiornamento di Giovanni XXIII venne arricchendosi delle istanze per un rinnovamento condotto da Paolo VI.

Per questo alcuni temi, come la riflessione sulla natura della Chiesa, la riscoperta della centralità della Scrittura nella riflessione e nella vita della Chiesa, la definizione del cammino ecumenico, il nuovo modo di pensare al rapporto con il mondo ebraico e il tentativo di creare un dialogo permanente con il mondo moderno, solo per citare i più significativi, furono vissuti in termini che vanno ben oltre le formulazioni poi approvate, dal momento che i testi discussi a Roma furono spesso accompagnati da riflessioni e interventi, che arricchirono il dibattito soprattutto a livello locale, anticipando, talvolta, il testo definitivo, suscitando attese e speranze, che andarono poi deluse al momento della lettura dei documenti promulgati dai padri.Questo coinvolgimento universale, che rappresenta una novità nella storia dei concili ecumenici, costituisce un elemento del quale tenere conto nella valutazione sulla recezione del Vaticano II, che iniziò già durante la sua celebrazione, come dimostra la Riforma liturgica, per la quale, nel gennaio 1964, Paolo VI creò una commissione apposita che promovesse la realizzazione delle riforme indicate dalla costituzione Sacrosanctum concilium promulgata il 4 dicembre 1963. La recezione del Vaticano II, sulla quale cominciano a essere pubblicati degli studi scientificamente fondati, si sviluppò in forme e contenuti assai diversi, alcuni dei quali non traevano origine dal corpus dei documenti approvati, alimentando così un dibattito sulla natura del Vaticano II. Questo dibattito spesso teneva conto piuttosto delle contrapposizioni conciliari che di una serena analisi di un processo storico nel quale la celebrazione del Vaticano II fu un momento centrale ma che non poteva essere riassunto completamente con esso, dal momento che si può conoscere e comprendere il Vaticano II solo contestualizzando la sua celebrazione nell’orizzonte più vasto della storia del cristianesimo del XX secolo.Nel momento in cui si celebra il 40° anniversario della sua conclusione si deve notare con gioia un rinnovato interesse per il significato e il contenuto del Vaticano II, come dimostrano le tante iniziative, di vario livello, che si sono susseguite in questi mesi, spesso in ambito locale; al tempo stesso si deve osservare il progredire della conoscenza storico-teologica del Vaticano II, con la pubblicazione di fonti e studi, che tendono a illuminare anche aspetti, finora considerati marginali, come il coinvolgimento di vescovi e Chiese locali nella celebrazione e nella prima recezione del concilio.

Indubbiamente nella prospettiva di una sempre migliore conoscenza del corpus dei documenti conciliari, attraverso una lettura complessiva, che tenga conto del processo redazionale e del valore dogmatico-pastorale, si avverte l’assenza di una collana che favorisca, soprattutto in coloro che non hanno vissuto la stagione del Vaticano II, la comprensione della complessità dei tempi e dei temi, che si ritrovano nei documenti approvati. Si tratta di una lacuna non-piccola, che sarebbe opportuno colmare con l’avvio di un progetto per la realizzazione di una collana di commenti a testi, alla luce di quanto in questi anni si è venuto editando e pubblicando, non semplicemente per aggiornare le collane di commento ai testi, pubblicate nei primi anni del post-concilio, quanto per offrire alla Chiesa incamminata nel III millennio uno strumento per conoscere e per riflettere sul concilio Vaticano II, nel momento in cui per ragioni anagrafiche sta venendo meno la generazione di coloro che votarono quei documenti.

La collana di commenti ai documenti consentirebbe anche di abbandonare definitivamente la stagione della memorialistica, dal sapore spesso ideologico, che ha schiacciato la complessità del Vaticano II in una logica, puramente politica, di contrapposizione di schieramenti. Questa collana, pensata per l’Italia e non semplicemente tradotta per l’Italia, promoverebbe così un processo di reale conoscenza del Vaticano II da punto di vista storico, dogmatico e pastorale, nella prospettiva di alimentare proprio a partire dalla memoria storica del concilio Vaticano II il cammino verso la costruzione dell’unità visibile della Chiesa, secondo le parole di Benedetto XVI fin dal giorno della sua elezione.

Intervista a mons. Castellano:«Un bagno nelle acquelimpide del Vangelo»Il Concilio? «È stato come un bagno purificatore. Un bagno della Chiesa nelle acque limpide del Vangelo, per ripulirne il volto dalle incrostazioni accumulate nel corso dei secoli. La Chiesa ne è uscita più pulita, trasparente, più spirituale, per essere veramente a servizio di Dio e del mondo». Mario Jsmaele Castellano, vescovo emerito di Siena-Colle Val d’Elsa-Montalcino, quel «bagno» lo ha vissuto dal di dentro: quando il Concilio si aprì, nel 1962, era arcivescovo di Siena da pochi mesi. Ha partecipato ai lavori preparatori, nella commissione per l’apostolato dei laici, e poi alle varie assemblee del Concilio, intervenendo in particolare nella commissioni sul laicato, sulle comunicazioni sociali e sul «mondo contemporaneo».

Cosa ricorda di quegli anni?

«Quello che mi ha sempre impressionato è il fatto che, eccetto il documento sulla riforma liturgica approvato con qualche voto contrario, sugli altri ci fu sempre l’unanimità, o quasi. Su più di duemila tra vescovi e cardinali, questo è sicuramente il segno che lo Spirito Santo era al lavoro. E oggi sono contento di sentire il Papa citare continuamente il Concilio, fare riferimento ai documenti, invitare a studiarli».

Se dovesse scegliere uno dei frutti del Concilio che ne sintetizzi il valore, cosa sceglierebbe?

«Un emblema dei cambiamenti portati dal Concilio è proprio la figura del Papa. Prima era un re, circondato dalla corte pontificia. Adesso si presenta in modo semplice, come un apostolo, in mezzo alla gente».

A proposito di Papi, il Concilio ne ha avuti due…

«Per indire il Concilio ci voleva il coraggio di Giovanni XXIII, che dovette superare molte resistenze: direi quasi l’incoscienza di chi non si preoccupa di quali possono essere le conseguenze del suo gesto. Per portarlo a termine, ci voleva la sapienza di Paolo VI. Il lavoro di mediazione a volte non fu semplice, alcuni documenti furono fatti e rifatti diverse volte come quello sulla Bibbia, la Dei Verbum, sul quale giocò un ruolo determinante l’arcivescovo di Firenze, il cardinale Florit».

C’è un episodio che le è rimasto nel cuore?

«L’ultimo giorno, l’8 dicembre del 1965, quando a chiusura del Concilio i padri intonarono un antico canto conciliare: “Haec est fides nostra, haec est fides ecclesiae”. Questa è la nostra fede, questa è la fede della Chiesa. Come a dire che, dal confronto tra tutte le Chiese particolari, alla fine era emerso il credo della Chiesa universale».

L’indagineE i ragazzi lo confondonocon quello di Trentodi Sara Martini«Il Concilio? Che cos’è?». Questa la risposta, la replica anzi, più frequente da parte dei ragazzi alla domanda: «Cosa sai del Concilio Vaticano II?». L’occasione è il raduno dei cresimati della Diocesi di Firenze. Molti di loro non ne hanno mai sentito parlare, rimangono interdetti di fronte alla mia domanda. C’è anche chi mi chiede, attingendo ai suoi studi, se mi riferisco all’evento del Concilio di Trento, la cui trattazione e il cui periodo storico rientra nei programmi di storia a scuola. Altri, invece, pur non ricordando bene, dicono di averne sentito parlare in parrocchia, e provando ad associare i loro ricordi, mi rispondono che pensano che il Concilio sia una riunione di vescovi, o comunque il luogo in cui si radunano i cardinali e i vescovi del mondo. Ma quando provo a chiedere loro se sanno chi indisse il Concilio, quando avvenne, allora rimangono un po’ tutti sbalorditi. Sarà anche per questo che ad Assisi i vescovi italiani, simbolicamente, hanno consegnato a una delegazione di giovani i documenti del Concilio. Tornando ai nostri ragazzi, accanto al prevalere di risposte generiche, ne arrivano altre un po’ più precise. «Anche se non so perché, so che è stato un evento di grande rilievo per la Chiesa, molti ne parlano in modo positivo, sento spesso dire che tante cose nella Chiesa sono cambiate, si sono rinnovate da quando questo è avvenuto a Roma»: così mi ha risposto Andrea con semplicità e convinzione al contempo. Angela, sulla scia delle parole dell’amico, aggiunge che la catechista fece una raccomandazione durante una giornata di ritiro: regalando a ciascuno dei ragazzi la Bibbia, invitò loro ad amare il testo sacro, a prendersi del tempo per leggerne dei passi, a farne il loro compagno di viaggio per eccellenza, aggiungendo un particolare, di cui la ragazza dice : «La catechista ci disse che prima del Concilio i fedeli e quindi anche i ragazzi come noi non potevano conoscere questo testo. Questo mi ha colpita, ed ora – dice ancora Giulia – quando apro la Bibbia penso a questo particolare e mi sento fortunata! Ha un grande significato per me questo ricordo e quindi anche il Concilio!».Riccardo Bigi

Il Concilio Vaticano II