Toscana

Il dramma di Eluana

La notizia arriva mentre al Senato si discute il DlEluana Englaro è morta lunedì 9 febbraio, alle 19,35, nella clinica «La Quiete» di Udine dove si trovava dal 3 febbraio, dopo 17 anni trascorsi in stato vegetativo a seguito di un incidente stradale. Da venerdì le erano state sospese alimentazione e idratazione, ma la morte è stata più repentina del previsto. L’atto ufficiale di morte è stato steso e firmato dal direttore sanitario della struttura friulana, Stefano Santin. La magistratura ha sequestrato le cartelle cliniche e il certificato di morte, mentre l’autopsia era già prevista dal «protocollo» di sospensione. La notizia è stata battuta dalle agenzie attorno alle 20,10 ed è arrivata al Senato mentre era in corso il dibattito per l’approvazione del disegno di legge del governo che avrebbe dovuto impedire la sospensione dell’alimentazione e idratazione ai malati. Il presidente del Senato, Renato Schifani ha chiesto subito un minuto di silenzio, chiedendo poi di proseguire nel dibattito. I toni si sono subito accesi con fischi e urla dai banchi dell’opposizione e grida di «assassini» da quelli della maggioranza. Il disegno di legge, che ricalcava il decreto legge approvato dal Consiglio dei ministri venerdì 6 febbraio e non firmato dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, era composto da un solo articolo che recitava così: «In attesa dell’approvazione di una completa e organica disciplina legislativa in materia di fine vita, l’alimentazione e l’idratazione, in quanto forme di sostegno vitale e fisiologicamente finalizzate ad alleviare le sofferenze, non possono in alcun caso essere sospese da chi assiste soggetti non in grado di provvedere a se stessi». Il secondo comma stabiliva l’entrata in vigore della norma il giorno stesso della sua pubblicazione. Il disegno di legge è stato poi trasformato in una mozione, approvata con 159 sì e 104 no. Nel Pd hanno votato a favore Francesco Rutelli, Lucio D’Ubaldo, Emanuela Baio e Claudio Gustavino. In stato vegetativo da 17 anniEluana Englaro (nella foto) era entrata in coma il 18 gennaio 1992, a 19 anni, per un incidente stradale. Un anno dopo viene dichiarata in stato vegetativo permanente. Nel 1994 entra nella casa di cura di Lecco «Beato L.Talamoni», dove è assistita con amore dalla suore misericordine. Deve essere alimentata con un sondino nasogastrico e idratata. Nel gennaio 1999 Beppino Englaro chiede di sospendere l’alimentazione artificiale, ma il Tribunale di Lecco dice di no. La Corte d’Appello di Milano dice no per altre 7 volte alle richieste del padre. Ma il 9 luglio 2008 la Corte d’Appello di Milano autorizza la sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione. Il 3 settembre la famiglia chiede alla Regione Lombardia una struttura per eseguire il decreto, ma la Regione dice no. L’8 ottobre 2008 la Corte Costituzionale dà ragione a Cassazione e Corte d’Appello e il 14 novembre la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso della Procura, rendendo così definitivo il decreto della Corte d’Appello. Il 16 dicembre il ministro della Salute invia un atto a tutte le strutture del SSN secondo cui sarebbe illegale negare l’alimentazione a persone in stato vegetativo. Il 2 febbraio Eluana viene trasferita alla clinica privata «La Quiete» di Udine, dove muore alle 19,35 del 9 febbraio. Vescovi in preghiera a LeccetoMinuto di silenzio in RegioneI  vescovi toscani ribadiscono il valore intangibile della vita, auspicando che le istituzioni, su argomenti che riguardano i diritti inalienabili dell’uomo, si esprimano con prontezza e determinazione, a partire dal valore assoluto della vita umana e in modo tale che questioni così importanti non vengano affrontate più sotto la pressione dell’emergenza». Lo afferma il comunicato emesso al termine della riunione della Conferenza Episcopale Toscana, tenutasi lunedì e martedì scorso all’Eremo di Lecceto (testo integrale). I vescovi toscani – come ricorda lo stesso comunicato – erano stati raggiunti dalla notizia della morte di Eluana Englaro proprio a Lecceto, mentre erano riuniti per i lavori della Cet e subito dopo si sono «raccolti nella cappella della casa di spiritualità» e «hanno pregato per lei e per la sua famiglia».

La notizia della morte di Eluana è giunta mentre era in corso a Firenze una manifestazione organizzata dal centrosinistra e da alcune associazioni, come l’Arci, davanti alla Prefettura, in difesa di Napolitano e di solidarietà con Beppino Englaro. In Palazzo Vecchio, dove era in corso il Consiglio comunale, il sindaco Leonardo Domenici ha chiesto un minuto di silenzio. Minuto di silenzio anche in Consiglio regionale, martedì 10, su proposta del presidente Riccardo Nencini che ha chiesto di non discutere le mozioni già presentate sul caso Englaro.

Messe e veglie, spesso già programmate prima della morte di Eluana, si sono tenute in varie città toscane. A Firenze era stata promossa dall’Associazione Scienza & Vita e Movimento per la vita.

Il parere di due medici:Senza umanità la scienza medica diventa scientismoIl «caso Englaro» è stato paradigmatico anche per il mondo medico, chiamato in causa sia per il decorso dello stato vegetativo di Eluana, sia per i protocolli da applicare alla stessa nei giorni della cessazione di alimentazione e idratazione. Abbiamo chiesto a due medici di esprimersi in merito.

Questo caso insegna a rimpossessarsi del senso del pudore per le cose che riguardano lo spirito. Nel rapporto col malato il medico deve essere sempre ineccepibile e deve metterci umanità, accostandosi a lui come da paziente a paziente. È un rapporto che definirei sacro. Piuttosto occorre chiamare le cose col loro nome, senza mistificazioni né inganni. Il neurologo di Eluana il giorno prima che morisse aveva dichiarato a un giornale che era sana e, al di là della lesione cerebrale, non aveva mai avuto bisogno di una medicina, di un antibiotico. Allora dobbiamo chiederci cosa sia successo in così pochi giorni. Occorre riportare nel proprio alveo naturale il rapporto medico-paziente e a questo proposito ricordo le parole del Papa pronunciate il 20 ottobre scorso ai chirurghi, quando disse che bisogna guardare con sospetto qualsiasi tentativo di intromissione dall’esterno in questo delicato rapporto. Compito del medico è accompagnare il malato a vivere il momento ultimo della sua vita sul piano sanitario al massimo della competenza e su quello spirituale al massimo dell’umanità.

Alfredo AnzaniOrdinario di etica clinica al San Raffaele di Milanoe vice-presidente Federazione medici cattolici europei

La medicina in realtà non è una scienza ma un’arte e la clinica è la somma degli aspetti scientifico ed umanistico. La scienza medica senza umanità è scientismo, l’umanesimo senza la scienza è pietismo e se si perde uno di questi due aspetti ecco che si arriva al caso Englaro. Il medico è, perciò, grande quando si accanisce contro la malattia e mai contro l’ammalato. Oggi questo caso c’insegna anche un’altra cosa: siccome non è credibile che sospendendo per pochi giorni l’alimentazione e l’idratazione si arrivi a una morte così rapida, dobbiamo presumere di essere di fronte a un caso di eutanasia attiva. Lo dirà l’autopsia. A noi però interessa che non si giunga a una deriva come, ad esempio, in Svezia, dove quando una persona supera il 70° anno di vita si tenda all’abbandono terapeutico. Potremmo assistere a tentativi di nascondere l’evidenza diagnostica, se si ha il sospetto di essere abbandonati terapeuticamente, o peggio esposti a una qualche forma di eutanasia. Occorre inoltre ricordarsi che Eluana è ciascuno di noi, prima o poi. Compito del medico è allora di prendersi cura sempre, anche nelle situazioni più estreme.

Luigi FrigerioPresidente Società lombarda di oncologia ginecologicaa cura di Luigi Crimella Mirabelli: «Ora una buona legge sulla fine della vita»«In democrazia si decide ragionando e votando, ed è auspicabile si ragioni, si voti e si ascolti la voce della coscienza, in un settore in cui la legge non può tutto». È l’augurio per una legge sul «fine vita», espresso da Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte costituzionale e docente di diritto, nel giorno in cui il Parlamento – dopo la morte di Eluana Englaro – «riparte» dal disegno di legge (ddl) presentato dalla maggioranza un paio di settimane fa e all’esame della commissione Igiene e Sanità del Senato. Argomento del ddl, una decina di articoli in tutto, le «Dichiarazioni anticipate di trattamento» (Dat). Mirabelli giudica un fatto positivo che «si parli di legge sulle dichiarazioni anticipate di trattamento, più che di testamento biologico. Sembra che ci sia un impegno del Parlamento ad approvarla, anche se è prevedibile uno scontro su qualche punto nodale, ad esempio, sulle questioni dell’alimentazione e dell’idratazione».

Quella di Eluana non è stata una morte naturale, ma il frutto della decisione di chi ha agito in base ad una sentenza della magistratura…

«C’era un decreto della Corte di Appello di Milano, di volontaria giurisdizione, che autorizzava chi rappresentava Eluana a rifiutare l’alimentazione e l’idratazione e ad intervenire eliminando il sondino. Il decreto non imponeva, ma consentiva, concedeva cioè non l’obbligo, ma la facoltà. La Cassazione ha poi fornito alcune prescrizioni e modalità con cui intervenire, di carattere tecnico o paratecnico, che non si sostituivano però alla disciplina che in ipotesi veniva data sul piano generale. Le modalità con cui si è proceduto andranno verificate: io credo, però, che debba prevalere il sentimento di pietà nei confronti di Eluana, del padre e di tutti coloro che sono stati coinvolti in questa tragica vicenda, che ha innescato una riflessione generale, ha agitato la coscienze. È una vicenda che credo non lasci tranquillo nessuno, neanche chi ha la più radicale certezza del “diritto alla morte”, e che merita un serio impegno di approfondimento».

Cosa significa sul piano giuridico?

«Ci vuole una disciplina sollecita ed equilibrata, soprattutto a partire dalla necessità che vengano individuate tutte le garanzie necessarie per evitare ogni tipo di “deriva”. La necessità più urgente è quella di garantire le persone più deboli, e deve essere avvertita anche da chi ritiene che la scelta di vivere o morire sia una scelta personale e che il rifiuto dei trattamenti sanitari sia sempre e comunque legittimo».

Da dove partire per una buona legge sul «fine vita»?

«Il punto fondamentale è il consenso informato, che presuppone quello che è sempre stato un fondamento della responsabilità sanitaria, ossia il rapporto tra medico e paziente e l’attenzione all’adeguatezza e alla proporzionalità degli interventi. Un altro nodo culturale, prima che giuridico, che divide è una lettura corretta dell’art. 32 della nostra Costituzione, dove si afferma nella forma più solenne che la Repubblica tutela la salute. Ma la tutela della salute presuppone la tutela della vita. Quanto al divieto di essere sottoposti ai trattamenti sanitari obbligatori la libertà di scelta è un principio valido, ma esige il consenso informato, sulla base della proporzionalità tra le facoltà di scelta della persona e la proporzionalità dei mezzi. Si tratta, in altre parole, di una “valutazione in situazione” che deve prevalere, affermando le garanzie del caso: la proporzionalità del tipo d’intervento, la comprensione della persona e la fiducia nel medico, che informa dei rischi a cui si potrebbe andare incontro, i quali vanno bilanciati tutelando la salute come diritto della persona e interesse della comunità».

Quanto può pesare, in questo momento, il «fattore emotività»?

«Il fattore emotivo indubbiamente c’è, e i media rischiano di amplificarlo o di utilizzarlo strumentalmente a seconda del loro orientamento. A mio avviso, è fondamentale l’attenzione a due nodi di fondo: i modi di manifestazione del consenso informato e le garanzie che lo devono accompagnare per un’informazione adeguata e adatta alla valutazione del consenso stesso, e – in secondo luogo – i limiti dell’anticipazione di questo consenso, che richiede di per sé l’attualità della valutazione e che è mutevole a seconda del contesto in cui il soggetto si trova ad esprimerlo. La dignità della persona, inoltre, va sempre e comunque preservata, ovviamente anche attraverso il rifiuto di trattamenti sanitari, ove questi offendano la persona».

M.Michela Nicolais IL DRAMMA IN TVUn «Grande fratello» per non farci pensareColpiva, lunedì scorso, la lontananza tra la forza della tragedia che stavamo vivendo (da pochi minuti era morta Eluana che da quattro giorni non riceveva più né cibo né acqua) e la leggerezza delle stupidaggini in onda, nonostante la tragedia, al «Grande Fratello» (veniva eliminata Federica perché aveva lanciato un bicchiere d’acqua contro Gianluca). Colpiva ma non stupiva.

Altre emittenti, compresa la Rete 4 di Emilio Fede, avevano rivoluzionato i palinsesti per stare dietro al filo di grandi emozioni e di non poche contrapposizioni. Ma lui, il «Grande Fratello», non poteva permettersi di stare in silenzio: troppo forti i contratti pubblicitari ma, soprattutto, troppo necessaria – a un paese ormai in caduta libera – la diretta da una casa che, raccontando inutili vicende di sciocchi, anestetizza milioni di altri sciocchi; non li fa pensare al respiro che Eluana aveva appena finito di emettere; non li fa riflettere sulle derive successive.

C’è bisogno anche del GF per far passare certe mentalità, per convincere che ognuno deve essere comunque libero di fare ciò che crede, che certi paletti etici sono anticaglie, che ogni individuo è padrone di ogni sua pulsione, perfino della sua morte. E via via, con dosi sempre più forti di GF, presto nessuno troverà più strani certi pensieri che fino ad oggi, almeno un pochino, ci facevano pensare.

Colpiva, lunedì scorso, che il GF andasse in onda lo stesso; ma non stupiva.

Lo spettacolo, e certe sottili ideologie, sono come il cinismo. Devono andare avanti. Comunque.

Mauro Banchini