Toscana

Il lupo amico da proteggere e studiare

di Gianni VerdiVita da lupi, tempo da lupi, affamato come un lupo, quell’uomo è un vero lupo. Sono tutte espressioni ancor oggi ricorrenti nel nostro linguaggio, che testimoniano l’atavica paura che l’umanità porta nei confronti di questo affascinante predatore, sebbene esso sia una sorta di capostipite della famiglia del cane, definito invece storicamente – e magari giustamente – «il migliore amico dell’uomo». Nel Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna (un’area protetta di circa 36.000 ettari sul crinale Tosco-romagnolo, istituita nel 1993 e comprendente territori nelle province di Arezzo, Firenze e Forlì-Cesena) il lupo è osservato e studiato, e in particolare in questa estate 2005, presso il Santuario della Verna – dove il Corpo Forestale dello Stato ha istituito una casermetta prefabbricata in legno come punto di sorveglianza, informazione e divulgazione – sono stati resi noti al pubblico i risultati di una ricerca condotta dagli uomini del CFS sulla vita ed i comportamenti del lupo nel comprensorio del Parco. Studi che hanno messo in evidenza una serie di dati interessanti, alcuni dei quali già noti o comunque intuibili, altri invece destinati ancora una volta a farci riflettere.

Il lupo si trova al vertice della catena alimentare e tra queste montagne e foreste fra Casentino, Mugello e Romagna riesce ad alimentarsi facilmente predando l’abbondante fauna ungulata presente, composta soprattutto da cinghiali, caprioli, cervi e daini. Pochi sono da parte dei lupi gli attacchi al bestiame domestico, specie se considerati rispetto ad altre zone della penisola italiana. Pur protetto da leggi nazionali ed internazionali il lupo vive la sua esistenza tuttora in eterno conflitto con l’uomo, o meglio con i suoi pregiudizi e con le sue paure di comodo, spesso assurte a magra giustificazione di atti di bracconaggio. Le tecniche utilizzate per «osservare» il lupo sono di due tipi: l’analisi delle risposte ad ululati indotti (Wolf Howling) ed il cosiddetto «monitoraggio genetico».

In particolare questa ultima tecnica è stata applicata in modo sistematico ed organizzato negli ultimi 3 anni. «Si tratta – spiegano gli uomini del CFS – di raccogliere campioni biologici di lupo, in maggioranza escrementi, usati dal predatore per marcare il territorio in siti ricorrenti, e a volte peli o carcasse delle sue prede. Di ogni campione raccolto viene registrata la posizione GPS oltre a dati faunistici. Tali dati vengono poi trasferiti in un sistema informativo geografico GIS, mentre il campione è analizzato nei laboratori dell’Istituto Nazionale per la fauna selvatica di Ozzano (Bologna).

Nel 30-40% dei casi dai campioni raccolti è possibile risalire addirittura al DNA del lupo a cui essi appartengono. In poco più di due anni gli operatori del CFS hanno raccolto centinaia di campioni, che hanno portato a isolare 120 genomi corrispondenti a 55 lupi distinti. Un numero molto elevato, se non eccezionale, in rapporto all’estensione del Parco e delle sue immediate circostanza (circa 45.000 ha)». Da rilevare anche che singoli individui sono stati ricampionati più volte, (55 individui su 120 genomi appunto) anche a distanza di tempo e di luogo, consentendo ipotesi sull’aggregazione dei branchi, sul comportamento e sull’uso del territorio.

«Emerge da queste analisi almeno un dato di fondo: l’esistenza del Parco sembra costituire un punto di enorme interesse per la vita dei lupi, che vi trovano rifugio e prede e quindi – pur muovendosi molto per natura e vivendo anche al di fuori dei confini geografici dell’area protetta – ne sfruttano senza dubbio le possibilità di protezione». Ogni anno l’Ente Parco spende centinaia di migliaia di euro per rifondere i danni provocati alle colture agricole dai cinghiali, dai cervi, dal daino e dal capriolo, mentre decisamente più modesti sono i danneggiamenti provocati dal lupo, animale certo meno propenso ai contatti con l’uomo ed agli avvicinamenti ad ambienti antropizzati. In questo contesto il predatore si è rivelato a volte un alleato prezioso per controllare l’esplosione demografica degli ungulati, che ancora non si è arrestata nonostante la sua attenuazione rispetto agli anni scorsi. «Malgrado questo il bracconaggio sul lupo è un fenomeno ancora diffuso» confermano i Forestali: «Il lupo muore ucciso da fucilate, avvelenato, preso al laccio o investito. Dal ’93 ad oggi, nel comprensorio del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, sono stati rivenuti dal CFS i cadaveri di 36 lupi, di cui 9 all’interno del perimetro dell’area protetta, o comunque sempre nei pressi dei confini esterni. Il dato è facilmente interpretabile ed è pure approssimato per difetto». Il monitoraggio genetico continua, il Parco è solo uno dei tanti territori in cui viene effettuato, lo stesso avviene nell’Appennino Emiliano e Romagnolo, nel Mugello e presto avverrà anche in Liguria e in Piemonte.

E l’Europapaga i dannidelle scorribandeLa Comunità europea è pronta a giustificare le scorribande dei lupi toscani che quando si avventurano fuori dai parchi naturali o dai loro habitat terrorizzano pecore, capre, cavalli o bovini mettendo a rischio anche la loro produzione di latte e di pregiati formaggi. Si considera che siano circa 150 i lupi che popolano la Toscana. La Toscana potrà quindi concedere, per i prossimi sei anni, un aiuto a sostegno degli allevamenti attaccati dai lupi e comunque da predatori a loro volta protetti per garantire la conservazione degli habitat naturali, della flora e della fauna selvatiche. Per il 2006 l’aiuto sarà pari a 565.000 euro. La misura si articola su due tipi di interventi: in primo luogo un aiuto agli investimenti in materia di prevenzione e protezione, ma anche un aiuto per il pagamento dei premi assicurativi legati ai danni provocati dagli attacchi di predatori – come orsi e lupi – nei cui confronti c’è un divieto assoluto di caccia.