Toscana

Il matrimonio gay di Grosseto? Giurisprudenza creativa

Giurisprudenza creativa. Nelle parole di Cesare Mirabelli, giurista, docente e presidente emerito della Corte Costituzionale, è questo l’appellativo adatto per la sentenza del tribunale di Grosseto, che ordina all’Ufficiale di stato civile del capoluogo toscano di trascrivere nei registri il matrimonio fra Giuseppe Chigiotti e Stefano Bucci, avvenuto il 6 dicembre 2012 a New York. La coppia aveva presentato un’istanza lo scorso giugno per la trascrizione del matrimonio, ma il Comune di Grosseto l’aveva respinta, asserendo il «contrasto con la normativa vigente sia di rango costituzionale sia ordinaria in quanto l’istituto del matrimonio nell’ordinamento giuridico italiano è inequivocabilmente centrato sulla diversità di sesso dei coniugi». I due hanno quindi fatto ricorso al Tribunale, che ieri ha emesso la sua sentenza.

Professor Mirabelli, cosa ne pensa della decisione del Tribunale?

«Stiamo assistendo a una manipolazione giurisprudenziale dell’ordinamento con l’affermarsi di casi di giurisprudenza fortemente creativa. Un matrimonio tra due persone dello stesso sesso contrasterebbe con l’ordine pubblico italiano, perciò non si comprende come il Tribunale di Grosseto abbia potuto disporre così. È evidente che si tratta di una decisione relativa al caso singolo, ma segnala questa tendenza non tanto a dare attuazione alla disciplina normativa, ma a innovare modificandola, intervenendo in ambiti particolarmente sensibili come quelli del diritto della persona e del diritto di famiglia».

Viene legittimato dalle aule dei tribunali, quindi, ciò che non passa per legge?

«Questa decisione mi pare sbagliata. Peraltro non è definitiva se il pubblico ministero, che aveva espresso parere contrario, la impugna in appello, come risulta dalle sue ultime dichiarazioni. Ribadisco, tuttavia, che si tratta di una singola sentenza, non costituisce un indirizzo giuridico».

È però in grado d’influenzare l’opinione pubblica e future decisioni in merito?

«L’ordinamento non prevede il matrimonio tra persone dello stesso sesso, quindi è proprio una fuga in avanti, anzi, una decisione estremamente creativa. È vero che, nella pubblica opinione, chi ha maggiore originalità di pensiero ottiene più risonanza, che magari da qualcuno viene pure cercata. Ma non si può proprio dire che questa sentenza sia un indirizzo giurisprudenziale».

L’avvocato della coppia ha argomentato che la normativa non precisa che il matrimonio debba essere contratto tra persone di sesso diverso…

«Il Codice civile e la Costituzione lo danno per scontato. All’epoca dei padri costituenti non era certo in discussione che il matrimonio lo contraessero un uomo e una donna. Il legislatore può disciplinare anche in modo differente. Ma che un giudice, sulla base di un’interpretazione lessicale, innovi così profondamente l’ordinamento è una singolarità».

È forse il caso di richiamare a livello legislativo la differenza sessuale tra i coniugi, come avvenuto di recente in Croazia tramite un referendum?

«Non occorre nulla di più esplicito. Semmai bisogna fare qualcosa se si vuole disciplinare una forma di unione tra persone dello stesso sesso, ma questo è compiuto del legislatore, non di un interprete come la magistratura».

Ieri la sentenza della Corte costituzionale sulla fecondazione eterologa, oggi questa. Sembra che le decisioni sensibili vengano prese fuori dai luoghi deputati a legiferare.

«Il caso della Corte è diverso. Lì il riferimento – criticabile o meno – è il rispetto della Costituzione. Bisogna vedere le motivazioni della sentenza. Quel che appare, guardando alla decisione della Corte, ma anche all’andamento complessivo della giurisprudenza, è l’esigenza di disciplinare una tutela dell’embrione».

Queste decisioni richiamano il parlamento a dare norme chiare su questioni che ora sono significative e sensibili?

«Occorre aprire una riflessione profonda su valori molto importanti e verificare, nelle modalità e con i termini che la democrazia pluralista consente, quali sono le soluzioni che rispettano i diritti fondamentali, i quali sono orientati al bene comune e non alle pulsioni soggettive».