Toscana

Il reato di clandestinità

La contravvenzione dell’ingresso e il soggiorno illegale in ItaliaL’articolo 10 bis del T.U. immigrazione, inserito dalla legge n. 94/2009, introduce la nuova fattispecie di reato e prevede l’ammenda da euro 5.000 a euro 10.000. La condotta tipica è costituita dal «fare ingresso» ovvero dal «trattenersi» nel territorio dello Stato, in violazione delle disposizioni del T.U. immigrazione nonché di quelle di cui all’art. 1 della legge 28 maggio 2007, n. 68.

Alla contravvenzione non si applica l’articolo 162 del codice penale, ossia la facoltà di estinguere il reato da parte del contravventore tramite il pagamento di una somma di denaro.

Per quanto riguarda la disciplina del procedimento penale per il nuovo reato, è previsto la presentazione immediata dell’imputato a giudizio innanzi al giudice di pace e lo svolgimento del relativo giudizio.

Il comma 2 dell’articolo 10 bis specifica che la fattispecie contravvenzionale dell’ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato non si applica allo straniero che sia stato respinto al valico di frontiera perché privo dei requisiti richiesti per l’ingresso nel territorio dello Stato, ai sensi dell’articolo 10, comma 1.

In base al comma 4 della nuova disposizione, ai fini dell’esecuzione dell’espulsione dello straniero denunciato per il reato in esame non è richiesto il rilascio del nulla osta da parte dell’autorità giudiziaria competente all’accertamento del medesimo reato.

Il questore comunica all’autorità giudiziaria competente all’accertamento del reato l’avvenuta esecuzione dell’espulsione ovvero del respingimento con accompagnamento alla frontiera ai sensi dell’articolo 10, comma 2, del Testo unico.

Sulla base del comma 5 del nuovo articolo 10-bis, in tali casi di esecuzione del respingimento o dell’espulsione, il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere.

Se tuttavia lo straniero rientra illegalmente nel territorio dello Stato prima che sia decorso il termine previsto dall’articolo 13, comma 14, trova applicazione l’articolo 345 c.p.p., relativo alla riproponibilità dell’azione penale per il medesimo fatto e nei confronti della medesima persona pur in presenza di una sentenza di non luogo a procedere, anche se non più soggetta ad impugnazione, pronunciata per mancanza di una condizione di procedibilità.

Peraltro, numerose Procure (Pesaro, Torino, Bologna, Agrigento, Trento) hanno sollevato d’ufficio la questione di legittimità costituzionale dell’art. 10 bis D.L.vo n. 286/98 con riferimento agli articoli 2, 3, 10 e 27 della Costituzione nonché del principio costituzionale di ragionevolezza della legge penale.

L’appello dei giuristiDi seguito l’appello dei giuristi (Angelo Caputo, Domenico Ciruzzi, Oreste Dominioni, Massimo Donini, Luciano Eusebi, Giovanni Fiandaca, Luigi Ferrajoli, Gabrio Forti, Roberto Lamacchia, Sandro Margara, Guido Neppi Modona, Paolo Morozzo della Rocca, Valerio Onida, Elena Paciotti, Giovanni Palombarini, Livio Pepino, Carlo Renoldi, Stefano Rodotà, Arturo Salerni, Armando Spataro, Lorenzo Trucco, Gustavo Zagrebelsky) del 25 giugno scorso che è stato riportato (per intero o in sintesi) in alcune ordinanze di rimessione alla Corte Costituzionale.

In particolare, riteniamo necessario richiamare l’attenzione della discussione pubblica sulla norma che punisce a titolo di reato l’ingresso e il soggiorno illegale dello straniero nel territorio dello Stato, una norma che, a nostro avviso, oltre ad esasperare la preoccupante tendenza all’uso simbolico della sanzione penale, criminalizza mere condizioni personali e presenta molteplici profili di illegittimità costituzionale.

La norma è, anzitutto, priva di fondamento giustificativo, poiché la sua sfera applicativa è destinata a sovrapporsi integralmente a quella dell’espulsione quale misura amministrativa, il che mette in luce l’assoluta irragionevolezza della nuova figura di reato; inoltre, il ruolo di extrema ratio che deve rivestire la sanzione penale impone che essa sia utilizzata, nel rispetto del principio di proporzionalità, solo in mancanza di altri strumenti idonei al raggiungimento dello scopo.

Né un fondamento giustificativo del nuovo reato può essere individuato sulla base di una presunta pericolosità sociale della condizione del migrante irregolare: la Corte costituzionale (sentenza n. 78 del 2007) ha, infatti, già escluso che la condizione di mera irregolarità dello straniero sia sintomatica di una pericolosità sociale dello stesso, sicché la criminalizzazione di tale condizione stabilita dal disegno di legge si rivela anche su questo terreno priva di fondamento giustificativo.

L’ingresso o la presenza illegale del singolo straniero dunque non rappresentano, di per sé, fatti lesivi di beni meritevoli di tutela penale, ma sono l’espressione di una condizione individuale, la condizione di migrante: la relativa incriminazione, pertanto, assume un connotato discriminatorio ratione subiecti contrastante non solo con il principio di eguaglianza, ma con la fondamentale garanzia costituzionale in materia penale, in base alla quale si può essere puniti solo per fatti materiali.

L’introduzione del reato in esame, inoltre, produrrebbe una crescita abnorme di ineffettività del sistema penale, gravato di centinaia di migliaia di ulteriori processi privi di reale utilità sociale e condannato per ciò alla paralisi. Né questo effetto sarebbe scongiurato dalla attribuzione della relativa cognizione al giudice di pace (con alterazione degli attuali criteri di ripartizione della competenza tra magistratura professionale e magistratura onoraria e snaturamento della fisionomia di quest’ultima): da un lato perché la paralisi non è meno grave se investe il settore di giurisdizione del giudice di pace, dall’altro per le ricadute sul sistema complessivo delle impugnazioni, già in grave sofferenza.

Rientra certo tra i compiti delle istituzioni pubbliche «regolare la materia dell’immigrazione, in correlazione ai molteplici interessi pubblici da essa coinvolti ed ai gravi problemi connessi a flussi migratori incontrollati» (Corte Cost., sent. n. 5 del 2004), ma nell’adempimento di tali compiti il legislatore deve attenersi alla rigorosa osservanza dei principi fondamentali del sistema penale e, ferma restando la sfera di discrezionalità che gli compete, deve orientare la sua azione a canoni di razionalità finalistica.

«Gli squilibri e le forti tensioni che caratterizzano le società più avanzate producono condizioni di estrema emarginazione, sì che (…) non si può non cogliere con preoccupata inquietudine l’affiorare di tendenze, o anche soltanto tentazioni, volte a “nascondere” la miseria e a considerare le persone in condizioni di povertà come pericolose e colpevoli». Le parole con le quali la Corte Costituzionale dichiarò l’illegittimità del reato di «mendicità» di cui all’art. 670, comma 1, cod. pen. (sent. n. 519 del 1995) offrono ancora oggi una guida per affrontare questioni come quella dell’immigrazione con strumenti adeguati allo loro straordinaria complessità e rispettosi delle garanzie fondamentali riconosciute dalla Costituzione a tutte le persone.