Toscana

Immigrazione, «Usciamo dalla sindrome della città assediata»

Il fenomeno migratorio ha cambiato la fisionomia della società italiana e anche quella toscana». Inizia così l’intervista con Enrico Fiori, presidente delle Acli aretine, che alla Settimana sociale dei cattolici toscani a Pistoia sarà il coordinatore dell’area di lavoro dedicata alle migrazioni («Includere le nuove presenze»). «Ci dobbiamo confrontare con flussi migratori molto differenziati – continua Fiori – che hanno innestato nel tessuto sociale nuove presenze con tradizioni, costumi, esigenze profondamente diversificati. Queste nuove presenze ci sollecitano ad interrogarci su quale tipo di società stiamo costruendo e ci spingono a rielaborare una cultura del progetto, che con sguardo lungimirante, immagina un modello di convivenza civile in sui si dilatino gli spazi di partecipazione e si riducano le zone di emarginazione».

Che cosa significa in concreto includere le nuove presenze?

«La cultura cristiana è sempre stata una cultura inclusiva e dunque la sfida è quella di costruire una società integrata non organizzata per comportamenti stagni destinati alla difesa di cultura e religioni contrapposte, ma modellata su una rete di solidarietà diffusa in cui i nodi siano i momenti di incontro e di dialogo. Includere nuove presenze significa, in definitiva, lasciarsi alle spalle l’idea di un paese che stenta a sopravvivere e che erige un muro per escludere le figure concrete delle nuove presenze per abbracciare la speranza di una comunicazione aperta e capace di tutto».

Il fenomeno migratorio ci interroga quotidianamente. Quali risposte possiamo dare?

«Oggi siamo tutti consapevoli di vivere in un mondo sempre più globalizzato in cui accanto ad una forte spinta all’omologazione ai modelli culturali dominanti vi sono grandi diversità culturali, sociali, economiche, politiche e religiose. Le ondate migratorie, adesso come ieri, hanno sconvolto antichi equilibri, hanno generato sogni e inquietudini, hanno prodotto situazione più o meno confuse. Siamo di fronte ad un’innovazione da cui difendersi fino ad usare fucili e cannoni, oppure i poveri hanno diritto di bussare alle porte dei paesi cosiddetti ricchi? Il fenomeno migratorio va considerato non come un semplice dato statistico e socioeconomico, ma come fatto problematico e complesso che tocca direttamente la vita di donne e uomini. Nessuno deve essere lasciato solo a gestire questa tematica e qui deve entrare in gioco una nuova politica di accoglienza e solidarietà. Ma nessuna politica può essere efficace se non è sostenuta da un robusto retroterra di valori. Per questo è importante promuovere una formazione alla mondanità, un’educazione alla pace e al dialogo, uno sviluppo della convivenza delle persone e delle culture nei luoghi della quotidianità come la famiglia, la scuola, la parrocchia, i gruppi sportivi, i momenti di vita politica e amministrativa».

La cittadinanza: per cosa, per chi e perché?

«Cittadinanza è appartenere ad una città, essere parte di una “civitas”: è il segno di appartenenza ad una comunità. Ma oltre a questa nozione di carattere generale, all’inizio dello stato moderno, come fattore di uguaglianza e di inclusione annullando le vecchie differenze per nascita, sta pericolosamente assumendo caratteri di esclusione, soprattutto da quando l’immigrazione è diventato un fenomeno di massa che interessa i paesi occidentali. È la sindrome della cittadella assediata che rafforza le mura per difendere chi sta dentro impedendo l’accesso a chi sta fuori. Anche per questo già nella settimana sociale dei cattolici italiani di Reggio Calabria è stata sottolineata la necessità  di una revisione complessiva della legge sulla cittadinanza, accorciando i tempi di riconoscimento, eliminando la discrezionalità nella procedura e stabilendone la concessione a figli degli stranieri nati in Italia».

Gli immigrati: quali diritti quali doveri?

«Occorre riaffermare un principio: nessuna persona è illegale. I diritti umani della persona e del lavoratore devono essere tutelati nel quadro di un pieno riconoscimento di una invariabilità di diritti in armonia con quanto previsto dalla nostra costituzione. E dunque, accanto ai diritti umani fondamentali, vi sono anche i diritti nel mondo del lavoro e i diritti sociali, che, se gli immigrati contribuiscono al benessere della società ce li accoglie, devono poter partecipare alla distribuzione delle risorse che aiutano a creare. Sarebbe opportuno anche aprire un dibattito anche ai suoi diritti politici come ad esempio il voto amministrativo per chi risiede stabilmente in un territorio».

In questo contesto quale ruolo possono svolgere o stanno già svolgendo le nostre comunità ecclesiali?

«Le comunità ecclesiali cattoliche, cioè universali, stanno già facendo molto, talora sostituendo le amministrazioni pubbliche che in molti casi si chiudono e ignorano i problemi. Siamo chiamati a fare di più, promovendo la condizione per un autentico dialogo, per una convivenza dialettica, per una società plurale e rispettoso dei principi di giustizia. L’Arcivescovo Romero ucciso in El Salvador ripeteva: “è un’imitazione dell’amore quando si cerca di offuscare con l’elemosina quello che bisogna fare con la giustizia”. Pensiamo al servizio quotidianamente prestato da parrocchie e associazioni spesso in mezzo a grandi difficoltà: le migrazioni sollecitano la chiesa e i cristiani a riscoprire la propria vocazione universale perché nessuno è veramente straniero. Come ha recentemente detto Papa Francesco: “Il Signore non respingerà nessuno”. Bene, e noi cosa faremo?».

Quale potrà essere il contributo che emergerà dalla Settimana Sociale di Pistoia?

«La settimana sociale di Pistoia è un cammino che continua e approfondisce la settimana sociale di Reggio Calabria. Si tratta perciò di una tappa importante e, del resto, le settimane sociali nel corso della storia non sono mai state degli appuntamenti accademici, ma delle vere e proprie fucine di idee e iniziative concrete come l’impulso alla cooperazione e al credito. Mi aspetto un rilancio forte dei principi e delle proposte. Mi aspetto, in definitiva, un’agenda di speranza per la società toscana».