Toscana

In piazza San Pietro con la gioia della resurrezione

di Damiano FedeliPietro è un bambino di dodici anni, ma la sua capacità di sintesi è notevole: «Questo Papa era una persona molto attaccata ai giovani e alle persone delle altre religioni. Per questo riceve l’affetto di tanta gente in questi giorni». Lui se le spiega così tutte queste persone in marcia verso Piazza San Pietro. Viene da Prato ed è comprensibilmente impaziente: «Io non l’ho mai visto da vivo. Adesso sono qui per rendergli omaggio, anche per pochi secondi».

Certo che una marcia di dieci, dodici ore sotto il sole non è proprio una vacanza romana qualsiasi. Eppure in tanti, in centinaia di migliaia ci si sono sottoposti, apparentemente senza paura della fatica. Anche la Toscana è scesa a Roma. Chi da solo, chi con parrocchie e gruppi organizzati. Tanti i giovani, prediletti fino all’ultimo dal Papa. Tanti anche gli anziani e i malati, anche loro nel cuore di Wojtyla: vengono da tutta Italia e qui li assistono decine di volontari dell’Unitalsi. Tutti i paesi del mondo sono rappresentati in piazza.

Quando si parte da Ponte Vittorio Emanuele sembra tutto facile, il Cupolone pare a portata di mano. Ma se va bene, da lì manca mezza giornata di cammino, incolonnati e appiccicati, prima di affacciarsi sulla soglia della Basilica. Ma perché tanta gente lo fa? Ernestina, romana doc, si fa largo tra le transenne. La sua spiegazione è di una semplicità disarmante: «Fateme passà, sò anziana: n’ho visti tre, che me fate pèrde proprio questo?». Ma dietro le sue parole, apparentemente brusche, non c’è mania di protagonismo, di volerci essere a tutti i costi perché è «in», di moda. La sua è semplicemente una forma di affetto. Infatti aggiunge: «Ha fatto tanto questo Papa per la gente semplice come me».

La spinta dei media non sembra essere la spiegazione per la presenza di tante persone. In diversi, anzi, condannano l’eccessiva invadenza degli ultimi giorni. Ma, allora, quali sono i motivi profondi? «Per me essere qui è una forma di ringraziamento. Si può fare solamente questo per una persona che sembrava essere eterna», sostiene Elisabetta da Seano, in provincia di Prato, qui con altre persone della parrocchia, come Martina: «Sono stati i ragazzi del dopo Cresima a prendere l’iniziativa – racconta – e a spingere anche gli adulti. E così eccomi qua. Era un desiderio che non si può spiegare». Ed Emilia, anche lei del gruppo, aggiunge: «Non averlo mai visto in vita è stata un po’ la spinta per me. Rendergli omaggio, con tutte le cose che ha fatto, lo ritengo doveroso. Questa è la prima volta: non faccio parte di nessuna organizzazione. A San Pietro l’ho visto da lontano, tanti anni fa».

Da lontano, finora, lo ha visto anche don Gabriele Bandini, presidente della Consulta giovani della diocesi di Fiesole, qui a Roma con un gruppo di centocinquanta ragazzi. «La prima volta a Czestochowa, nel 1991. Poi a Denver, nel ’93, a Roma nel 2000, a Toronto nel 2002», ricorda. «Se ripenso a com’era il Papa nel ’91… Neppure lo vedevo, da dove ero io, ma ti arrivava una carica che ti infiammava. Mi ricordo che abbracciò una ragazza africana. Non si era mai visto un Papa stare così in mezzo ai giovani».

Le Giornate mondiali della gioventù le ha volute proprio Wojtyla. «In tutti questi anni – spiega don Gabriele – sono cambiate, come organizzazione innanzitutto. Non sono più sentite come momenti sporadici, ma entrate nella vita ordinaria di una parrocchia, come si vede anche dalla preparazione che stiamo affrontando per Colonia. Sarà l’occasione per conoscere da vicino il nuovo Papa. Un’eredità pesante quella di Giovanni Paolo II? Si è sempre detto, quando arrivano i Papi nuovi… Ci penserà lo Spirito Santo».

La lunga processione procede al ritmo di cinquanta metri ogni ora. Il sole picchia duro. Qualcuno, a malincuore, desiste. Marco, 16 anni, di Calenzano, ricorda il Papa con un rammarico: «Mi dispiace solo di non averlo conosciuto quando stava meglio». Anche Ermanna da Stia vuole dare il suo «omaggio a quest’uomo che ci ha dato tanto e che ha cambiato il corso della Storia. L’ho visto a Loreto, al raduno di Ac, quando già stava soffrendo molto. Fu una testimonianza profonda di dolore, con le enormi difficoltà che ebbe a finire la messa. Pensa a cosa ha superato, con la sua fede».

Qualcuno scorre con la mano i grani del rosario. «La devozione mariana, sobria ma vissuta, è uno dei tratti di questo pontefice», sostiene Mirko Righeschi, diacono della diocesi di Fiesole. Che aggiunge il suo ricordo personale: «A Firenze nell’86 passò per la strada. Ci portava per mano la mia mamma, con mia sorella e mio fratello. Il Papa ci vide mentre passava e ci benedisse, salutandoci. È un qualcosa che difficilmente dimenticherò».«Io sono dell’87, è il Papa che ho sempre conosciuto», sorride Giovanni, pugliese, studente di Storia dell’arte a Firenze. «La cosa che mi colpisce di questa folla è che, pur non essendo certo un lieto evento, lo vive in modo sereno, non luttuoso». In effetti, fra canti di chitarra, battiti di mani e invocazioni ritmate «Giovanni Paolo – Giovanni Paolo», non pare certo di essere a una cerimonia funebre.

Don Raimondo Guelli accompagna un gruppo di parrocchiani di Fauglia, centro del pisano, insieme al parroco della vicina Palaia, don Sergio Occhipinti. Si affaccia sulla piazza San Pietro quando sono le tre del pomeriggio, dieci ore dopo che si è incamminato. «No, non c’è lutto», sostiene. «Questo è il segno che lui ha lasciato in questo mondo. Il segno che la pace è possibile, che l’esperienza delle altre religioni non va disprezzata». E, soddisfatto sorride: «C’è la gioia della resurrezione in questa piazza».