Toscana

In vacanza in un borgo antico e ristrutturato

di Federico Fiorentini

«L’albergo diffuso: un’opportunità per lo sviluppo dei borghi rurali». Questo il tema del convegno che si è svolto presso l’auditorium del Consiglio regionale toscano a Firenze. Obiettivo dell’incontro la promozione di «un modello innovativo di accoglienza»: la formula dell’albergo diffuso nasce in Carnia nel 1982, come tentativo di riaprire al turismo borghi ristrutturati a seguito del terremoto del 1976. Nel 1998 il primo riconoscimento formale, tramite normativa specifica, in Sardegna, e oggi anche la Toscana sta pensando di dotarsi di una legislazione simile. Decisione che, se confermata, la porterebbe a essere la nona Regione italiana a farlo. Agli ospiti degli alberghi diffusi viene offerta «l’esperienza di vita del centro storico» di una cittadina o un paese: i pensionanti alloggiano in case e camere che non distano più di 250 metri dal «cuore» dell’attività alberghiera, dove si trova la reception e si concentrano tutti i servizi (accoglienza, assistenza, ristorazione, spazi e servizi comuni).

Maurizio Droli, responsabile formazione e progetti speciali dell’Adi (Associazione Nazionale Alberghi Diffusi), insiste sull’assenza di impatto ambientale di questo tipo di strutture: per realizzare un albergo diffuso non sono infatti necessari nuovi edifici, limitandosi al recupero o alla ristrutturazione e alla «messa in rete» di costruzioni già esistenti. Gli alberghi diffusi dovrebbero fungere anche da «presidio sociale», animando i centri storici, stimolando iniziative di vario genere e coinvolgendo i produttori locali. Secondo Droli «grazie all’autenticità della proposta, alla vicinanza delle sue strutture e alla presenza di una comunità di residenti, questa formula riesce a proporre più che un soggiorno, e proprio per questo non può essere applicata in borghi abbandonati». Sempre più «viaggiatori» (una clientela «esperta e non banale») desiderano visitare «luoghi non ancora famosi e consumati dal turismo di massa, che abbiano conservato una propria identità: quello che dobbiamo vendere è un vero e proprio “stile di vita”».

All’incontro è intervenuto anche Gianni Salvadori, assessore regionale all’Agricoltura, che ha sottolineato la complementarietà fra caratteristiche del territorio toscano e principi dell’albergo diffuso: «La nostra è una terra dove ritroviamo la bellezza quasi in ogni luogo. E per questo motivo non possiamo limitarci a offrire ai turisti realtà come Firenze o le altre città, ma è necessario impegnarci affinché apprezzino e conoscano anche il resto della regione». Salvadori vorrebbe che i dieci milioni di turisti che nel 2010 hanno visitato il capoluogo allargassero i propri orizzonti: «La Toscana non è solo Palazzo Vecchio, ma anche un casolare nella Val d’Orcia». Una Regione che deve puntare sulla propria fama di «luogo del “buon vivere” e del mangiare bene, con 56 tipologie di prodotti agroalimentari a denominazione certificata». Salvadori insiste infatti sulla necessità di legare turismo e agricoltura. Infine l’assessore ricorda come «la Toscana non sia, e non debba diventare, la terra delle “grandi cose”, dei maxi-alberghi e dei villaggi vacanze», ma rappresenti una regione con «più di 4.000 agriturismi: piccole imprese che ovviamente non possono pubblicizzarsi a livello globale».

Pier Paolo Tognocchi, consigliere segretario della Seconda Commissione e promotore del convegno, assicura che «quando ho scoperto l’esistenza degli alberghi diffusi ho intravisto un’opportunità concreta per la nostra regione». Anche Tognocchi rileva una «permeabilità fra sfera agricola e turistica, la cui esemplificazione più evidente è costituita dagli agriturismi». Da qualche decennio, infatti, questo genere di strutture ricettive ha consentito «una diversificazione dell’offerta, rivolgendosi a una clientela attratta da paesaggi rurali e uno stile di vita rilassato e piacevole». La fusione con il turismo ha avuto un effetto positivo anche per il settore agricolo, favorendo un «impulso all’incremento della qualità dei prodotti enogastronomici e contribuendo all’aumento del reddito dei coltivatori». Tognocchi si sofferma poi sugli alberghi diffusi, «estremamente adatti per valorizzare l’assoluta unicità del territorio toscano», per promuovere un turismo «attento alle identità culturali dei luoghi, e che desidera penetrarne l’essenza». L’albergo diffuso rappresenta un «modello flessibile, capace di creare una rete orizzontale fra vari comparti produttivi: agricoltori, albergatori, ristoratori, enti pubblici, artigiani locali e tanti altri». Al contrario di Firenze, Siena o Pisa, infatti, il territorio rurale ha bisogno «di una progettazione solida e accurata per essere competitivo dal punto di vista turistico». I borghi toscani possono quindi approfittare di questa opportunità «senza perdere la propria anima, la propria vita quotidiana, ma integrandola con quella dei loro ospiti».

Sei strutture in Toscana: troppa burocraziaEnrico Lega è il direttore di una di queste strutture recettive, gli «alberghi diffusi», a Palazzuolo sul Senio (nel Mugello). Si tratta della «Locanda Senio», hotel di categoria tre stelle (gli alberghi diffusi sono soggetti alle stesse normative di quelli tradizionali), si compone di sei camere e due suites dislocate nel Borgo dell’Ore. La Locanda punta in modo particolare su qualità dell’accoglienza (con omaggi enologici e alimentari), sul rapporto particolare con ogni singolo cliente e sul proprio ristorante, che propone menù di cucina mugellana («tortelli di ortica con ripieno di patate», «salsiccia di porco con marroni e arance»).

Lega, romagnolo trapiantato, pur esprimendo notevole entusiasmo per un’attività ormai avviata, che gli permette di «incontrare persone di altri paesi e comunicare loro l’amore per la montagna, per questa terra, per i suoi prodotti», denuncia tuttavia una serie di difficoltà cui questa formula va incontro: «anzitutto troppi regolamenti, e troppo rigidi: le normative sono necessarie, ma serve anche una certa elasticità: non dirigo un albergo nel centro di Firenze, e le nostre esigenze sono diverse da quelle di uno cittadino». Lega porta un esempio pratico: «Allevo conigli e, a causa delle norme igienico-sanitarie, per farli macellare devo andare a Forlì, il centro più vicino, e tornare: 60 chilometri all’andata e 60 al ritorno. Quando poi lo inserisco nel menù del ristorante, quanto pensa debba farlo pagare questo coniglio?». Una richiesta dunque di snellimento burocratico, con più deleghe ai sindaci che, conoscendo la realtà del loro territorio, possono operare adeguamenti legislativi. La Locanda Senio è una delle sei strutture ricettive toscane (altre in Lucchesia, nel Chianti senese, in Casentino, in Maremma) che afferiscono ad Adi (Associazione Nazionale Alberghi Diffusi), su un totale di circa 70 a livello nazionale, con quasi 250 progetti da parte di nuovi imprenditori interessati ad aderire in futuro.