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LIBIA: AMNESTY LANCIA APPELLO, STOP TORTURE CONTRO DETENUTI

(ASCA) – Un appello alle due parti coinvolte nel conflitto in Libia per proteggere i detenuti dalla tortura. A rivolgerlo è Amnesty International che, martedì, giunta in Libia, ha raccolto testimonianze di detenuti che hanno subito torture sia da parte dei soldati lealisti sia da parte delle forze ribelli nella zona di Az-Zawiya. I rappresentanti di Amnesty hanno raggiunto la scuola di Bir Tirfas, usata ora dalle forze ribelli come centro di detenzione per i soldati pro-Gheddafi e per presunti mercenari fedeli al colonnello libico. Un ragazzo, detenuto a Bir Tirfas, ha raccontato alla delegazione della Ong come ha risposto all’appello di Gheddafi spiegando di essere stato trasportato a un campo militare di Az-Zawiya e che gli è stato messo in mano un kalashnikov che non sapeva nemmeno usare. Il giovane ha raccontato che dopo i bombardamenti della Nato ha cercato rifugio in una casa ma di lì a poco è stato raggiunto da alcuni ‘ribelli’ che lo hanno catturato. Nel suo racconto il ragazzo ha spiegato di essere stato colpito al ginocchio con un colpo di arma da fuoco e di essere stato picchiato. Il giovane ha riferito anche che nel centro di detenzione i detenuti subiscono di tanto in tanto dei maltrattamenti e vengono definiti “assassini”. Secondo i responsabili del centro di detenzione di Az-Zawiya, un terzo dei prigionieri è formato da mercenari stranieri, provenienti in particolare da Ciad, Nigeria e Sudan. Ma in alcuni casi i prigionieri stranieri hanno dichiarato ai responsabili di Amnesty di non essere coinvolti nella guerra e di essere stati scambiati per mercenari. E’ il caso di un uomo di 24 anni che ha detto di trovarsi in carcere solo “a causa del colore della mia pelle”. La delegazione di Amnesty ha scoperto “prove di stupri commessi dai lealisti contro i detenuti nella prigione di Abu Salim, a Tripoli”. Due ragazzi hanno riferito ai rappresentanti della Ong di “essere stati stuprati dal secondino”. Coloro che sono stati liberati dalle carceri di Tripoli e Sirte hanno descritto ad Amnesty di essere stati “picchiati con cavi di metallo, manganelli, bastoni e di essere stati sottoposti a scariche elettriche”.