Toscana

La Toscana e la crisi/6: intervista al rettore Tesi

di Antonio Lovascio

La Toscana cerca di far squadra per rilanciare lo sviluppo, per imprimere una svolta verso un nuovo ciclo occupazionale. Si parte da un punto fermo: innovazione e ricerca sono i motori principali della crescita; la carta vincente per uscire dal tunnel della crisi economica, che rischia di portare, entro l’anno, a duecentomila il numero dei  senza lavoro. Ecco perché industriali e sindacati hanno chiesto alla Regione di continuare ad investire importanti risorse per la trasformazione tecnologica delle imprese. Grazie alla rimodulazione dei fondi europei, la «dotazione» è stata integrata con altri 70 milioni di euro, destinati sia a singole aziende, anche di grande dimensione, sia a filiere di collaborazione con Università e centri di ricerca.

I finanziamenti a favore del rinnovamento delle strutture produttive dovrebbero inoltre arrivare da un fondo aggiuntivo alimentato dalla Cassa Depositi e Prestiti, per un totale di 130 milioni di euro. Se Regione e Governo manterranno gli impegni, dovrebbe  quindi aprirsi una fase nuova anche nel rapporto, finora altalenante, tra le imprese ed i tre atenei toscani. Come auspica il Rettore dell’Università di Firenze professor Alberto Tesi (nella foto), che abbiamo intervistato per la nostra inchiesta dopo  il presidente della Fondazione Monte dei Paschi di Siena, Gabriello Mancini (clicca qui), il direttore dell’Irpet  professor Stefano Casini Benvenuti (clicca qui), la presidente di Confindustria Toscana Antonella Mansi (clicca qui), l’economista professor Ivano Paci (clicca qui), presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia, il segretario regionale della Cisl Toscana, Riccardo Cerza (clicca qui).

La Toscana e la crisi economica. Professor Tesi, com’è percepita dall’Università questa lunga fase congiunturale?

«La crisi economica è una sfida per l’Università, innanzitutto per la funzione di fondamentale importanza strategica che svolge nello sviluppo del nostro Paese. Ma anche perché, in situazioni come l’attuale, l’economia punta alla continua produzione di innovazioni. Gli effetti della crisi, però, ci coinvolgono in prima persona, perché le misure di risanamento della finanza pubblica hanno da tempo agito sui fondi destinati al sistema universitario».

E la scure delle ultime finanziarie ha colpito pesantemente gli atenei toscani…

«I “tagli” al finanziamento statale per le Università sono stati applicati già dallo scorso anno. Qualche cifra. L’importo ricevuto dall’Ateneo fiorentino, per il Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO), nel 2010 è stato 248 milioni di euro, con una riduzione del 3,78%, pari a quasi 10 milioni di euro, rispetto al 2009. Siamo ancora in attesa di conoscere l’importo del Fondo per il 2011: dovrebbe ridursi ancora di circa 10 milioni di euro rispetto al 2010. Per far fronte al calo di risorse, abbiamo ridotto le spese per il personale – favoriti anche dalla forte ondata di pensionamenti – e le spese per il funzionamento. Ma abbiamo agito anche su altri fronti, proseguendo ad esempio una politica di razionalizzazione del patrimonio immobiliare, che ci ha portato a ridurre le spese per gli affitti».

Questi tagli, immaginiamo, influiranno pure sulle attività didattiche e di ricerca.

«Certo, la riduzione dei docenti ha un impatto sia sulla didattica che sulla ricerca. L’offerta formativa, che è stata molto razionalizzata negli ultimi anni, deve essere calibrata sui docenti di ruolo disponibili. Per un ateneo generalista come il nostro, quindi, c’è la grande esigenza di riprendere la programmazione del personale, che abbiamo avviato già lo scorso anno e che contiamo di proseguire anche in questo. Va infine detto chiaramente che l’ulteriore diminuzione di quasi 400 milioni di euro prevista per l’intero sistema universitario nazionale dal 2011 al 2012 – stimabile in circa 15 milioni di euro per l’Università di Firenze – porterà inevitabilmente grandi  problemi alle università italiane se non interverranno correttivi entro lo scorcio di questo anno».

C’è un dato che allarma più di tutti: il tasso di disoccupazione giovanile in Toscana ha raggiunto livelli assai prossimi al 30 per cento. Contemporaneamente emergono aree a rischio di marginalità per i giovani non inseriti in un percorso scolastico/formativo e neppure impegnati in un qualsiasi lavoro.

«Le prospettive delle giovani generazioni lanciano un serio allarme per la nostra società. Posso aggiungere che anche per chi ha raggiunto un livello di alta formazione esiste oggi un rischio concreto di disoccupazione. Vorrei fare un esempio. La carenza di risorse ci impedisce di allargare come si dovrebbe il corpo docente: una delle conseguenze è che non possiamo tenere dentro gli atenei chi ottiene il dottorato di ricerca, che rappresenta il principale strumento di formazione e selezione del futuro corpo docente. D’altra parte il numero di “dottori di ricerca” è oggi ormai troppo alto perché gli atenei possano assorbirlo. L’unico modo perché queste intelligenze non vadano sprecate è che il mondo produttivo – ma anche quello delle istituzioni pubbliche – cominci a prendere in considerazione queste risorse umane come accade in molti altri Paesi».

Pochi investimenti in istruzione, ricerca e sviluppo. Con lo 0,87 del Pil, fra i 28 paesi dell’OECD considerati, il finanziamento italiano, pubblico e privato, in istruzione universitaria è più elevato solo di quello della Repubblica Slovacca e dell’Ungheria. Colpa del governo, ma anche delle imprese?

«C’è stato per un lungo periodo in Italia una certa resistenza a legare l’Università alle aziende, nel timore di una perdita di autonomia. Ma in linea generale, neanche le aziende hanno sfruttato l’immenso potenziale della ricerca universitaria. Credo che ora ci sia più consapevolezza che occorre fare squadra per raggiungere l’obiettivo comune di sviluppo. Ed è più chiaro che senza importanti investimenti nella ricerca – pubblici e privati – non ci sarà crescita».

Come risponde l’Università al sempre più rapido processo di innovazione, alla progressiva riduzione del ciclo di vita delle tecnologie e delle industrie, all’accresciuta instabilità dell’economia mondiale?

«Premetto che oggi si parla sempre più – e a ragione – di una terza missione dell’Università, cioè il trasferimento delle conoscenze al territorio e al mondo del lavoro. Per questo ritengo che l’Università rappresenti oggi un elemento centrale che può determinare il vantaggio competitivo di un’economia locale. A Firenze abbiamo costituito da un paio d’anni un Centro di Ateneo proprio per valorizzare il trasferimento e l’Incubatore universitario: di ambedue si occupa con specifico incarico il prorettore Marco Bellandi. Si tratta di un investimento molto concreto sull’innovazione, perché mira ad abbreviare i tempi di creazione e lancio di nuove imprese direttamente nate da idee della ricerca. All’inizio del mese di ottobre, fra l’altro, abbiamo presentato i nuovi progetti di impresa ammessi all’incubatore. Vorrei aggiungere anche che presso l’Università si è costituito lo sportello regionale toscano dell’Agenzia per la Promozione della Ricerca Europea (APRE ) per favorire il finanziamento sui fondi europei di progetti che coinvolgono ricerca pubblica e piccole e medie imprese. Ritengo siano due linee d’azione significative, che l’Università ha intrapreso con la convinzione che solo innovando si fa “girare” l’economia».

Ma molti affermano che tra l’ Università e le nostre imprese non ci sia un rapporto facile.

«La costruzione di un dialogo più serrato con il mondo produttivo si sta realizzando proprio attraverso gli strumenti che ho appena citato».

Specializzazioni a volte troppo anticipate e modelli formativi professionalizzanti come si conciliano con la necessità di adattamento dei nostri laureati alle più frequenti fasi congiunturali negative e di riposizionamento in settori diversi?

«Occorre potenziare l’anello di congiunzione tra Università e lavoro: dobbiamo ridurre il gap, intensificando – come stiamo già facendo – le attività di Job Placement. Su questo obiettivo abbiamo bisogno della disponibilità delle aziende».

L’ateneo fiorentino è ai primi posti fra le università italiane per l’ammontare complessivo dei finanziamenti ministeriali finalizzati alla ricerca. Quali sono i più qualificanti, diciamo quelli di rilevanza nazionale?

«L’esito dell’ultimo Bando per i PRIN (Progetti di Ricerca di Interesse Nazionale), in linea con quello degli anni scorsi, ci colloca come da tradizione, tra gli Atenei maggiormente finanziati, insieme a Roma La Sapienza, Bologna, Padova e Milano. Quest’anno Firenze si è aggiudicata il 4,1% dei fondi ministeriali e l’anno scorso il 4,2 %.  Di tutti i progetti finanziati, 72 saranno realizzati con la collaborazione di docenti e ricercatori del nostro ateneo, e, di questi, 21 saranno coordinati a livello nazionale da docenti dell’Università di Firenze. Tutte le aree di ricerca sono state finanziate e tutti sono ampiamente meritevoli delle risorse ricevute e delle valutazioni. Di anno in anno varia il numero dei progetti approvati in ciascun area, perché i vincitori di un bando non possono ripresentare le loro candidature per il bando successivo, avendo i finanziamenti durata biennale. Ad esempio quest’anno è stato finanziato un solo progetto nell’area dell’ingegneria civile, mentre nell’area della medicina sono stati finanziati ben 15 progetti».

Prima ha sottolineato che le Università toscane collaborano nella ricerca tecnologica. C’è chi sostiene però che facciano poco sistema…

«Il sistema universitario toscano si concepisce come tale da tempo: ci sono percorsi di lavoro comune, che fanno capo al comitato regionale di coordinamento, e iniziative concrete che riguarderanno sempre più anche la didattica, con corsi “interateneo”, come è accaduto recentemente con i corsi di laurea magistrale per la formazione degli insegnanti. Per quanto riguarda la ricerca, le iniziative di collaborazione sono tante, però bisogna tenere presente che i ricercatori si muovono sempre in un’ottica internazionale. E da questo punto di vista la ricerca toscana è davvero forte».

Come vivono gli studenti universitari prossimi alla laurea questa crisi economica, che purtroppo fa emergere una preoccupante mancanza di prospettive per i giovani?

«Con comprensibile inquietudine. Sta a noi docenti riuscire a non far perdere loro le giuste motivazioni che soltanto conducono all’impegno, mentre auspichiamo che il mondo del lavoro guardi con particolare attenzione a quanti escono dagli atenei italiani, non a caso molto apprezzati all’estero. Critiche a volte un po’ semplicistiche all’Università italiana (che pure ha meritato tante critiche nel passato anche recente) rischiano di far perdere di valore alla costanza e alla determinazione di tanti giovani che ancora si avvicinano con entusiasmo allo studio e sperano di poter essere utili al Paese».

La schedaLe Università toscane (Firenze, Pisa e Siena) hanno un ruolo strategico  nei progetti di sviluppo della nostra regione, anche perché ogni anno sfornano più di 8.600 laureati in materie tecnico-scientifiche su un totale di oltre 21 mila “dottori”. Hanno appena compiuto  uno sforzo rilevante di riorganizzazione, approvando i nuovi statuti , che prevedono la presenza nei consigli di amministrazione  anche di professionalità esterne  capaci di arricchire le loro potenzialità gestionali. Pur nelle criticità della riforma Gelmini, i nostri tre atenei hanno saputo cogliere l’occasione per fare un passo avanti in termini  di funzionalità e di maggior apertura alla collaborazione con le altre Istituzioni e con il mondo delle imprese. A  questi cambiamenti  ha dato impulso,  anche all’interno della Conferenza regionale (di cui fanno parte pure i vertici della Normale di Pisa e dell’IMT di Lucca)  proprio il Rettore dell’ateneo fiorentino, professor Alberto Tesi.

Pistoiese di nascita (Lamporecchio  5 maggio 1957),  già preside dal 2006 della Facoltà di  Ingegneria, quindi molto sensibile  ai temi della ricerca e dell’innovazione, approfonditi  con un ventennale  insegnamento, una  intensa attività di studio all’estero e come coautore di oltre 170 pubblicazioni scientifiche nel campo dell’elettronica, in particolare sull’analisi di sistemi non lineari,sul controllo robusto di sistemi lineari e sulle tecniche di ottimizzazione convesse.

E proprio la ricerca applicata all’industria, insieme alla valorizzazione della dimensione internazionale dell’ateneo (si respira anche attraverso i 2.500 studenti stranieri iscritti, tra i quali si contano oltre un centinaio di giovani cinesi)  sono diventate due idee-guida del suo programma fin dal momento dell’ insediamento in Piazza San Marco, nel 2009. La popolazione studentesca complessiva dell’Università di Firenze  è di circa sessantamila iscritti (un quarto dei quali provenienti da fuori regione) con 1.966 docenti e ricercatori strutturati e 1.583 tecnici ed amministrativi.

La ricerca fa capo a 49 dipartimenti e strutture come centri interdipartimentali, interuniversitari e di studio, oltre a 10 centri di alta formazione, che rappresentano la ricerca più avanzata. Negli ultimi anni l’ateneo fiorentino ha fortemente consolidato le attività di trasferimento delle conoscenze al territorio e al mondo del lavoro: dal deposito di brevetti (circa 50 attivi nel 2007), alla costituzione di laboratori congiunti con imprese (15), fino alla partecipazione a cinque società spin-off.