Toscana

La Toscana fa i conti con la storia

di Ennio CicaliUn girotondo di bambini nel giugno ’44, festeggiano la fine dell’anno scolastico. Due mesi dopo saranno tutti morti, loro unica colpa: abitare a Sant’Anna di Stazzema. Per questo saranno trucidati insieme ai loro famigliari e amici. È una delle tante stragi che ora, faticosamente, arrivano nelle aule di giustizia. Il processo per l’eccidio è cominciato in questi giorni e poi rinviato al 29 giugno, alla sbarra tre appartenenti alle Ss tedesche. A loro potrebbero riunirsi altri quattro Ss anch’essi processati per la strage.

L’8 luglio si aprirà anche il processo per il massacro dei frati della Certosa di Farneta, sulle colline lucchesi. Nella notte del 2 dicembre ’44, le Ss rastrellarono una trentina di monaci certosini, un vescovo venezuelano, un centinaio di civili che credevano di avere trovato un rifugio sicuro tra le mura centenarie del convento. Li massacrarono in luoghi diversi: i monaci impiccati con il filo spinato, altri fucilati e sepolti in fosse comuni, altri ancora bastonati fino a farli morire. Per quel massacro sarà processato l’ex comandante di un reparto Ss, che oggi ha 83 anni e vive a Linden, in Germania.

Altre stragi non saranno oggetto di procedimenti giudiziari come per i 14 eccidi avvenuti in Toscana tra l’aprile e il settembre ’44.Su queste stragi – tutte impunite eccetto una – è stato tolto il segreto e resi pubblici gli atti per l’impossibilità di individuare oggi i responsabili.

A decenni di distanza le stragi nazifasciste sono oggetto di inchieste giudiziarie. Finora gli eccidi erano nella memoria popolare o nei libri. Mancava ancora una «verità ufficiale», quella delle istruttorie, degli atti giudiziari. Quella relegata in un armadio, nascosto in un palazzo a Roma, sede della Procura generale militare. Lì erano arrivati, nell’immediato dopoguerra, i fascicoli degli eccidi. C’erano indicati i nomi delle vittime, degli assassini, le località dove erano stati commessi i crimini.

Solo nel maggio ’94 l’«armadio della vergogna» fu scoperto per caso: all’interno 695 fascicoli, in 415 erano riportati i nomi dei responsabili. In un grande registro, in ben 2273 voci, era annotato tutto quello che conteneva o aveva contenuto. Nelle poche fredde parole, fatti che hanno suscitato e ancora suscitano indignazione. Dall’uccisione di civili inermi, non solo a opera delle Ss, ma anche di reparti della Wehrmacht, affiancati da italiani.

Perché è potuto accadere? Fu il potere politico a imporre il silenzio. Secondo il Cmm (Consiglio della magistratura militare) la decisione fu determinata dalla guerra fredda: la Germania ovest avrebbe dovuto fronteggiare l’Unione Sovietica. Una iniziativa verso i responsabili delle stragi avrebbe suscitato interrogativi sul comportamento del soldato tedesco. Da non trascurare poi che l’Italia avrebbe dovuto rispondere ad analoghe sollecitazioni che venivano da altri paesi ex nemici che reclamavano la consegna di militari italiani. Una guerra, quella contro i civili, che ha avuto risvolti ambigui che si sono prestati a interpretazioni totalmente diverse dalla realtà. E’ il caso di San Miniato. Nella città toscana le autorità religiose, che si sostituirono alle autorità civili mancanti, dettero alla popolazione ogni assistenza spirituale, facendo da tramite tra i cittadini e il comando germanico. Fu proprio in seguito a un ordine tedesco che il vescovo Giubbi chiese alla popolazione di rifugiarsi nella cattedrale. Alle 10 del mattino del 22 luglio ’44 una granata colpisce la chiesa, uccide 55 persone e ne ferisce altre decine. Inizialmente, la colpa è data ai tedeschi poi si scoprirà che i colpi provenivano dall’artiglieria americana.

Come spiegava mons. Vasco Simoncini nel libro «San Miniato e la sua diocesi»: «Gli ultimi anni di vita di mons. Giubbi furono segnati da un calunnioso sospetto in ordine al luttuoso evento bellico del 22 luglio 1944… La calunniosa insinuazione fece di mons. Giubbi un martire silenzioso, che portò in cuore questa terribile ferita in dignitoso riserbo, confortato dalle ripetute attestazioni di affetto da parte dell’intera diocesi».

Ricordare le stragi di quel terribile ‘44 non significa alimentare nuove contrapposizioni o ostacolare la ricostruzione condivisa della memoria degli italiani. Significa solo che la ricerca della verità è un atto dovuto per quelle migliaia di vittime che ancora chiedono giustizia, almeno dalla storia.