Toscana

La famiglia, unica speranza per il futuro

da ManilaGiancarlo PolenghiIl quarto Congresso mondiale della famiglia è stato soprattutto una festa. E il suo punto più alto, la diretta con il Papa, le testimonianze, i canti e i balli dal Rizal Park, di fronte alla baia di Manila, e alla folla di 300 mila filippini, seguita, il giorno successivo, dalla solenne celebrazione eucaristica. Momenti intensi di gioia e di fede, tipici della presenza del Papa – seppur collegato via etere –, a cui non ci si abitua. Il Congresso è stato preghiera, scambio di esperienze, sogni e progetti per promuovere la cultura cristiana della famiglia, in tutto il mondo, collaborando con tutti, dando spazio e nuova energia ad un’evangelizzazione coraggiosa, da dentro la Chiesa e la famiglia e verso il mondo. Tutto questo malgrado le molte difficoltà, non taciute. Malgrado la cultura di morte e la secolarizzazione di tanti paesi di antica tradizione cristiana, la piaga della povertà e dell’ignoranza nel terzo mondo, il problema della diaspora e della migrazione, in una società ovunque più globalizzata, multiculturale e multireligiosa, insidiata da modelli negativi diffusi dai mezzi di comunicazione di massa.«La famiglia è l’unico luogo di speranza per il futuro dell’umanità – ha detto più volte Alfonso Lopez Trujillo, legato papale al congresso e presidente del Pontificio consiglio per la famiglia –. Essere fedeli è possibile! Ci sono milioni e milioni di famiglie cristiane felici della loro vocazione».

«La famiglia cristiana, buona novella per il terzo millennio», titolo scelto dal Papa per il congresso, è stato richiamato spesso, in tutta la sua positività, nei molti interventi dei tre giorni di lavoro.

In contemporanea al Congresso teologico, con delegati da poco meno di 80 paesi, si è svolto il Congresso dei figli e delle figlie, divisi in 4 gruppi: da uno a tre anni, da quattro a sei, da sette a dodici e da tredici a ventitré.Durante l’ultimo giorno di congresso, Rose, una delegata filippina, ha dato alla luce la piccola Maria Josè e la notizia ha raggiunto subito la sessione plenaria, e ha strappato un caloroso applauso. Un applauso alla famiglia e all’amore che, forse meglio di tante parole, sintetizza il clima che si è creato nel Centro internazionale di conferenze di Manila.

Seppur senza stonature sul clima festoso, non sono mancate le denuncie. «Le famiglie qui presenti dovrebbero chiedere ai loro governi di garantire la stessa pubblicità e supporto finanziario per i metodi naturali di pianificazione familiare che viene dato alle campagne per l’uso di contraccettivi, preservativi o altri sistemi non naturali – ha detto Kathryn Hauwa Hoomkwap, nigeriana, madre di 4 figli, e membro del Consiglio pontificio della famiglia –. L’educazione – ha aggiunto – è l’arma efficace per sollevare il povero dalla sua condizione, anche in materia di famiglia. Ma è proprio il sistema educativo, nella gran parte dei paesi del Terzo Mondo, che ha bisogno di essere sollevato dalla piaga della povertà».

E come per rincarare la dose, Lopez Trujillo ha denunciato il neocolonialismo economico dei paesi ricchi su quelli poveri, chiedendosi perché chi spende ben16 miliardi di dollari l’anno per diffondere contraccezione e aborto, non dia neanche un cent per promuovere l’educazione, la salute e per combattere la fame. La povertà indebolisce la famiglia e la spirale del debito pubblico, in molti paesi del terzo mondo, è una condanna senza appello al sottosviluppo. «I paesi poveri diventano sempre più poveri – ha detto la Hauwa Hoomkwap –. Se non si aiuta la famiglia, si mina alla radice ogni speranza di sviluppo sostenibile».

«La fedeltà e santità del matrimonio vanno promossi – ha dichiarato d’altro canto Gloria Macapagal-Arroyo, presidente delle Filippine –. I figli sono una benedizione e vanno accolti con il sorriso, ma anche sapendo coniugare paternità e responsabilità familiare». Il presidente del paese ospitante – il solo cattolico dell’Asia, in cui aborto e divorzio non sono consentiti ma con tanti problemi di povertà e di sviluppo – ha spiegato che per paternità responsabile intende il diritto e dovere, di ciascuna famiglia, di determinare il numero desiderato di figli e il momento in cui averli. «C’è un collegamento diretto tra povertà, dimensione della famiglia e qualità della vita di figli e genitori – ha aggiunto Gloria Macapagal – per questo, mentre sosteniamo il diritto della coppia di determinare la dimensione della propria famiglia, ricordiamo la responsabilità e il dovere all’educazione e alla qualità della vita famigliare».

Nella vicina Cina la musica è tutt’altra e anche Singapore, uno degli stati più ricchi dell’Asia, con ben altre problematiche, fino ad alcuni anni fa, non permetteva ai propri cittadini di avere più di un figlio. L’aborto in oriente è praticato quasi ovunque, oltre che in Cina e in Singapore anche in Tailandia, nelle due Coree, Taiwan, Honk Kong e in Giappone, ma non nella vicina Malesia a maggioranza musulmana.

La promozione della famiglia può essere un tema che unisce chiunque abbia sensibilità religiosa, è stato anche detto da diversi relatori. Soprattutto se lo si sa porgere in modo positivo e rispettoso, perché si tratta di verità attraenti e di insegnamenti luminosi, in gran parte condivisi da chi è aperto a valori spirituali. La cultura della vita, fondata sulla comune fede in Gesù Cristo è un ponte di collaborazione tra protestanti e cattolici. «E quando i non cristiani vedono la connessione tra la cultura della vita e Gesù – ha detto il cardinal Shan Kou-hsi vescovo di Kaohsiung, Taiwan, e già presidente della conferenza episcopale cinese –, le strade dell’evangelizzazione sono aperte».

Il Papa, in conclusione del Congresso, in mondovisione, ha esortato la famiglia ad essere sé stessa e ha ricordato, durante questo anno mariano, l’importanza della preghiera in famiglia, e in particolare del rosario. Il prossimo Congresso, ha annunciato ancora il Papa, si celebrerà a Valenzia, in Spagna, nel 2005.

Anche in Cina la culla della fede è solo unaIl cardinale Paul Shan Kuo-hsi è nato nella Cina continentale, da una famiglia cattolica. Come altri seminaristi nel dopo guerra è stato espulso dal suo Paese e ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale nelle Filippine. Oggi oltre ad essere vescovo di Kaohsiung, in Taiwan, è membro della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli e del Pontificio consiglio delle comunicazioni sociali e di quello per il dialogo interreligioso. Shan Kuo-hsi, che abbiamo incontrato a Manila all’incontro mondiale delle famiglie, è stato anche presidente della Conferenza episcopale cinese.

Eminenza, qual è la situazione della famiglia nella sua diocesi?

«A Taiwan durante gli ultimi vent’anni abbiamo sperimentato un grande cambiamento culturale, che ha avuto, e sta avendo, effetti devastanti sulla famiglia. Il cambiamento cominciò con una efficace campagna per la legalizzazione dell’aborto a cui è seguita la diffusione nei media di modelli che distruggono il matrimonio e la vita familiare promuovendo la promiscuità».

Un po’ come è avvenuto quasi ovunque in Europa…

«Sì, più o meno come in Europa e negli Stati Uniti».

E i cattolici come reagiscono a tutto questo?

«La nostra è una piccola comunità, seppur in crescita. Attualmente i cattolici sono oltre 300 mila. Il seminario ha 15 alunni, che in relazione alla totale popolazione di cattolici non è un brutto numero. Essendo così pochi non possiamo far altro che unirci ad altri per promuovere una cultura della vita. Ci muoviamo su tre fronti: la protezione della vita non nata, la protezione dei giovani di fronte ai modelli immorali e la promozione di educazione sessuale rispettosa dell’amore e della vita e pertanto contraria al modello contraccettivo e abortivo. Abbiamo per esempio preparato una petizione da presentare al parlamento e abbiamo coinvolto in dialogo ecumenico anche le chiese protestanti attive a Taiwan. Oltre 300 tra chiese e organizzazioni hanno già aderito all’invito. Poiché tutti i cristiani nel paese sono non più del 5%, abbiamo esteso il dialogo anche alle religioni non cristiane. Particolarmente positiva è stata la reazione dei buddisti. Il Maesto Sheng Yan e Cheng Yan, che è conosciuto come il “Madre Teresa buddista”, è molto sensibile all’argomento. Cattolici, altre denominazioni cristiane e buddisti, siamo oggi in grado in Taiwan di far sentire un’unica e più potente voce in difesa della vita, chiedendo restrizioni alla legge attuale».

Perché mette insieme il modello contraccettivo e quello abortivo?

«Perché la mentalità contraccettiva conduce automaticamente a quella abortiva. Nella maggioranza dei casi la contraccezione relativizza la volontà di Dio circa la vita nascente, toglie valore all’atto coniugale e al bimbo che sarà concepito secondo un nuovo paradigma. Il nuovo paradigma, non ha più nulla a che fare con la volontà di Dio e si riduce al solo desiderio dei genitori – o spesso solo a quello della madre – che si chiedono: vogliamo questo bambino o no? Ma poiché spesso la contraccezione fallisce, le coppie che concepiscono un figlio non desiderato vedono l’aborto come la logica e necessaria soluzione alla contraccezione difettosa».

Prima di concludere, una domanda sul suo Paese di origine: quanti sono i cattolici in Cina oggi?

«Difficile dare un numero preciso. Alla fine della seconda guerra mondiale erano 3 milioni e mezzo, oggi sono tra i 12 e i 15 milioni».

Come è possibile per questi cattolici mantenere la fede in un paese dove la Chiesa non è accettata, dove i preti sono pochi?

«Le posso rispondere grazie alla mia esperienza personale. Con la preghiera. Con molta preghiera. Non c’è altro modo, quando un prete non si vede per un anno o più, non rimane altro che la chiesa domestica. Pregando il rosario a casa, in famiglia. La famiglia è la culla della fede».