Toscana

La storia: Roberto, il barbone adottato per Natale

DI MARIO BERTINIDa sei anni a Firenze lo conoscono tutti: «Sì, lo so, sono un barbone». Lo dice lui stesso attraverso la loquacità di un paio di cartelli «faccia a vista» esposti sul davanti della sua ape-tenda. Si chiama Roberto, è diventato l’amico della città che lo ha adottato per tre settimane all’anno, dall’Avvento fino a dopo l’Epifania. La sua postazione fissa: il Viale Galileo non lontano dal Piazzale Michelangelo, in una piazzola semicircolare, addossato ad una lunga panchina di cemento. Ama definirsi un nomade stanziale, nel senso che si sposta a giro per l’Italia: lui, il suo fedelissimo cane Robin e la loro «Piaggio-dimora»: un bilocale che ha per tetto un verde telone. Soggiorna per lunghi periodi soprattutto in città per il suo sviscerato amore per tutto ciò che è bello. Non toglietegli, per esempio, il suo soggiorno a Verona durante la lunga stagione operistica dell’Arena: non perde una serata e il suo posto fisso in collina, accanto al dormitorio della base Nato, è diventato il suo sito residenziale estivo. A Firenze ha la sua dimora natalizia dopo i primi, faticosi approcci con i vigili urbani che, su lamentela di alcuni «premurosi» cittadini, cercarono di allontanarlo dalla sua prima postazione fissa non lontana da alcuni cassonetti della nettezza urbana.

«Perché volete che vada via? Cosa faccio di male?». «Crea disturbo alla quiete pubblica… e poi lei sporca l’ambiente…». «E come andò a finire? – gli chiedo –. Ora vedo che ti tollerano». «Non solo, mi accettano… e i vigili fiorentini, tutti gli anni, mi portano il panettone. Dapprincipio mi spiegai attraverso una decisa giustificazione; dissi che prima di togliere me dalla strada, come «nettezza urbana» dovevano preoccuparsi dei cittadini che ogni giorno ammontano montagne di rifiuti consumistici al di fuori dei «miei amici cassonetti» – o quando ancor peggio, molti fiorentini o non fiorentini li usano come cessi pubblici assolutamente inesistenti in città. Era quella il tipo di spazzatura da togliere e non me che invece la rimetto dentro per rispetto all’ambiente…». Da allora non mi hanno detto più nulla, anzi mi ringraziano per la pulizia che lascio ogni volta che vado via da Firenze. Lo scorso anno, appena partito, scrissero al giornale dicendo che avevo lasciato più pulito io di una elegantissima signora che ogni giorno veniva qui con i suoi bambini e il loro cagnolino, appestando marciapiedi e aiuole con i loro rifiuti».

Mi provo a rispondergli che anche Robin, il suo fedelissimo boxer, avrà pure l’esigenza dei suoi bsognini: «Sì, certamente, ma io ho “il canguro”: la mia brava paletta e una nutrita riserva di sacchettini, che mi porto dietro anche quando vado in città per fare la spesa… a volte uso anche la candeggina… Lì sì che centinaia di cani inquinano i marciapiedi della vostra bella città.. Un giorno, in centro, ad una signora elegantissima che assisteva indifferente alla cacca del suo cagnolino, le dissi che Firenze è capitale dell’arte e non della “poppò-art”, o pop art che dir si voglia… Tanto per fare un esempio che i peggiori inquinamenti non li producono i barboni». Qui il discorso-intervista si allargherebbe oltre misura per poter dire che Roberto è un barbone pulitissimo, di fuori e di dentro, ama gli uomini e la natura con un insieme d’attenzioni che fanno tenerezza. «Chi sono i tuoi amici»? Gli chiedo nel bel mezzo della nostra chiacchierata: «Tutti quelli che passano, vedi tutti mi salutano o si fermano per portarmi regali… e quando sono troppi li do alla “Ronda della Carità” che li porta ai poveri che dormono all’aperto. Poi ci sono anche quelli che mi rompono le scatole… ma li considero amici; mi vedono e poi si arrabbiano senza conoscermi… mi fanno pena, ma non li considero nemici».

Rivivo con Roberto i sei anni della nostra amicizia, di quando lo conobbi dalle suore di Madre Teresa, che ha frequentato anche in altre città italiane. Gli offro anche la possibilità di andare in questi giorni freddissimi a mangiare un pasto caldo alla mensa della Madonnina del Grappa. Rifiuta con molta dignità dicendo che non può lasciare solo il suo fedelissimo Robin, e in tanto si mette a cucinare all’interno della sua singolarissima cucina. «Aggiornami sulle tue poesie gli chiedo», perché più volte ci siamo scambiati qualche pagina di comune emozione. «Torna domani, te ne do qualcuna, ma riportamele perché non ho la fotocopiatrice».

Per il resto invece ha tutto: una dignitosa autosufficienza esistenziale che, credendo di fare una battuta, mi provo a definire a quattro stelle. Non l’avessi mai detto! All’espressione a quattro stelle, la nostra chiacchierata cresce d’intensità emotiva. Mi ritrovo ancora una volta sconcertato. «Ma non ti senti un pò solo, la notte specialmente, senza amici?». «Lo dici tu che non ho amici. Da quando sono uscito dal mio vecchio albergo – leggi manicomio giudiziario, che Roberto non mi ha mai nascosto – la notte ho per amici le stelle, con le quali intreccio lunghissimi colloqui, e non sono soltanto quattro, come dici tu. Quattro, e a volte cinque, sono le stelle di latta dei vostri alberghi… le mie sono migliaia, quelle che riesco a vedere». Qui il discorso si spalanca a considerazioni culturalmente elevate che, partendo dall’occasione astronomica, in un crescendo da brivido approda verso aspetti di altissimo contenuto umano.

Un’apertura a tutto tondo che non può trovare spazio nei limiti imposti da un articolo di giornale, ma che ho raccolto integralmente fra le mie non poche esperienze dedicate a questi straordinari protagonisti della strada. La chiusura però, la lascio a lui, e alle sue amiche stelle che Roberto, probabilmente condividendo con il mastino Robin l’emozione dei suoi soliloqui notturni, così mi racconta: «Io ho tanti amici, la sera, appena riesco a vedere le stelle, e stasera ne vedrò tante perché il cielo è pulito, ora ne saluto qualcuna: qui, proprio davanti a me, stasera c’è il triangolo formato da Vega, nel cateto minore c’è Deneb, nel cateto maggiore c’è Altair.. E in più, a un certo punto, arrivano tutte le altre: c’è Orione che è nel punto più bello del cielo perché le stelle di prima grandezza sono una decina… Sopra i miei occhi ce ne sono otto, tutte riunite. Questo è un punto privilegiato perché proprio lì ora ci si è messo anche Saturno, e poi un pochino più tardi arriva Giove… nobili intrusi che si accostano, si fermano alcuni anni, e poi si allontanano… Io le guardo, ci parlo e loro mi salutano… la luna invece non mi interessa è la prostituta del cielo, si concede a tutti» «E quando ci sono le nuvole? O se piove?». La domanda viene spontanea, e lui con un bel sorriso: «Leggo le poesie..». «Ma se è buio?» Risata ancora più forte: «Le leggo nella memoria, sono mie, anche se qualcuna l’ho anche scritta…».

Si è fatto notte, lo saluto con il conforto che anch’io, nella mia casa, fra poco, ammirerò una cometa e il consueto cielo stellato del Presepio… Ma la consolazione si fa tristezza quando mi ritrovo fra i consumistici simboli del nostro Natale: perché stasera i miei cieli sono di carta stellata e la cometa è di cartone… i cieli e la cometa di Roberto, e del suo cane, invece….