Toscana

La storia di Moussa, il pasticcere che arriva dal Mali

«Il mio viaggio è durato 5 anni». Moussa Konè viene dal Mali ed ha 24 anni. Problemi economici, dopo la morte del padre, lo hanno costretto nel 2011 a cercare un futuro in Europa. Per cinque anni la sua mamma non ha avuto sue notizie. Nel settembre 2016, da Lampedusa, ha tentato di contattarla: «Ormai pensava che io fossi morto. Era successo così a un ragazzo amico della mia famiglia, era morto in mare. Lei pensava che avessi fatto la stessa fine, non ci credeva che eravamo al telefono».

Da Lampedusa, dopo pochi giorni fu trasferito al campo della Croce Rossa di Lucca poi in una struttura più piccola in Lucchesia e infine a Castelnuovo Garfagnana, dove ora lavora alla pasticceria «New Bar» a due passi dal Duomo. È anche una piccola promessa dello sport: corre per il Gruppo podistico Alpi Apuane, vanta già qualche trofeo e un articolo sulla Gazzetta dello Sport che mostra con soddisfazione. La sua giornata tipo è andare a lavorare la mattina alle 5 e poi, finito di fare dolci e pasticcini, si allena.

In tre anni ha preso il diploma A1 e A2 di italiano e poi, pochi mesi fa, il diploma di terza media. Ma ha frequentato pure un corso di pasticceria e ora, nello stesso locale dove ha svolto lo stage, è stato assunto per un anno (GiovaniSì). I colleghi e il titolare sono felici di lui. Scrive anche poesie e pensieri, per ricordare ed elaborare gli anni più brutti, quelli del «viaggio». Lo incontro dove vive (un centro di accoglienza straordinaria gestito da Coop. Le Vie) con quattro nigeriani e un ivoriano.

Moussa è un fiume in piena quando parla del suo viaggio. A piedi, a volte in macchina, dall’Algeria alla Libia e poi il mare e Lampedusa. La Libia, dice Moussa, «È stato il momento più duro». Quasi non fosse uno Stato, un territorio, uno spazio. Ma un tempo indefinito e perso nei rivoli della disumanità. Nella prima città libica incontrata, Ghadames, fa il muratore per un egiziano e impara un po’ l’arabo. Poi viene ingannato da una persona che gli promette di lavorare con gli animali, «Era il mio sogno, avevo 17 anni»: viene venduto a un tunisino che li minaccia di morte ogni giorno, lui e un Ghanese scappano. Dopo giorni di deserto ad un posto di blocco vengono arrestati e portati in caserma. Li rinchiudono in uno sgabuzzino dove stanno in ginocchio e piegati tanto è piccolo. Vengono fatti uscire, picchiati e costretti a pulire la caserma. Uno schiavista arrivato per comprarli li giudica di corporatura piccola e allora vengono messi sulla strada e gli dicono «Andate, Tripoli è la!». Moussa e il suo amico non sapevano dove fossero.

Durante il viaggio vengono di nuovo arrestati: «Abbiamo fatto 1 anno e sei mesi di prigione. Un giorno viene uno che ha bisogno di un lavoratore che capisce l’arabo e mi prende». In quella casa dove va, Moussa forse vive qualche momento più tranquillo, ma vuole scappare. Un venerdì quando tutta la famiglia è in Moschea, lui se ne va. Arriva a Tripoli. Ad un tassista chiede di portarlo all’ambasciata del Mali ma «il tassista, una brava persona, sapeva solo dov’è una casa abitata da persone di colore come me». Arriva e lo indirizzano ad un lavoro vero in una farmacia, ma deve farlo di nascosto, nel retro, perché è di colore. Va avanti forse due anni, dice, poi la farmacia viene attaccata da alcune milizie o da malviventi e chiude.

«Dalla Libia non si può tornare indietro, non c’è possibilità». S’informa, pagando 1200 euro viene portato «In una grande prigione da dove si vede il mare. Ci saranno state 800 persone. Una mattina prendono 180 di noi e ci mettono su una barca».

Moussa ferma il suo racconto. Entra in una stanza, esce con in mano una tuta e un giacchetto: «Quando sono arrivato in Italia, avevo solo dei calzoncini, ero senza maglietta e senza scarpe. Sono arrivato come un neonato e sono rinato un’altra volta. Non butterò mai questi vestiti che mi hanno dato a Lampedusa perché tutti, anche figli e nipoti che avrò, devono ricordare».

Vorresti rimanere qua? «Sì, Castelnuovo è entrata nel mio cuore».