Toscana

Legge elettorale, una riforma senza un perché

di Claudio TurriniUna scelta sbagliata nel metodo, al di là del merito». Emanuele Rossi, docente di diritto costituzionale alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa boccia senza riserve la proposta di riforma elettorale presentata dalla Casa delle Libertà. Non perché sia contrario ad un sistema proporzionale, che anzi afferma di preferire in astratto, ma perché le modifiche che la maggioranza vuole introdurre a pochi mesi dal voto e senza nessun accordo con l’opposizione, sembrano dettate non dalla volontà di miglioramento del quadro politico, quanto piuttosto dal tentativo di indebolire il centrosinistra. Nella proposta della Cdl ci sono anche cose che non vanno proprio dal punto di vista della tecnica politica, ma i rilievi di Emanuele Rossi sono soprattutto metodologici. A partire dal rispetto della volontà popolare. «Questo sistema elettorale – ci spiega – è nato sulla base di un referendum, quello del ’93, al quale il legislatore ritenne necessario adeguarsi in modo letterale sia per l’elezione della Camera che del Senato. I tre quarti di maggioritario e il quarto di proporzionale veniva fuori da quel referendum. Il corpo elettorale non solo andò a votare in maggioranza, ma addirittura i favorevoli furono la maggioranza assoluta».Va bene, ma da quel referendum sono passati dodici anni..«Naturalmente questo non vuol dire che il legislatore non possa cambiare quello che ha deciso con un referendum. Lo può fare, ma almeno spieghi perché. Dica perché il corpo elettorale 12 anni fa ha sbagliato. Spieghi perché questo sistema non ha funzionato. Mi sembra che le motivazioni della riforma non siano presenti nel dibattito…».

Quindi la sua non è un’opposizione di principio a questa forma di proporzionale corretto?

«Non è che il maggioritario sia meglio del proporzionale o il contrario. Sono sistemi che vanno egualmente bene a seconda del momento politico. In assoluto il proporzionale io lo preferisco… Quindi non è che sia particolarmente critico nei confronti di questa ipotesi di riforma, salvo per alcuni elementi. Ma è il metodo che non va. Non si può fare una riforma così, quando la campagna elettorale di fatto è partita, quando l’opposizione ha già deciso di fare le primarie, e di presentarsi con un certo schieramento».

È vero però che le riforme elettorali si fanno sempre per poter votare subito, altrimenti le assemblee si delegittimano.

«Nel ’93 si fece la riforma e subito dopo si sciolse il Parlamento, perché si disse che non era più legittimato. Però quella legislatura era cominciata nel ’92. Non si fece la riforma a ridosso delle elezioni. Si vota dopo aver fatto riforma, non si fa la riforma subito prima di votare. O perlomeno se la si fa, bisognerebbe che ci fosse un accordo tra le forze politiche».

Come del resto è successo in Toscana lo scorso anno quando un accordo bipartisan tra An, Forza Italia e Ds fece cambiare la legge elettorale regionale all’ultimo tuffo.

«Così sembra ci sia solo la volontà di diminuire la sconfitta e di diminuire il bipolarismo. La maggioranza che vince avrebbe alla Camera 340 seggi. E questo vuol dire che ogni forza politica, anche la più piccola, diventa determinante, perché la maggioranza è 316 e quindi bastano 25 deputati per rendere una forza politica determinante. Con il proporzionale non è difficile ottenere 25 seggi, quindi partiti come Rifondazione Comunista o l’Udeur diventano determinanti per l’Unione. In prospettiva si potrebbe prevedere una debolezza della maggioranza e la necessità di sottostare ai ricatti delle forze più piccole e anche di essere sostituita con forze esterne alla maggioranza. Mentre con il sistema attuale i sondaggi danno 380 seggi alla Camera per il centrosinistra e anche se Prc o Udeur si volessero tirar fuori, resterebbe la maggioranza. E questo varrebbe anche per il centrodestra».

Da questo punto di vista, quindi, la riforma darebbe meno garanzie di stabilità?

«Il sistema ipotizzato dalla Cdl, con il premio di maggioranza al 55%, data la particolare conformazione del sistema politico italiano, rende particolarmente vulnerabili ai ricatti dei piccoli partiti, come era nella prima repubblica, quando liberali o repubblicani, pur con il 2%, potevano decidere se far cadere un governo».

Del resto l’unica motivazione che si sente per la riforma è quella che il bipolarismo è un vestito troppo stretto per il nostro Paese…

«Se questo è vero, è anche un po’ contraddittorio definire un candidato premier preliminarmente e vincolare la maggioranza a quel candidato. Allora si dovrebbe dire: “ritorniamo com’era prima; ogni partito si presenta e poi dopo fa i suoi accordi in Parlamento”. Così è una situazione ibrida, che ipotizza la presenza di due schieramenti bipolari, perché se si vuol vincere bisogna mettersi insieme il più possibile».

Anche perché al Senato sono previste soglie di sbarramento molto alte, addirittura il 20% per le coalizioni…

«In realtà al Senato con gli ultimi emendamenti viene fuori un altro problema. Non c’è un premio di maggioranza unico ma tanti premi quante sono le regioni con la possibilità che chi ottiene meno voti complessivamente possa avere la maggioranza in Senato, e che ci sia addirittura una maggioranza diversa tra Camera e Senato. Che con il bicameralismo paritario che abbiamo in Italia non ci possiamo permettere».

Facciamo un passo indietro. In astratto, quali sono i vantaggi di un sistema elettorale proporzionale?

«I sistemi proporzionali hanno il vantaggio di essere una fotografia il più possibile reale e fedele delle sensibilità che sono presenti nel corpo elettorale: tutti sono rappresentati. Naturalmente lo svantaggio è quello di una frammentazione e di una ingovernabilità».

E di uno maggioritario?

«Il sistema maggioritario ha il vantaggio di favorire una maggiore omogeneità, di ridurre la frammentazione politica, però ha il limite di essere meno rappresentativo e non è detto che chi ha più voti abbia più seggi. Insomma si sacrifica la rappresentatività a favore di una maggiore governabilità».

Quello proposto dalla Cdl però è un proporzionale corretto…

«Il premio di maggioranza o le soglie di sbarramento sono tutte correzioni per guadagnare un po’ dei vantaggi del maggioritario, senza però perdere lo spirito del proporzionale».

Un vantaggio che si diceva doveva introdurre il maggioritario in Italia era un maggior collegamento tra l’eletto e i suoi elettori. Non mi sembra che sia stato così.

«Era una delle cose propagandate ai tempi del referendum del ’93. Ci siamo accorti però che è vero fino ad un certo punto perché poi dovrebbe essere garantito da un sistema politico che si conforma a questa sensibilità, ad esempio facendo sì che i candidati dei vari collegi fossero scelti all’interno del collegio stesso e non imposti da Roma. Oppure dovrebbe essere garantito con dei meccanismi legislativi imposti, come le primarie di collegio…».

Da questo punto di vista, comunque, la riforma andrebbe nella direzione opposta, eliminando anche il voto di preferenza, che nel proporzionale avvicina l’elettore al candidato.

«Eliminando le preferenze di fatto si dà una delega totale ai partiti di scegliere chi andrà in Parlamento. È vero che poi in base a come è fatta la lista uno può decidere di votare o meno quel partito, però questo è marginale».

Anche perché il partito mette in lista qualcuno famoso che faccia da specchietto per le allodole…

«Questo è evidente. Alle europee abbiamo visto un candidato – Berlusconi – che viene presentato in tutti i collegi per attirare i voti, poi viene eletto una volta sola e alla fine nel Parlamento europeo non c’è neanche andato vista l’incompatibilità con la carica di primo ministro. Ma intanto ha fatto da traino al partito… L’unico aspetto positivo dell’eliminazione delle preferenze è che questo riduce la competizione interna ai partiti e quindi anche le spese elettorali».

I detrattori del sistema attuale osservano che il maggioritario non ha ridotto la frammentazione politica.

«Tutti i sistemi vanno poi calati in una realtà sociale e politica. Non si può trasferire in Italia il modello inglese dicendo che lì funziona, perché il sistema italiano è diverso. Le regole elettorali possono condizionare ma non riescono a cambiare il sistema».

Anche perché piccoli gruppi parlamentari continuano ad accedere ai rimborsi elettorali.

«Certo, la legislazione di contorno, quella che garantisce ad esempio gli spazi elettorali, o i rimborsi, ha un effetto inducente verso la frammentazione. Ma questo si innesta su una mentalità italiana per cui bisogna stare solo con quelli che la pensano allo stesso modo su tutto. Invece le coalizioni tendono a mettere insieme cose molto diverse: c’è magari quello che la pensa come te sulla guerra, ma la pensa diversamente da te sull’embrione: la coalizione ti costringe a stare insieme, a vedere più gli elementi comuni che quelli identitari».

C’è chi ha accusato i Ds toscani di incoerenza: hanno voluto una riforma della legge elettorale regionale che ha molti punti in comune con quella in discussione ora a livello nazionale…

«Bisognerebbe vedere nel dettaglio la proposta della Cdl che è ancora incerta. Però il problema vero è quello del metodo e dei tempi. Se passa questa legge, Prodi con chi si presenta? Con i Ds o con la Margherita? Allora verrebbe meno la sua volontà di essere leader dell’intera coalizione. O rifanno la lista unitaria, che la Margherita aveva bocciato, oppure Prodi fa la lista sua, oppure non si candida. Ma immaginatevi Prodi che non si candida quando Berlusconi si presenta in tutti i collegi… Le scelte del centrosinistra, come quella di non rifare la lista unitaria, erano motivate da questo sistema elettorale…».

Cosa cambierebbe in ToscanaSe alle politiche del 2006 si voterà con la nuova legge elettorale proposta dalla Cdl ci saranno grossi cambiamenti nella compagine degli eletti toscani e qualcuno degli uscenti dovrà rimanere a casa o trovar posto in un’altra regione. Se, infatti, a livello nazionale i rapporti di forza potrebbero anche non cambiare di molto, quello che sicuramente cambierà sarà la distribuzione geografica. Con il maggioritario in una regione «rossa» come la Toscana, dove il centrosinistra ha quasi ovunque una maggioranza netta, 27 dei 29 collegi uninominali della Camera andarono al centrosinistra (La Cdl vinse a Lucca con Matteoli e a Grosseto con Tortoli). Al Senato, su 14 collegi uninominali, 13 andarono all’Ulivo e uno, quello di Lucca, a Marcello Pera (Fi). A riequilibrare i rapporti ci pensò la quota proporzionale: alla Camera 4 seggi andarono ai Ds, 1 alla Margherita, 1 a Prc e 2 ciascuno a Fi e An. Al Senato, dove il meccanismo è diverso, tutti e 6 i seggi andarono alla Cdl. Totale: 46 seggi a Ulivo + Prc e 19 alla Cdl. Da una simulazione effettuata sui voti delle regionali 2005 e relativa alla sola Camera, con la nuova legge proporzionale la partita potrebbe finire con 6 seggi in meno per l’Unione a tutto vantaggio della Cdl. Tradotto in seggi per i partiti vorrebbe dire 6 deputati in meno per i Ds e 3 in meno per la Margherita. A guadagnarci sarebbero Rifondazione (+2), Verdi (+1), Udc (+2), Forza Italia (+3) e An (+1). Differenze, ovviamente, che si riferiscono, per il 2001, sia agli eletti nella quota proporzionale che a quella uninominale alla Camera. Bisogna perciò tener presente che nei collegi la ripartizione tra i partiti non dipendeva dagli elettori, ma dalle scelte della coalizione su chi candidare. Il voto all’esteroAlle prossime politiche voteranno per la prima volta (referendum a parte) anche gli italiani all’estero che eleggeranno 18 parlamentari. Ma quanti sono esattamente gli aventi diritto? Secondo recenti dati diffusi dal ministero degli Interni, sono un milione e 300 mila i cittadini presenti negli elenchi consolari non registrati nell’Aire, l’anagrafe dei residenti all’estero, e, viceversa, sono 700 mila quelli presenti nell’Aire ma non risultanti nell’anagrafe consolare. Insomma. la situazione è ancora molto confusa. Da qui la richiesta del presidente della giunta regionale toscana Claudio Martini, avanzata durante una riunione dell’ufficio di presidenza del Cte, il Consiglio dei toscani all’estero, di un’anagrafe definitiva e di regole certe per la propaganda elettorale fuori dal nostro Paese. Martini ha anche sollecitato un «programma immediato di seria comunicazione istituzionale alle comunità di toscani all’estero per sollecitare la partecipazione». La schedaLa legge attualeLa legge elettorale della Camera, approvata nel 1993 e in vigore dal 1994, prevede che il 75% dei deputati (475) sia eletto con un sistema elettorale maggioritario, mentre il restante 25% (155) con un sistema proporzionale. Anche i 315 senatori sono eletti al 75% (232) con il maggioritario e al 25% (83) con il proporzionale. Due successivi referendum nel 1999 e nel 2000, che miravano ad estendere il sistema maggioritario a tutto il Parlamento, non sono risultati validi perché non ha partecipato al voto la maggioranza degli aventi diritto.

• Alla Camera accanto ai candidati dei collegi uninominali vi sono quelli della quota proporzionale, con liste bloccate (senza preferenza). Hanno diritto all’assegnazione dei seggi proporzionali alla Camera solo le liste che abbiano raggiunto il 4% dei voti. Per la ripartizione dei seggi della quota proporzionale della Camera si applica lo scorporo: in altre parole vengono eliminati i voti utilizzati per l’elezione dei deputati nei collegi uninominali.

• Nella quota proporzionale del Senato (su base regionale) si ricorre invece al recupero dei candidati uninominali non eletti in quella regione, purché collegati ad una lista (presente in almeno tre collegi).

La proposta della Casa delle LibertàLa proposta di legge concordata dalla maggioranza di centro-destra aveva già ottenuto il via libera il 28 settembre scorso in Commissione Affari costituzionali della Camera. Ma prima di approdare in aula (l’11 ottobre) la maggioranza ha dovuto presentare degli emendamenti correttivi per andare incontro ad alcuni rilievi formulati dal Capo dello Stato sotto il profilo della Costituzionalità del provvedimento. Il provvedimento è in corso di approvazione e potrebbe subire ulteriori modifiche. Quelli che presentiamo sono i punti principali della riforma.

• Sistema proporzionale sulla base delle circoscrizioni elettorali (oggi 27)

• Sbarramenti differenziati per Camera e Senato: alla Camera 10% per la coalizione, 4% per i partiti non coalizzati, 2% per quelli coalizzati. Al Senato gli sbarramenti salgono al 20%, 8% e 3%.

• Premio di maggioranza alla coalizione che ha avuto più voti a livello nazionale: 340 seggi alla Camera e 170 al Senato, dove però il premio scatterà su base regionale.

• Nelle regioni a statuto speciale il partito espressione di una minoranza linguistica avrà almeno tre seggi superando la soglia del 20%.

• Indicazione del candidato premier da parte delle coalizioni, ferme restando le prerogative del capo dello Stato (art. 92 della Costituzione).

• Alternanza di genere di uno ogni quattro candidati nelle liste bloccate. Comunque i candidati non possono essere più di due terzi dello stesso sesso.

• Esonero dalla raccolta delle firme per i partiti che hanno un gruppo in Parlamento e un europarlamentare.

La legge toscanaLa Regione Toscana ha approvato il 5 agosto 2004 una riforma della legge elettorale collegata all’adozione del nuovo statuto regionale, che prevedeva tra l’altro l’aumento dei consiglieri regionali da 50 a 65.

• Sistema proporzionale su base provinciale

• Elezione diretta del presidente della giunta

• Sbarramento dell’1,5% se all’interno di una coalizione che raggiunga almeno il 5%; del 4% se il candidato presidente collegato ottiene meno del 5%

• Premio di maggioranza: 55% dei consiglieri se la coalizione ottiene fino al 45%; del 60% se supera il 45%.

• Liste provinciali e lista regionale (sempre collegate ad un candidato presidente) senza indicazione di preferenza

• Possibilità di voto disgiunto (possibile votare il presidente e una lista provinciale non collegata a lui)

• Assessori tutti esterni al consiglio regionale

• Possibilità di svolgere elezioni primarie per la scelta del candidato presidente.

La nuova legge elettorale

Dal proporzionale al proporzionalepassando dal maggioritarioDal di Ennio CicaliStrano destino, quello del sistema elettorale proporzionale, ritenuto per decenni all’origine di molti guai della politica italiana. Cacciato a furor di popolo nel 1993, oggi si pensa di riesumarlo per garantire la stabilità politica. Il proporzionale ha caratterizzato il sistema elettorale italiano dal 1946 al 1992, con scrutinio di lista, voto di preferenza e recupero dei resti. Nelle diverse circoscrizioni per la Camera dei deputati erano eletti 20 – 22 candidati che nelle circoscrizioni più grandi – Roma e Milano – salivano a poco più di 50. L’elettore votava per un partito, esprimendo il voto di preferenza (da 2 a 4 secondo le circoscrizioni) unicamente ai candidati del partito prescelto, scrivendo sulla scheda il cognome o il numero a essi attribuito nella lista. I seggi erano assegnati ai partiti che ottenevano un quoziente pieno in almeno una circoscrizione – circa 60/65 mila voti – e raccolto almeno 300 mila voti su scala nazionale. Un decimo dei seggi, 63 circa, era attribuito nel Collegio nazionale ai partiti che avevano ottenuto i migliori resti nelle varie circoscrizioni, a condizione che avessero superato le due soglie previste. La risultante era un sistema sostanzialmente proporzionale, con un adeguato rapporto fra voti e seggi, seppure con una limitata sovrabbondanza dei partiti più grandi – Dc e Pci – e limitata presenza dei partiti minori. Un sistema che nel tempo ha provocato l’esclusione dal Parlamento dei partiti più piccoli come il Partito socialista di unità proletaria (Psiup) che, nel 1972, pur avendo ottenuto 645 mila voti su scala nazionale, non riuscì a ottenere nessun quoziente pieno. Altre esclusioni riguardano il Manifesto e il Movimento politico dei lavoratori di Livio Labor. Il primo referendum sulla preferenza unica del giugno 1991 apre la strada alla cancellazione del sistema proporzionale. Nonostante gli inviti all’astensionismo di vasti settori politici (Psi, Lega, maggioranza Dc) vota il 62,5% degli aventi diritto. La maggioranza assoluta degli elettori (26.922.176), pari al 95,6 dei votanti, è a favore dell’abolizione del sistema delle preferenze multiple nell’elezione della Camera dei deputati, ritenuto alle origini della corruzione e del voto di scambio, come documentato in varie inchieste giudiziarie. Il referendum dell’aprile 1993 sancisce il passaggio dal proporzionale al maggioritario. Le leggi 276 e 277 del 1993 prevedono l’elezione a suffragio universale per la Camera dei deputati, con voto diretto, uguale, libero e segreto e un turno unico. Il territorio nazionale è diviso in 26 circoscrizioni elettorali, in ognuna delle quali il 75% dei seggi da aggiudicare è attribuito nell’ambito di altrettanti collegi uninominali, in cui risulta eletto il candidato che ha riportato il maggior numero dei voti; il restante 25% dei seggi è però attribuito ancora con riparto proporzionale tra le varie liste.

Per il Senato, l’elezione è invece su base regionale: il territorio di ciascuna regione è ripartito in collegi uninominali pari ai seggi assegnati alla regione stessa, con arrotondamento per difetto; per l’assegnazione degli altri seggi spettanti alla regione è costituita un’unica circoscrizione elettorale. I seggi, nei collegi uninominali, sono attribuiti con il sistema maggioritario; gli altri sono assegnati con criterio proporzionale tra i gruppi di candidati concorrenti nei collegi uninominali.

Nel 1999 si è tenuto un referendum per trasformare il voto vigente per la Camera in un sistema completamente maggioritario, con la cancellazione della quota proporzionale. La consultazione è stata invalidata perché non ha partecipato la maggioranza degli aventi diritto.Nel passato il sistema elettorale italiano è stato cambiato più volte: dal 1848 al 1919 fu adottato il sistema maggioritario a collegio uninominale, salvo una breve esperienza dal 1881 al 1892 con il collegio plurinominale a voto limitato. Nel 1919 fu introdotta la rappresentanza proporzionale, che subì gravi violazioni durante il regime fascista. Nel dopoguerra, il suffragio universale fu esteso alle donne con l’adozione del sistema proporzionale per l’elezione della Camera dei deputati. Nel 1953 con la cosiddetta «legge truffa» si cercò attribuire un «premio» in seggi a un gruppo di liste collegate che avessero raggiunto la maggioranza assoluta dei voti validamente espressi. Ma nessun gruppo conquistò la maggioranza assoluta e il sistema proporzionale è vissuto fino al 1993, pur tra tante polemiche.