Toscana

Libertà di orario nel commercio, ecco chi è contro Monti

di Simone Pitossi

La Regione Toscana contro il Governo Monti. La Giunta regionale impugnerà infatti di fronte alla Corte Costituzionale le ultime norme del governo sulla liberalizzazione del commercio. «La liberalizzazione totale e selvaggia degli orari e delle aperture – spiega il presidente Enrico Rossi– è solo un altro regalo alla grande distribuzione e una batosta per le piccole imprese. Un minimo di regole è utile anche alla concorrenza. Tutto questo mentre bisognerebbe invece rilanciare il piccolo commercio per fini sociali, di sicurezza, vivibilità e di identità. Il governo farà bene a ripensarci e presto. Non sono queste le liberalizzazioni che ci aspettiamo». La Giunta ha inoltre approvato una circolare per il settore commerciale toscano. «Chiariamo così – ai comuni e agli operatori del settore – i rapporti che intercorrono tra normativa statale e regionale in materia di orari, sottolineando l’applicabilità della norma regionale rispetto a quella nazionale», sottolinea l’assessore al commercio Cristina Scaletti. La norma regionale approvata il 27 dicembre scorso è entrata in vigore successivamente a quella nazionale. E pertanto, secondo la Regione, trovano piena applicazione le disposizioni contenute in una materia che il Titolo V della Costituzione stabilisce di piena competenza delle Regioni, come più volte ribadito dalla stessa Corte Costituzionale. La Toscana, in questa battaglia, è in compagnia con la Puglia e il Piemonte.

Sulla stessa lunghezza d’onda le principali associazioni di categoria e dai sindacati. Stefano Bottai, presidente regionale di Confcommercio, spiega che la «Regione taglia la testa al toro: basta caos sulle aperture selvagge in attesa che la Corte Costituzionale si pronunci sulla competenza fra Regioni e Stato sulle aperture domenicali e festive dei negozi. La Regione ha fatto un ulteriore passo importante in coerenza con la normativa recentemente approvata che va a modificare gli articoli 80 ne 81 del Codice del Commercio. Il caos generalizzato e una apertura selvaggia non serve al settore commerciale tanto meno al rilancio dei consumi, altre sono le strade da seguire prima fra tutte aumentare il potere di acquisto delle famiglie». Secondo il presidente di Confesercenti Toscana Massimo Vivoli la «liberalizzazione selvaggia del commercio mette a rischio 1.500 negozi e 6.400 posti di lavori in Toscana». «Se c’è un settore, l’unico, che da anni ha fatto notevoli passi nella direzione delle liberalizzazioni – prosegue Vivoli – questo è proprio il commercio. I consumatori per primi sanno che in Toscana grazie al sistema della programmazione e della turnazione non c’é area territoriale che non abbia aperture festive e orari di servizio sufficienti nel corso di tutti i giorni dell’anno. Nei centri storici si può aprire, com’è noto, tutto l’anno (salvo 8 festività) fino alle ore 24».

Molto dura anche la posizione dei sindacati che minacciano addirittura di scioperare. Le liberalizzazioni «non danno risposte» ai problemi dell’economia e a quelli occupazionali, e «metteremo in campo, di volta in volta, azienda per azienda, tutte le iniziative necessarie», anche lo sciopero, per «difendere i diritti dei lavoratori. Interverremo caso per caso con la nostra mobilitazione». Questa la posizione di Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs della Toscana. «Le liberalizzazioni già c’erano, ora siamo nel campo dell’anarchia – ha sottolineato Barbara Orlandi, segretaria Filcams Cgil Firenze –. C’è grande disorientamento tra i lavoratori. E i piccoli esercizi commerciali si stanno “arrabattando” per tentare di reggere il passo con la grande distribuzione che ha più facoltà di riuscire a garantire le aperture». E questo «rischia di generare una ricattabilità nei confronti dei commessi».

Contrario anche il «gigante» della distribuzione toscana. Turiddo Campaini, presidente del consiglio di sorveglianza di Unicoop Firenze, ha osservato che la decisione del governo di liberalizzare totalmente le aperture dei negozi «è una deregulation completa che non farà altro che aumentare i costi del settore distributivo». Campaini, comunque, si riserva di valutare «caso per caso», in base anche al comportamento dei competitors, «se estendere giorni e orari di apertura dei suoi punti vendita».Sul versante opposto si colloca il Codacons della Toscana, associazione dei consumatori, che si dice pronto «a denunciare il governatore Rossi all’antitrust se presenterà davvero il ricorso». Infine Gabriele Toccafondi, deputato fiorentino del Pdl invita il Pd a «decidersi». «A livello nazionale è favorevole – osserva – mentre a livello regionale fa ricorso contro il testo della manovra che è stata approvata anche dal Pd». PADRE AIRO’: «No ad opposizioni a priori, sì a paletti per garantire lavoratori e piccole aziende»di Lorenzo Canali

Dalle liberalizzazioni come occasione per “aprire” nuove energie e opportunità nel mercato del lavoro e dell’economia italiana; no a passi indietro verso modelli selvaggi a discapito dei lavoratori». È questa in estrema sintesi la riflessione di padre Antonio Airò, responsabile regionale per la pastorale sociale del lavoro, riguardo uno dei temi più caldi al centro del dibattito politico in questi giorni: liberalizzazioni e in particolar modo liberalizzazioni degli orari di apertura dei negozi. L’Ufficio e le diocesi toscane non si sono ancora espresse ufficialmente a riguardo, anche se, un lavoro di confronto e analisi è stato portato avanti in questi mesi.

«Si tratta di un processo necessario, da portare avanti seriamente», spiega Airò. «Il superamento dei privilegi corporativi può essere una straordinaria occasione per creare nuovi posti di lavoro. Il nostro compito di cristiani è quello di tenere alta la tensione etica e morale per permettere ai soggetti in causa di assumersi le proprie responsabilità. Liberalizzare non vuol dire infatti che “ognuno può fare quello che vuole”; non significa far pagare i più deboli o andare in deroga ai diritti dei lavoratori. Sul fronte della grande distribuzione, ad esempio, il problema non sta tanto nell’apertura domenicale dei centri commerciali, quanto negli straordinari richiesti ai dipendenti senza limiti e senza rispetto delle regole previste. La necessità di cambiamento e la fase di ansietà che vive il mondo dell’economia, in un periodo di crisi come questo, non possono diventare alibi per scelte ingiuste, che non tengano conto dell’esigenza di far conciliare il “tempo lavoro” con il “tempo famiglia”. Il rischio è che da troppe parti la “dignità del lavoratore” diventi soltanto una parola vuota». Per padre Airò un ruolo particolarmente importante in questa fase può essere svolto dal sindacato che però «non può limitarsi alla difesa degli interessi di coloro che sono più garantiti. Deve tornare ad aprirsi al cambiamento». Per il responsabile della pastorale sociale e del lavoro, «in una fase di concertazione e di progettazione il contributo di chi rappresenta gli interessi dei lavoratori è fondamentale». Ma un compito importante spetta anche alla Chiesa: «Il concetto della festa, l’importanza della famiglia e della domenica non possono essere soltanto principi proclamati, ma devono diventare motivi che ci rendano capaci di portare un contributo di proposta». Un discorso particolare va fatto per la piccola distribuzione: «Non ci si può opporre a priori al processo di liberalizzazione degli orari di apertura. Occorre però che vengano posti dei paletti. Ad esempio, attraverso dei regolamenti comunali si può prevedere che tutti debbano avere il tempo di chiusura non consentendo una “concorrenza sleale” da parte dei più grandi a discapito delle piccole aziende a gestione familiare».

LA SCHEDAIn Italia sempre riforme dimezzate

Liberalizzazioni: dal qualche decennio sono evocate come il toccasana per gran parte dei mali italiani, ritenute fondamentali in un’economia dove la cultura della concorrenza è imbrigliata dal peso delle lobby e delle corporazioni. Liberalizzare, significa per molti aprire l’accesso alle professioni, abbassare i prezzi al consumo, ridurre l’area di possibili corruttele. Limitando l’intervento dello Stato alla sola rimozione degli ostacoli che impediscono la libera concorrenza. Un tentativo è stato fatto con le famose «lenzuolate» di Bersani nel 2007. Alla fine i successi furono pochi, molte le illusioni. Ora il governo Monti ci riprova ma non sarà facile.

Qual è oggi la situazione in Italia? Negli ultimi cinque anni l’indice che misura il livello di apertura del mercato è salito di pochissimo, due soli punti percentuali, dal 47% al 49%. E dal 2009 è addirittura fermo. Come dire che l’Italia è liberalizzata a metà rispetto all’Europa, anzi, meno. Lo dice il rapporto dell’istituto Bruno Leoni, attivo nell’elaborazione di ricerche e studi economici, che da qualche anno dedica alle liberalizzazioni un apposito rapporto. Quello presentato recentemente è articolato in 16 comparti ma solo sette superano la soglia del 50%. Siamo a metà del guado rispetto a Svizzera, Regno Unito, Svezia, Spagna, Olanda e Irlanda. I settori nei quali il Bruno Leoni chiede interventi decisi sono proprio quelli che nell’indice hanno tassi di apertura molto lontani dai migliori Paesi europei.

Il più liberalizzato è il settore dell’energia elettrica, a quota 72%:  il processo è partito da oltre un decennio. Anche il gas supera l’esame, con il 62% contro il 55% del 2010, lo stesso avviene per i servizi finanziari (69% ).

Sale, ma senza raggiungere la sufficienza, la liberalizzazione dei servizi postali (47% contro il 41% l’anno precedente) grazie alla direttiva europea che ha aperto alla concorrenza. Stabili, ma sempre insufficienti, le telecomunicazioni: 40%. Il mercato del lavoro schizza invece dal 50% al 60% seppure con le varianti di un settore anomalo.

Le liberalizzazioni restano lontane per gli ordini professionali, nonostante le raccomandazioni dell’Antitrust sull’apertura dell’accesso e le lenzuolate Bersani. Crolla il mercato televisivo dal 70% del 2010 al 62%. In coda i trasporti, in primo luogo ferrovie e autostrade. I treni, in pratica ancora monopolio di Trenitalia Ferrovie dello Stato, vanno indietro: tasso di liberalizzazione del 36%, cinque punti in meno dell’anno scorso e addirittura 13 rispetto al 2007. Quanto alle autostrade, penalizzate dall’assenza di  regole stabili e quindi poco incentivanti per i competitor, l’indice è crollato al 28%, contro i1 29% del 2010 e il 32% del 2007.Un caso curioso è rappresentato dal trasporto aereo. Il settore dominato dalla «nuova» Alitalia è migliorato rispetto al 2010, 62% contro 60%. Da quando c’era ancora la concorrenza, l’indice è precipitato di otto punti (era al 70%). C’era più apertura quando Alitalia era dello Stato, anziché di privati e banche. In coda c’è infine l’acqua: indice al 19% per i servizi idrici, contro il 27% del 2007.

Ennio Cicali

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