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Libia, un attacco tra mille dubbi

Si chiama «Odyssey Dawn» («Odissea all’alba») l’operazione contro il regime di Gheddafi in Libia, condotta da un gruppo di Paesi «volenterosi» (così è stato tradotto un po’ impropriamente il termine inglese «willing»), sulla base della risoluzione Onu n. 1973, del 17 marzo 2011 per imporre una «no-fly zone» sul Paese e porre fine allle violenze delle truppe «lealiste» contro i ribelli. Clicca qui per la nostra diretta. Sei favorevole o contrario? Vai al sondaggio L’appello del Papa: «Si fermino le armi»

I commenti

Le troppe contraddizioni della «legalità internazionale» (di Franco Vaccari)Non è così che si fa «ingerenza umanitaria» (di Romanello Cantini) Le rivoluzioni in Nord Africa e la miopia di chi investe sul presente e non sul futuro (di Romanello Cantini)Le tappe della crisi

Il primo episodio della rivolta in Libia è datato 15 febbraio 2011, quando la polizia disperde un sit in di protesta a Bengasi. I manifestanti chiedevano la liberazione di un avvocato delle famiglie di prigionieri uccisi nel 1996 in una sparatoria in un carcere di Tripoli (morirono oltre 1.000 persone).

Giovedì 17 febbraio gli scontri tra manifestanti e forze dell’ordine causano 8 morti.

Venerdì 18 viene incendiata la sede della radio a Bengasi e il bilancio dei morti sale a 40 vittime.

Il 20 febbraio si parla già di 285 vittime a Bengasi. Il figlio di Gheddafi Seif-al-Islam parla di complotto esterno e di rischio di guerra civile.

Il 22 febbraio le società petrolifere evacuano il personale. Il Consiglio di sicurezza dell’Onu chiede «la fine delle violenze contro i manifestanti» e il segretario Ban Ki-moon parla per circa 40 minuti al telefono con Gheddafi. Vari ambasciatori libici e anche ministri abbandonano Gheddafi, che sembra sempre più isolato.

Il 24 febbraio si parla di un Gheddafi barricato nel suo bunker, ma i suoi soldati attaccano Misurata e Zawiya.

Venerdì 25 si registrano manifestazioni anche a Tripoli, represse dal fuoco della polizia.

Il 26 febbraio il Consiglio di sicurezza dell’Onu approva la risoluzione 1970 che prevede l’embargo sulla vendita di armi, il divieto di viaggiare negli Stati membri dell’Onu per 16 persone legate al regime e il congelamento dei beni finanziari del leader libico e di quattro dei suoi figli. A Bengasi i rivoltosi formano il Consiglio nazionale transitorio.

Il 1° marzo Gheddafi inizia a bombardare i pozzi petroliferi passati sotto il controllo degli insorti. Scontri sanguinosi si registrano a Ras Lanuf, a Brega e a Zawiya, circondata dai carri armati. Il 5 marzo almeno 40 tank governativi cercano di entrare a Zawiyah aprendo il fuoco contro le abitazioni della città. Il 7 marzo l’Onu nomina l’ex ministro degli Esteri giordano, Abdelilah Al Khatib, «inviato speciale» in Libia.

L’8 marzo l’Organizzazione della conferenza islamica si dice favorevole all’imposizione di una «no-fly zone» sulla Libia. Il Cnt intima a Gheddafi di lasciare il paese entro 72 ore e non subirà conseguenze penali, ma il leader libico inizia la riconquista.

Il 9 marzo cade Zawaiya, il giorno dopo Ras Lanuf.

L’11 marzo si tiene un vertice Ue che chiede a Gheddafi di dimettersi e riconosce come «interlocutore politico il Consiglio di transizione libico, ma non trova un accordo per imporre una «no-fly zone».

Il 12 marzo si riunisce al Cairo la Lega araba che chiede ufficialmente al Consiglio di sicurezza dell’Onu di imporre una «no-fly zone sui cieli della Libia».

Il 13 marzo le truppe lealiste avanzano verso est e riconquistano Brega dopo raid aerei e bombardamenti.

Il 14 marzo si tiene un vertice del G8, che non raggiunge accordi, mentre i ribelli, ormai alle corde, chiedono all’occidente di effettuare raid aerei contro le installazioni militari di Gheddafi.

Il 16 marzo il regime annuncia di aver riconquistato anche Ajdabiya mentre continuano gli attacchi contro Misurata, Zenten e Bengasi; il segretario dell’Onu lancia un appello all’immediato cessate-il-fuoco.

Il 17 marzo il Consiglio di sicurezza dell’Onu approva la risoluzione 1973 che autorizza l’uso della forza per imporre la «no-fly zone». Nel testo, approvato con le cinque astensioni di Germania, Russia, Cina, Brasile e India, si condannano «le gravi  e sistematiche violazioni dei diritti umani, comprendenti arbitrarie detenzioni, sparizioni forzate, torture ed esecuzioni sommarie» compiute dal regime di Gheddafi, si rafforzano le sanzioni e l’embargo alle armi già previste dalla risoluzione 1970 e si autorizzano gli stati membri «ad adottare tutte le misure necessarie…per proteggere i civili e le aree civili dalla minaccia di un attacco nella Jamhariya Araba Libica, compresa Bengasi, escludendo l’ingresso di una forza di occupazione straniera in qualsiasi forma e qualsiasi parte del teritorio libico»

Il 18 marzo Gheddafi bombarda Misurata, poi a sorpresa annuncia lo stop immediato ad ogni azione militare, ma nessuno ci crede.

Nel pomeriggio di sabato 19 marzo a Parigi un vertice convocato da Sarkozy e al quale partecipano i maggiori leader europei (Berlusconi, Cameron, Merkel…) e il segretario dell’Onu dà il via libera all’azione militare. Non partecipa però l’Unione Africana. Mentre Sarkozy annuncia in una conferenza stampa l’esito del vertice, gli aerei francesi iniziano l’attacco.

Dall’ArchivioBENEDETTO XVI, ANGELUS: GARANTIRE SICUREZZA E SOCCORSI UMANITARI A POPOLO LIBICO