Toscana

Lotta alla fame, ecco perché gli impegni sono stati traditi

di Riccardo Moro

La cifra è spaventosa. 854 milioni di persone nel mondo sono sottoalimentate, soffrono la fame. Lo affermano le cifre del Rapporto sulla insicurezza alimentare nel mondo che la Fao ha pubblicato in questi giorni in occasione del vertice ospitato a Roma. 854 milioni che si vedono negato il bisogno primario, quello attraverso cui si costruisce la relazione di vita tra una madre e un figlio, prima ancora che quella relazione diventi adulta con la parola.

Spesso in Italia guardiamo ai problemi del mondo con grande partecipazione emotiva e generosità, ma pensando che siano lontani da noi e che basterebbe fare «come facciamo noi». Poi scopriamo che di quegli 854 milioni ben 9 vivono in mezzo a noi nei paesi industrializzati e 25 nei paesi in transizione, cioè nella galassia ex sovietica che ha scelto da quindici anni mercato e modello occidentale. Una parte di mondo in cui l’obesità è diventato un problema sociale. Ciò che colpisce è che negli ultimi dieci anni il fenomeno non si è ridotto. Gli impegni dell’ultimo World Food Summit del 1996 avevano anticipato gli Obbiettivi di Sviluppo del Millennio, che mirano a dimezzare entro il 2015 la fame nel pianeta, ma dopo dieci anni il numero degli affamati non si è ridotto. Perché?

È difficilissimo rispondere in modo davvero sensato. Ma si possono raccogliere alcune considerazioni fondamentali. La prima riguarda il mercato. Va detto con chiarezza: il cibo prodotto nel mondo basta per tutti. Ogni anno il Nord del mondo, quello dei 34 milioni di affamati, getta tonnellate di derrate alimentari invendute. La questione non è l’insufficienza, ma l’accesso ai beni, che passa per la localizzazione della produzione, la sua distribuzione e i potere d’acquisto delle persone. In questi anni abbiamo ascoltato spesso una grande enfasi sulla capacità dei meccanismi di mercato a combattere la povertà attraverso la crescita. Basta lasciar fare al mercato per avere ricchezza che poi, attraverso nuovo lavoro, viene distribuita. I manuali del primo anno di economia insegnano che questo può essere vero quando tutti godono delle stesse informazioni, rispettano i contratti e la terra è una risorsa illimitatamente disponibile… Ma viviamo in un mondo reale e il mercato è un’istituzione umana, con tutti i limiti che questo comporta. Il mercato va governato con regole adeguate che favoriscano l’inclusione, ha bisogno di strumenti e strutture, per evitare oligopoli e ingiustizie, e richiede protagonismo degli attori, come insegna Amartya Sen. Nei casi di carestia il prodotto alimentare non manca ma, scarso, viene distribuito in modo inefficiente: chi ha il prodotto lo nasconde in attesa che aumentino i prezzi giustificati proprio dalla scarsità… Non si può lasciar fare al mercato, occorre usare il mercato governandolo.

Questo porta alla seconda considerazione. In questi anni è cresciuto il ruolo delle politiche nazionali di lotta alla povertà e alla fame. Ma la fame c’è ancora. Erano politiche sbagliate? Chi scrive è favorevole al mercato regolato da poche norme adeguate, e non v’è dubbio che sia la comunità, cioè la politica a doverle definire. Ma un protagonismo locale rimane sterile se non riesce a coinvolgere tutti. In sostanza si è visto in questi anni il sorgere di politiche che di fatto non erano sintesi sapiente di tutti gli interessi locali, vuoi perché un po’ corrotte da ideologie importate, come l’enfasi sulla monocultura per l’esportazione (ad es. il caffé), che ottiene spesso solo un eccesso di offerta, fa crollare conseguentemente il prezzo (e i ricavi), e riduce la produzione degli altri prodotti alimentari necessari al consumo interno, vuoi perché la dinamica politica non riusciva a coinvolgere davvero tutti. In particolare i piccoli produttori, che spesso sono quelli che garantiscono la sufficienza alimentare nelle zone rurali, non sempre riescono a tutelare i propri interessi, e i governi privilegiano i produttori di larga scala che sanno farsi ascoltare di più. In questo modo possono venir agevolate produzioni che squilibrano il mercato interno, o usano ogm, o danneggiano l’ambiente in un disperato sfruttamento di terreni produttivi.

La considerazione finale è di natura etica. Il mondo ricco si commuove davanti alle cifre della fame. Si riunisce con i propri fratelli del Sud del mondo alle Nazioni Unite per scrivere insieme la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e dà vita a vertici che annunciano grandi impegni. Poi manda i suoi rappresentanti al WTO, dove si negoziano i termini delle relazioni commerciali, e pone condizioni a proprio vantaggio, offre sussidi pubblici alla propria produzione mentre propone sanzioni a chi nel Sud fa altrettanto. Certo la questione è articolata e chi scrive rabbrividisce a semplificarla così, né vede responsabilità solo nel Nord. Ma rabbrividisce di più a condividere questa condizione di schizofrenia etica e politica con cui continuiamo a presentarci al mondo. Dibattere sul ruolo dell’Occidente dovrebbe cominciare da qui. Che coerenza offriamo realmente a chi soffre la fame accanto a noi?

I dati Dieci anni fa, durante il Vertice mondiale dell’alimentazione che si svolse a Roma, tutti i leader promisero pomposamente di dimezzare il numero delle persone che soffrono la fame entro il 2015. Invece oggi vivono sotto la soglia delle 1.900 calorie al giorno 854 milioni di persone nel mondo, 26 milioni in più di rispetto a dieci anni fa. E se all’epoca le persone affamate nei Paesi in via di sviluppo erano 823 milioni, oggi sono solo tre milioni in meno, mentre la popolazione continua a crescere.

«Il numero degli affamati è in aumento di quattro milioni l’anno», ha denunciato il direttore generale della Fao Jacques Diouf, presentando il 30 ottobre a Roma il rapporto annuale della Fao sullo stato dell’insicurezza alimentare nel mondo. Diouf ha fatto l’ennesimo appello ai governi di tutto il mondo affinché «rispettino l’impegno solenne preso dieci anni fa». «I leader dei 185 Paesi che partecipavano al Vertice in quell’occasione hanno definito la fame nel mondo “inaccettabile ed intollerabile” – ha ricordato Diouf –. E mi rincresce dire che oggi la situazione continua a rimanere intollerabile ed inaccettabile – e forse anche di più perché nel frattempo sono trascorsi dieci anni».

Per onorare l’impegno preso al Vertice mondiale di dieci anni fa, si legge nel Rapporto Fao, si dovrebbe ridurre il numero dei sottonutriti di 31 milioni l’anno da oggi sino al 2015, mentre il trend attuale è al contrario di un aumento al ritmo di quattro milioni l’anno. Ma le proiezioni indicano anche che il numero totale delle persone sottonutrite nei Paesi in via di sviluppo nel 2015 sarà di 582 milioni, ossia 170 milioni in più rispetto all’obiettivo del Vertice mondiale che era di 412 milioni. Più di metà sarà concentrato nel sud e sud-est asiatico, con rispettivamente 203 milioni e 123 milioni di persone sottonutrite. L’Africa sub-sahariana rimarrà la regione con la maggiore concentrazione in termini percentuali con un numero di persone sottonutrite che si prevede si aggirerà per il 2015 intorno a 179 milioni. Ciononostante il Rapporto fa notare che «l’obiettivo del Vertice è ancora raggiungibile, ma solo se si interverrà concretamente ed in modo concertato. Questo significa un approccio a doppio binario che punti ad un’azione diretta contro la fame contemporaneamente ad interventi mirati allo sviluppo agricolo e rurale».

«La fame non è causata da scarsità di cibo ma da un’ingiusta distribuzione del cibo e dalla mancanza di accesso e controllo sulle risorse naturali», ha commentato il Rapporto Fao Francisco Sarmento, direttore del Food Rights Team di ActionAid international, un’organizzazione internazionale indipendente impegnata sui temi della povertà e dell’esclusione sociale. Secondo l’organizzazione delle Nazioni Unite non è possibile avere alcuna riduzione sostanziale della fame senza investimenti in agricoltura e sviluppo rurale. Ma un rapporto di ActionAid rivela invece «che i livelli globali di aiuto pubblico allo sviluppo destinati all’agricoltura sono crollati da 6,7 miliardi di dollari nel 1984 a 2,7 miliardi di dollari nel 2002».

Patrizia Caiffa

Il Rapporto della Fao (in inglese)