Toscana

Luci e ombre del nuovo Statuto regionale

di Giovanni Tarli Barbieridocente di diritto costituzionale all’Università di FirenzeNella seduta del 6 maggio scorso il Consiglio regionale ha approvato in prima deliberazione, e con una vasta maggioranza, il nuovo statuto regionale. Si tratta di un adempimento assai importante, con il quale la Regione Toscana (sia pure in ritardo) attua una delle più significative novità operate dalla riforma del titolo V della Costituzione.

Il nuovo statuto si compone di nove titoli che corrispondono ai contenuti delineati dall’art. 123 della Costituzione e con alcune condivisibili peculiarità (fra le quali l’istituzione di un collegio di garanzia, competente a verificare la rispondenza delle fonti normative regionali allo statuto: art. 57).

Molte polemiche ha suscitato l’art. 4 che elenca, tra le finalità principali che la Regione deve perseguire, «la tutela e la valorizzazione della famiglia fondata sul matrimonio», e «il riconoscimento delle altre forme di convivenza». Effettivamente, la seconda formulazione appare ambigua e generica.

Tuttavia, distinguendo la tutela della famiglia legittima dalle altre forme di convivenza, l’art. 4 non si propone di per sé la loro assimilazione; e comunque, pur non sottovalutando l’impatto “simbolico” e, se si vuole, “valoriale” della scelta del legislatore statutario, non si deve esagerarne la portata: in effetti, l’art. 4 si pone nel solco di quelle disposizioni “programmatiche”, di scarsa rilevanza giuridica, e per questo criticate dalla dottrina costituzionalistica (non sembra sufficiente per affermare l’effettività dell’art. 4 quanto disposto dal successivo art. 5 che si limita a prevedere, però genericamente, la necessità di verificare periodicamente «lo stato di attuazione» delle finalità in questione). A ciò si deve aggiungere che un uso “improprio” del riconoscimento delle «altre convivenze familiari» da parte del legislatore regionale sarebbe censurato dalla Corte costituzionale che, pur non negando la rilevanza delle convivenze (ma solo di quelle more uxorio), nega comunque la loro equiparabilità alle famiglie legittime.

È allora il caso di soffermarsi più da vicino ai contenuti tipici dello statuto che, come si ricava dall’art. 123 della Costituzione, sono riconducibili alla disciplina della forma di governo e dei principi fondamentali di organizzazione e funzionamento della Regione (oltre ad altri contenuti puntuali). Il suo compito principale è quindi quello di organizzare le istituzioni di una buona democrazia regionale, partecipata ed efficiente, nel rispetto del principio di sussidiarietà sia in senso “verticale” che “orizzontale”.

Quanto a quest’ultimo profilo, il titolo VI dello statuto («Il sistema delle autonomie») contiene interessanti disposizioni sui rapporti tra la Regione e le autonomie locali e sulla c.d. sussidiarietà sociale, anche se, per così dire, di diseguale ampiezza: assai puntuali le prime (fatta eccezione per quelle relative al Consiglio delle autonomie locali, organo che pure dovrebbe rivestire un’importanza centrale, dato il suo ruolo di raccordo con il sistema delle autonomie), piuttosto vaghe le seconde, nonostante che la c.d. sussidiarietà “orizzontale” sia oggi prevista da un’apposita disposizione costituzionale (art. 118, ultimo comma, Cost.).ù

Per quanto riguarda la forma di governo, il nuovo statuto, come quelli elaborati anche nelle altre regioni, sceglie un modello basato sull’elezione diretta del Presidente della Regione secondo lo schema simul stabunt simul cadent per cui la cessazione dalla carica di esso per un qualunque motivo (anche non politico) determina l’automatico scioglimento anticipato del Consiglio.

La logica di questo modello è la garanzia della stabilità e del rafforzamento dell’Esecutivo. Tuttavia, una tale forma di governo presenta rischi molto seri, quali la sua eccessiva “rigidità”, poiché non lascia alternative, nel caso di crisi politica, al ricorso a nuove elezioni, l’eccessiva personalizzazione della competizione politica (è noto che i Presidenti delle Regioni sono ormai chiamati “governatori”), l’appannamento del ruolo del Consiglio regionale.

I “correttivi” introdotti dal nuovo statuto per riequilibrare i rapporti tra Presidente e Consiglio, sono riconducibili, oltre che al riconoscimento a quest’ultimo di una nutrita serie di competenze (art. 11), al potere del Consiglio di approvare il programma di governo presentato dal Presidente nella prima seduta della legislatura (art. 32) e alla possibilità per il Consiglio di esprimere il non gradimento nei confronti di singoli assessori (art. 34). Al riguardo, però, nessuno di questi tre strumenti sembra rivestire un particolare rilievo: non la concentrazione di competenze in capo al Consiglio, giacché il mito della “centralità del Consiglio”, accolto nei vecchi statuti del 1971, non ha impedito al circuito Presidente-Giunta di divenire progressivamente il centro del sistema; non l’approvazione del programma di governo, non solo perché l’eventuale bocciatura non produce alcuna conseguenza ma perché non si vede come un Presidente, appena eletto e “garantito” da una maggioranza certa in Consiglio regionale, possa vedersi respinto un programma implicitamente approvato dagli elettori (a ciò si aggiungano i rischi di nuove elezioni che indurrebbero comunque il Consiglio ad un atteggiamento non conflittuale); non la mozione di censura nei confronti dei singoli assessori, non solo perché la sua eventuale approvazione non produce l’obbligo di dimissioni ma anche perché questo strumento deve fare i conti con il fatto che gli assessori sono in pratica designati dai gruppi di maggioranza (e la sfiducia potrebbe indurre una crisi politica).

Se questi aspetti della forma di governo destano alcune perplessità, una scelta condivisibile è il riconoscimento del ruolo delle minoranze consiliari e la previsione di un portavoce dell’opposizione (art. 10).

La nuova forma di governo regionale è descritta poi anche dalle scelte della nuova legge elettorale, approvata dal Consiglio regionale subito dopo il voto sullo statuto. Tale legge prevede che il Presidente sia eletto contestualmente al Consiglio con un sistema a turno unico. Il Consiglio regionale è eletto con un sistema proporzionale a base provinciale con un premio di maggioranza variabile (la coalizione collegata al Presidente eletto consegue almeno il 60% dei seggi se quest’ultimo ha ottenuto più del 45% voti; in caso contrario il premio di maggioranza è pari almeno al 55% dei seggi), temperato dalla garanzia per cui almeno il 35% dei seggi appartenga alle coalizioni o ai gruppi di minoranza.

Si tratta di un sistema elettorale assai complesso che, oltre a garantire una maggioranza consiliare certa collegata al Presidente eletto, è congegnato in modo tale da consentire la rappresentanza di tutti i territori provinciali.

Accanto a questi pregi, però, si sommano anche alcuni difetti, quali le limitate soglie di sbarramento, tali da consentire ad un partito che abbia ottenuto l’1,5% dei voti e sia collegato ad un candidato presidente che abbia ottenuto almeno il 5% di ottenere sicuramente almeno un seggio. Più in generale, il discutibile aumento dei consiglieri regionali a 65 (cui si debbono aggiungere un numero di assessori che può arrivare a 15, compreso il Presidente), la misura del premio di maggioranza, la soppressione del voto di preferenza (con l’effetto di esaltare il ruolo delle segreterie dei partiti nella scelta dei consiglieri regionali), fanno emergere il dubbio che il sistema elettorale prescelto finisca per favorire la conservazione del personale politico regionale esistente.Può darsi che questa impressione non corrisponda alla realtà; ma allora, chi condivide questa legge dovrebbe spiegare come mai essa non abbia fatto oggetto di alcuna forma di consultazione con la società toscana e perché essa sia stata approvata in gran fretta, nonostante le perplessità o le contrarietà di vasti strati dell’opinione pubblica (quantomeno con riguardo al controverso tema dell’abolizione delle preferenze). QUESTE LE NOVITÀ• Aumento dei consiglieri da 50 a 65

• Elezione diretta del Presidente della Giunta

• RiequilibrIo poteri della giunta e del consiglio

• Promozione diritto di voto agli immigrati

• Presidente del Consiglio in carica per 30 mesi rinnovabili

• Istituzione commissione pari opportunità

• Potenziamento Difensore civico

• Parere obbligatorio delle Commissioni sui regolamenti regionali

• Giunta composta da 8 a 14 assessori

• Incompatibilità tra carica di assessore e quella di consigliere

• Nasce il collegio di garanzia statutaria

• Sussidiarietà istituzionale

• La Regione potrà avere una sua politica estera

• 40 mila firme per referendum abrogativi, validi con più del 50% dei votanti alle ultime regionali

• 30 mila firme per referendum consultivi

Il nuovo sistema elettorale• Sistema: proporzionale a base provinciale.• Elezione diretta del presidente della Giunta.• Possibilità di voto disgiunto tra candidato alla presidenza e consiglio.• Abolizione della preferenza.• Abolizione del «listino» del Presidente.• Meccanismo che garantisce una rappresentanza da tutte le 10 province.• Almeno un terzo dei candidati devono essere donne; nel caso di due capolista regionali, uno deve essere donna.• Sbarramento: all’1,5% se all’interno di una coalizione (con il 5%); del 4% se da soli.• Premio di stabilità: 60% per le coalizioni collegate ad un presidente che ottenga più del 45%; almeno il 55% se ottiene meno del 45%.• Il complesso delle minoranze ottiene almeno il 35% dei seggi per impedire rapporti di forza troppo sbilanciati.

Approvata con il voto contrario di Udc e Margherita, e l’astensione di Rifondazione Comunista e Comunisti italiani. Rifiutata una proposta alternativa presentata in consiglio dalla Margherita che prevedeva una parte dei seggi assegnati con collegi uninominali e i rimanenti attribuiti ricorrendo alle circoscrizioni provinciali, mantenendo per questi il voto di preferenza. È stata approvata una mozione che auspica la selezione dei candidati attraverso primarie facoltative ed una per il voto ai 16enni.

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Abolizione della preferenza. Vai al sondaggio