Toscana
Luci e ombre di una legislatura «bipolare»
Con 6323 proposte e disegni di legge presentati alla Camera e 3770 al Senato la quattordicesima legislatura si qualifica come una delle più prolifiche tra quelle degli ultimi venti anni in termini di iniziativa legislativa, ma scende nella graduatoria dei raffronti statistici se l’analisi è fatta in base ai provvedimenti effettivamente approvati e non al diluvio di progetti sottoscritti da parlamentari di maggioranza e di opposizione, presentati dal Governo o d’iniziativa popolare. Al 2 febbraio scorso, secondo l’Osservatorio legislativo di Montecitorio erano 639 le leggi approvate dal 30 maggio 2001, alle quali vanno aggiunti i provvedimenti degli ultimi 15 giorni. Abbiamo chiesto a due docenti di diritto costituzionale di analizzare per noi luci e ombre di questa imponente azione legislativa che poteva contare, per la prima volta nella storia dell’Italia repubblicana, su una maggioranza solida in entrambi i rami del Parlamento.
In effetti, come dimostra il diritto comparato, affinché una democrazia maggioritaria non degeneri in una sorta di «assolutismo maggioritario» o in tentazioni cesaristiche più o meno larvate, è necessario, oltre alla previsione di idonei congegni di garanzia già accennati, anche la condivisione, da parte degli attori politici, di un comune patrimonio di principi almeno per quello che riguarda la tutela degli interessi individuali e collettivi di lungo periodo.
Viceversa, il caso italiano sembra ancora lontano dal soddisfare queste condizioni, come proprio l’esperienza della XIV legislatura, appena conclusa, dimostra bene.
E tuttavia, come sempre accade in diritto, non basta affermare un principio per vederlo realizzato: cosa si può dire allora con riguardo all’attuazione del principio della separazione dei poteri nei cinque anni della legislatura conclusa?
Limitandoci ad un aspetto soltanto di questo principio, vale a dire i rapporti tra Parlamento e Governo (o, detto in altri termini, tra potere legislativo e potere esecutivo), occorre dire in generale che sulla base di detto principio il Parlamento fa le leggi, ed il Governo le esegue, predisponendo i mezzi necessari perché ciò possa avvenire e dirigendo la pubblica amministrazione che è chiamata a porre in essere le azioni necessarie. Insieme, il Governo, che assume anche una funzione di indirizzo, presenta al Parlamento le proposte legislative che ritiene opportune e necessarie per dare attuazione al proprio programma: approvato, all’inizio del suo mandato, dallo stesso Parlamento mediante il voto di fiducia.
Fin qui, nei termini essenziali, il disegno delineato dalla nostra Costituzione e che un modello di democrazia maggioritaria non rinnega affatto.
Invece, nella realtà, le cose sono andate in modo un po’ diverso. Grazie (o a causa) anche alle riforme dei regolamenti parlamentari che sono intervenute nel corso degli anni Novanta, il Parlamento ha visto assai ridotto il proprio ruolo nell’attività legislativa: quell’attività, merita ricordarlo, che costituisce la sua primaria funzione. Chi fa le spese di siffatta compressione di ruolo è sia la maggioranza (che ha poco potere di interlocuzione con il Governo), ma soprattutto l’opposizione: la quale, com’è evidente, ha soltanto il Parlamento come sede nella quale possa svolgere la propria azione. Se al Parlamento si toglie il proprio ruolo, all’opposizione viene negato qualsiasi spazio di azione politica. E nel corso dell’ultima legislatura tale tendenza si è rafforzata, sia attraverso il costante ricorso al voto di fiducia su proposte del Governo (che di fatto ha impedito al Parlamento un potere di interlocuzione), sia attraverso la «blindatura» da parte dell’esecutivo di numerosi disegni legislativi, così impedendo alla stessa maggioranza parlamentare di modificare (o addirittura di bocciare) le proposte del Governo.
Si potrebbe obiettare, rispetto alla critica di tale atteggiamento, che ciò è conseguenza del fatto che l’opposizione non si è dimostrata disponibile al dialogo: osservazione che potrebbe anche essere vera, qualora la maggioranza si fosse dimostrata disponibile a mettere in discussione i contenuti della propria proposta. Ma tale disponibilità è negata dal fatto che in alcune circostanze la maggioranza ha addirittura pensato di porre la questione di fiducia sulla riforma costituzionale: il che è esattamente il contrario di quello che dovrebbe avvenire quando si modifica la Costituzione, che non può esser concepita come un obiettivo della maggioranza e sul quale giocare la permanenza della fiducia al Governo.
Analogamente deve dirsi per la legge elettorale, una delle leggi oggetto di più aspra contrapposizione tra i partiti della maggioranza e quelli dell’opposizione (che alla Camera non hanno neppure partecipato alla votazione). Questi ultimi, infatti, hanno ritenuto inopportuna l’approvazione una nuova legge elettorale pochi mesi prima delle prossime elezioni: atteggiamento contrario anche a quanto stabilito nel «codice di buona condotta elettorale» elaborato dal «Consiglio delle elezioni democratiche», nato dall’esperienza della «Commissione di Venezia» (oltre che fortemente combattuto da questa maggioranza quando prospettato dalla precedente). Nello stesso tempo, le forze di opposizione ne hanno contestato il contenuto, ritenendo che il nuovo sistema ne avrebbe penalizzato le possibilità di vittoria alle prossime elezioni (alle quali risulterebbero favoriti secondo i sondaggi, oltre che sulla base dei risultati di varie elezioni, suppletive, locali, regionali ed europee susseguitesi negli ultimissimi anni). Malgrado questo, la maggioranza è andata avanti per contro proprio, su un argomento che -come si intuisce- è centrale nella vita istituzionale del Paese.
Tra l’altro questa legge appare in controtendenza rispetto all’evoluzione del nostro sistema politico e degli assetti della forma di governo.
D’altra parte la particolare situazione personale nella quale si trova Silvio Berlusconi, insieme Presidente del Consiglio e grande imprenditore mediatico, non è stata risolta né nella precedente né in questa legislatura, come invece sarebbe stato necessario: al contrario, da un lato, la c.d. legge sul conflitto di interessi appare blanda e tale da non comportare obblighi o impegni particolari; dall’altro, la recente riforma del sistema radiotelevisivo appare tale da lasciare inalterati i rapporti di forza imprenditoriali.
Oltre a queste leggi, se ne debbono poi segnalare altre che risultano assai discutibili per gli assetti istituzionali: oltre alle due già ricordate (riforma costituzionale e legge elettorale) crediamo che si debbano richiamare quelle che sono intervenute sul tema della giustizia, ed in particolare sull’ordinamento giudiziario. Con specifico riguardo a quest’ultimo, deve condividersi l’opinione di chi ritiene che la legge n. 150/05 sia fondata su una filosofia di «gerarchizzazione» della magistratura al proprio interno ed ha lo scopo non troppo celato di diminuire l’indipendenza del potere giudiziario.
Anche la riforma del Csm (Consiglio superiore della magistratura), che si è realizzata con una legge del 2002, va nella direzione di un aumento nel peso della componente politica su quella di «autogoverno» della magistratura, dando la possibilità (che si è puntualmente verificata) alla componente di maggioranza politica dentro il Consiglio di bloccarne l’attività quando venivano in discussione argomenti non graditi.
Sempre in relazione all’attività della magistratura, vanno ricordate le leggi che sono state mosse da dichiarati intenti garantisti nei confronti degli imputati (in ordine alla prescrizione, al falso in bilancio, all’impossibilità di appellare le decisioni di assoluzione, e così via): al riguardo occorrerebbe approfondire, ma basti segnalare la contraddizione tra un’esigenza che spesso viene palesata, quale l’esigenza di «punire i colpevoli» ed «assicurare alla giustizia i malviventi», con l’altra di garantire gli imputati dando loro tutte le armi disponibili per far valere le loro ragioni ed impedire una sentenza di condanna. Tale contraddizione rischia sempre di più, con le leggi in esame, di trasformarsi in un doppio binario: i delinquenti (o ritenuti tali) che possono permettersi buoni avvocati e che possono pagarli senza risparmio hanno molti vantaggi dalla legislazione «garantista»; quelli che, al contrario, non possono permettersi avvocati alla proprie dipendenze sono sempre più soggetti alle rigidità della legge e, una volta in carcere, alle pietose (e talvolta scandalose) condizioni delle strutture carcerarie.
In tutto questo va aggiunto che pressoché nulla è stato fatto per portare a soluzione il vero problema relativo all’amministrazione della giustizia nel nostro Paese, vale a dire l’eccessiva durata dei processi.
ULIVO: Vannino Chiti (Firenze 1), Giovanni Bellini (Firenze 2), Valdo Spini (Firenze 3), Lapo Pistelli (Scandicci; Giacomelli Antonello, suppletive 24 ottobre 2004), Roberto Villetti (Sesto F.no), Marco Rizzo (Pontassieve), Alberto Fluvi (Empoli), Michele Ventura (Bagno a Ripoli), Andrea Lulli (Prato-Montemurlo), Franca Bimbi (Prato-Carmignano), Renzo Innocenti (Pistoia), Famiano Crucianelli (Montecatini Terme), Rolando Nannicini (Montevarchi), Giuseppe Fanfani (Arezzo), Rosy Bindi (Cortona), Fabrizio Vigni (Siena), Marco Filippeschi (Pontedera), Claudio Franci (Massa Marittima), Gloria Buffo (Carrara), Elena Cordoni (Massa), Carlo Carli (Viareggio), Ermete Realacci (Pisa), Raffaella Mariani (Capannori), Maura Cossutta (Cascina), Marco Susini (Livorno-Collesalvetti), Laura Pennacchi (Livorno-Rosignano M.), Fabio Mussi (Piombino).
Casa delle Libertà: Marcello Pera (Lucca)
Così verso il voto di aprile
APPUNTAMENTI IN SERIE – Elezioni politiche il 9 e 10 aprile, quindi il rinnovo delle Camere, scadenza formale del mandato del capo dello Stato il 13 maggio, elezioni amministrative sempre in maggio, in data ancora però da definire, formazione del nuovo governo, referendum «anti-devolution»: è fitta di scadenze importanti l’agenda politica della prossima primavera. A partire, appunto, dalle elezioni politiche, che sono state fissate per domenica 9 aprile, dalle ore 8 alle ore 22, e per lunedì 10 aprile, dalle ore 7 alle ore 15 (subito dopo inizierà lo scrutinio) e che coinvolgeranno complessivamente 50.317.812 elettori, di cui 24.246.420 uomini e 26.071.292 donne. I comuni interessati sono 8.101, le sezioni elettorali dove si vota sono 60.798.
COME SI VOTA – La legge del 21 dicembre 2005 n. 270 ha introdotto un nuovo sistema per l’elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, orientato in senso proporzionale e caratterizzato dalla previsione di un premio di maggioranza e di articolate soglie di sbarramento riferite sia alle liste che alle coalizioni. Con il nuovo sistema di votazione l’elettore ha a disposizione una sola scheda elettorale per la Camera ed una scheda per il Senato. In entrambe sono raffigurati i simboli delle liste in competizione, rispettivamente, nella circoscrizione o nella regione. L’elettore esprime il voto tracciando un segno sul simbolo della lista prescelta. Non è possibile manifestare voto di preferenza per i candidati: la lista è infatti «bloccata». Il nuovo sistema di votazione non si applica però a tutto il territorio: sono previste alcune eccezioni in alcune regioni come la Valle d’Aosta (sia per la Camera che per il Senato), il Molise e il Trentino (al Senato).
RIPARTO DEI SEGGI – Per l’elezione della Camera il riparto dei seggi si effettua su base nazionale, con successiva attribuzione delle circoscrizioni. Accedono alla ripartizione le coalizioni che abbiano raggiunto complessivamente il 10% del totale dei voti validi, purché almeno una delle liste collegate superi il 2% o sia rappresentativa di minoranze linguistiche. Sono ammesse anche singole liste non collegate che abbiano ottenuto almeno il 4% dei voti validi. Per l’elezione al Senato il riparto dei seggi si effettua su base regionale. Sono ammesse le coalizioni che ottengono il 20% dei voti validi della regione, nonché le liste singole che raggiungono l’8%.
SCRUTINIO INFORMATIZZATO – Si realizzerà in quattro regioni – Lazio, Sardegna, Puglia e Liguria – e affiancherà quello «tradizionale». La spesa complessiva autorizzata per questa sperimentazione ammonta a 34.620.722 euro.
LE SCADENZE – Da venerdì 24 febbraio a domenica 26 febbraio i partiti e i gruppi politici potranno depositare presso il Ministero dell’Interno i loro contrassegni di lista, dichiarando l’eventuale collegamento con una coalizione di liste o con altre liste. In quella occasione coloro che sono coalizzati dovranno consegnare il programma della coalizione che indica il leader della stessa coalizione, mentre i partiti che non sono collegati dovranno semplicemente indicare il capo del partito con il programma che lo riguarda. Le liste dei candidati, invece, saranno presentate da domenica 5 a lunedì 6 marzo e dovranno essere depositate presso le Cancellerie competenti delle Corti di Appello dei Tribunali. Per la circoscrizione estero, le candidature debbono essere presentate alla Corte d’Appello di Roma.
IL VOTO DEGLI ITALIANI ALL’ESTERO – Per la prima volta gli italiani residenti all’estero dovranno eleggere dodici deputati e sei senatori. Ogni cittadino residente all’estero riceverà un plico sigillato, voterà, richiuderà il plico, lo manderà al Consolato competente, il quale lo attenderà fino alle ore 17,00 del giovedì precedente le elezioni; dopodiché si metterà in moto una macchina di raccolta di tutti i plichi che li convoglierà a Roma e li custodirà fino al momento dell’apertura dei seggi, perché venga poi fatto lo scrutinio simultaneamente a tutti gli altri seggi italiani. All’estero si vota invece col proporzionale puro e col voto di preferenza. Delle quattro circoscrizioni – Europa, America meridionale, America settentrionale e centrale; Africa, Asia, Oceania e Antartide – alcune eleggono due parlamentari altre uno; però le liste possono contenere fino al doppio dei nomi dei candidati, cosicché, dove se ne devono eleggere due, le liste possono averne anche quattro, dove se ne elegge uno le liste possono averne due.