Toscana

Luci e ombre di una legislatura «bipolare»

Con 6323 proposte e disegni di legge presentati alla Camera e 3770 al Senato la quattordicesima legislatura si qualifica come una delle più prolifiche tra quelle degli ultimi venti anni in termini di iniziativa legislativa, ma scende nella graduatoria dei raffronti statistici se l’analisi è fatta in base ai provvedimenti effettivamente approvati e non al diluvio di progetti sottoscritti da parlamentari di maggioranza e di opposizione, presentati dal Governo o d’iniziativa popolare. Al 2 febbraio scorso, secondo l’Osservatorio legislativo di Montecitorio erano 639 le leggi approvate dal 30 maggio 2001, alle quali vanno aggiunti i provvedimenti degli ultimi 15 giorni. Abbiamo chiesto a due docenti di diritto costituzionale di analizzare per noi luci e ombre di questa imponente azione legislativa che poteva contare, per la prima volta nella storia dell’Italia repubblicana, su una maggioranza solida in entrambi i rami del Parlamento.

DI Emanuele RossiScuola superiore Sant’AnnaE Di Giovanni Tarli BarbieriUniversità di FirenzeLe elezioni politiche del 2001 hanno rappresentato un fatto nuovo nella nostra storia istituzionale: per la prima volta il sistema politico italiano ha raggiunto un assetto compiutamente bipolare accentuato, se possibile, anche dalla presenza del nome dei candidati premier nei simboli elettorali delle due coalizioni. Si sono quindi verificate condizioni quali non si erano mai avute nella storia della nostra Repubblica, nemmeno all’indomani delle elezioni del 1948 poiché la Dc non riuscì a conseguire la maggioranza assoluta dei seggi al Senato per la presenza di numerosi senatori di diritto (previsti transitoriamente nella prima legislatura). Vi erano quindi tutte le condizioni affinché potesse radicarsi anche nel nostro Paese un modello di «democrazia maggioritaria»; un modello, cioè, nel quale vi è una maggioranza parlamentare stabile, cui corrisponde la stabilità dell’Esecutivo il quale può così attuare pienamente il proprio programma, vi è una netta distinzione tra maggioranza ed opposizione (quest’ultima ha strumenti anche penetranti di critica e di controllo), sono previsti un insieme di garanzie e di contrappesi volti ad impedire le degenerazioni del circuito Governo-maggioranza parlamentare.Come si vedrà, però, tale modello, ammesso che si sia realizzato (non dimentichiamoci quante divisioni si sono registrate nella maggioranza e quanto esse hanno inciso sulla realizzazione del programma di governo), ha evidenziato numerosi, gravi problemi.

In effetti, come dimostra il diritto comparato, affinché una democrazia maggioritaria non degeneri in una sorta di «assolutismo maggioritario» o in tentazioni cesaristiche più o meno larvate, è necessario, oltre alla previsione di idonei congegni di garanzia già accennati, anche la condivisione, da parte degli attori politici, di un comune patrimonio di principi almeno per quello che riguarda la tutela degli interessi individuali e collettivi di lungo periodo.

Viceversa, il caso italiano sembra ancora lontano dal soddisfare queste condizioni, come proprio l’esperienza della XIV legislatura, appena conclusa, dimostra bene.

L’assetto istituzionale: i rapporti tra Parlamento e governoE’ forse a tutti noto che il principio della separazione dei poteri non è soltanto una componente essenziale della democrazia, ma è l’elemento fondamentale (insieme alla tutela dei diritti della persona) che connota un assetto costituzionale, almeno secondo l’evoluzione del costituzionalismo moderno. ed è rimasto punto di riferimento imprescindibile per le democrazie moderne.

E tuttavia, come sempre accade in diritto, non basta affermare un principio per vederlo realizzato: cosa si può dire allora con riguardo all’attuazione del principio della separazione dei poteri nei cinque anni della legislatura conclusa?

Limitandoci ad un aspetto soltanto di questo principio, vale a dire i rapporti tra Parlamento e Governo (o, detto in altri termini, tra potere legislativo e potere esecutivo), occorre dire in generale che sulla base di detto principio il Parlamento fa le leggi, ed il Governo le esegue, predisponendo i mezzi necessari perché ciò possa avvenire e dirigendo la pubblica amministrazione che è chiamata a porre in essere le azioni necessarie. Insieme, il Governo, che assume anche una funzione di indirizzo, presenta al Parlamento le proposte legislative che ritiene opportune e necessarie per dare attuazione al proprio programma: approvato, all’inizio del suo mandato, dallo stesso Parlamento mediante il voto di fiducia.

Fin qui, nei termini essenziali, il disegno delineato dalla nostra Costituzione e che un modello di democrazia maggioritaria non rinnega affatto.

Invece, nella realtà, le cose sono andate in modo un po’ diverso. Grazie (o a causa) anche alle riforme dei regolamenti parlamentari che sono intervenute nel corso degli anni Novanta, il Parlamento ha visto assai ridotto il proprio ruolo nell’attività legislativa: quell’attività, merita ricordarlo, che costituisce la sua primaria funzione. Chi fa le spese di siffatta compressione di ruolo è sia la maggioranza (che ha poco potere di interlocuzione con il Governo), ma soprattutto l’opposizione: la quale, com’è evidente, ha soltanto il Parlamento come sede nella quale possa svolgere la propria azione. Se al Parlamento si toglie il proprio ruolo, all’opposizione viene negato qualsiasi spazio di azione politica. E nel corso dell’ultima legislatura tale tendenza si è rafforzata, sia attraverso il costante ricorso al voto di fiducia su proposte del Governo (che di fatto ha impedito al Parlamento un potere di interlocuzione), sia attraverso la «blindatura» da parte dell’esecutivo di numerosi disegni legislativi, così impedendo alla stessa maggioranza parlamentare di modificare (o addirittura di bocciare) le proposte del Governo.

Il mancato coinvolgimento dell’opposizione sulla riforma costituzionale e sulla riforma elettoraleLa distinzione tra maggioranza e opposizione insita in un modello di «democrazia maggioritaria» incontra (o dovrebbe incontrare) eccezioni sul piano di quelle grandi riforme ordinamentali che, attenendo alle «regole del gioco», non possono essere frutto di una imposizione di una parte ma dovrebbero essere il frutto di ampie intese parlamentari.Tutto ciò vale innanzitutto per la riforma di quasi tutta la seconda parte della Costituzione, che è stata frutto di una «riflessione» estiva di quattro soi-disants «saggi», in rappresentanza dei quattro partiti della coalizione di governo: il testo da questi predisposto (la «bozza di Lorenzago») è stato poi rivisto e concordato dai partiti della maggioranza (cioè delle segreterie, non certo degli iscritti); il Governo ha poi approvato il testo e l’ha presentato al Senato: si è trattato della prima volta nella storia repubblicana (ma in generale può dirsi della storia italiana) che una proposta di riforma della Costituzione presentata dal Governo ed approvata dalla sola maggioranza parlamentare.

Si potrebbe obiettare, rispetto alla critica di tale atteggiamento, che ciò è conseguenza del fatto che l’opposizione non si è dimostrata disponibile al dialogo: osservazione che potrebbe anche essere vera, qualora la maggioranza si fosse dimostrata disponibile a mettere in discussione i contenuti della propria proposta. Ma tale disponibilità è negata dal fatto che in alcune circostanze la maggioranza ha addirittura pensato di porre la questione di fiducia sulla riforma costituzionale: il che è esattamente il contrario di quello che dovrebbe avvenire quando si modifica la Costituzione, che non può esser concepita come un obiettivo della maggioranza e sul quale giocare la permanenza della fiducia al Governo.

Analogamente deve dirsi per la legge elettorale, una delle leggi oggetto di più aspra contrapposizione tra i partiti della maggioranza e quelli dell’opposizione (che alla Camera non hanno neppure partecipato alla votazione). Questi ultimi, infatti, hanno ritenuto inopportuna l’approvazione una nuova legge elettorale pochi mesi prima delle prossime elezioni: atteggiamento contrario anche a quanto stabilito nel «codice di buona condotta elettorale» elaborato dal «Consiglio delle elezioni democratiche», nato dall’esperienza della «Commissione di Venezia» (oltre che fortemente combattuto da questa maggioranza quando prospettato dalla precedente). Nello stesso tempo, le forze di opposizione ne hanno contestato il contenuto, ritenendo che il nuovo sistema ne avrebbe penalizzato le possibilità di vittoria alle prossime elezioni (alle quali risulterebbero favoriti secondo i sondaggi, oltre che sulla base dei risultati di varie elezioni, suppletive, locali, regionali ed europee susseguitesi negli ultimissimi anni). Malgrado questo, la maggioranza è andata avanti per contro proprio, su un argomento che -come si intuisce- è centrale nella vita istituzionale del Paese.

Tra l’altro questa legge appare in controtendenza rispetto all’evoluzione del nostro sistema politico e degli assetti della forma di governo.

L’affermarsi nel nostro Paese di un sistema bipolare, con il formarsi di coalizioni che si costituiscono prima delle elezioni e che si impegnano a realizzare un programma comune, mal si concilia, come da molti sottolineato, con un sistema elettorale proporzionale nel quale ciascun partito deve affermare la propria identità anche nei confronti degli altri partiti appartenenti alla medesima coalizione. In questi primi giorni di campagna elettorale, ad esempio, vediamo manifesti elettorali dei singoli partiti, che spingono gli elettori a scegliere i candidati di quella formazione, in competizione non solo con i partiti dell’altro schieramento, ma anche del proprio. In sostanza, ogni partito deve convincere l’elettore a scegliere se stesso anziché un partito con il quale è pure coalizzato, perché così impone la legge elettorale proporzionale.D’altra parte, il consolidarsi nel nostro Paese di un sistema sostanzialmente bipolare impone (giustamente) che ogni coalizione abbia un programma comune, e che su di esso si ritrovi, al di là delle differenze di cui ogni partito (legittimamente e necessariamente) è portatore. Tutto ciò crea un’evidente contraddizione: perché ed in che modo se il programma è comune, un elettore deve scegliere tra uno o l’altro partito che ha lo stesso? Le contraddizioni già emerse tra i partiti del centro-sinistra in ordine agli obiettivi da realizzare nella prospettiva di futuro governo del Paese, con particolare riferimento alle decisioni da adottare in ordine alla TAV, sono l’esempio lampante di questa contraddizione: ma al contempo esse sono fisiologiche con questa legge, e sono perciò destinate a moltiplicarsi nel corso della prossima campagna elettorale, a sinistra come a destra. Non risolto il vero problema della giustiziaE’ indubbio che il volto della nostra nascente «democrazia maggioritaria» risente anche di alcune circostanze peculiari della realtà italiana.

D’altra parte la particolare situazione personale nella quale si trova Silvio Berlusconi, insieme Presidente del Consiglio e grande imprenditore mediatico, non è stata risolta né nella precedente né in questa legislatura, come invece sarebbe stato necessario: al contrario, da un lato, la c.d. legge sul conflitto di interessi appare blanda e tale da non comportare obblighi o impegni particolari; dall’altro, la recente riforma del sistema radiotelevisivo appare tale da lasciare inalterati i rapporti di forza imprenditoriali.

Oltre a queste leggi, se ne debbono poi segnalare altre che risultano assai discutibili per gli assetti istituzionali: oltre alle due già ricordate (riforma costituzionale e legge elettorale) crediamo che si debbano richiamare quelle che sono intervenute sul tema della giustizia, ed in particolare sull’ordinamento giudiziario. Con specifico riguardo a quest’ultimo, deve condividersi l’opinione di chi ritiene che la legge n. 150/05 sia fondata su una filosofia di «gerarchizzazione» della magistratura al proprio interno ed ha lo scopo non troppo celato di diminuire l’indipendenza del potere giudiziario.

Anche la riforma del Csm (Consiglio superiore della magistratura), che si è realizzata con una legge del 2002, va nella direzione di un aumento nel peso della componente politica su quella di «autogoverno» della magistratura, dando la possibilità (che si è puntualmente verificata) alla componente di maggioranza politica dentro il Consiglio di bloccarne l’attività quando venivano in discussione argomenti non graditi.

Sempre in relazione all’attività della magistratura, vanno ricordate le leggi che sono state mosse da dichiarati intenti garantisti nei confronti degli imputati (in ordine alla prescrizione, al falso in bilancio, all’impossibilità di appellare le decisioni di assoluzione, e così via): al riguardo occorrerebbe approfondire, ma basti segnalare la contraddizione tra un’esigenza che spesso viene palesata, quale l’esigenza di «punire i colpevoli» ed «assicurare alla giustizia i malviventi», con l’altra di garantire gli imputati dando loro tutte le armi disponibili per far valere le loro ragioni ed impedire una sentenza di condanna. Tale contraddizione rischia sempre di più, con le leggi in esame, di trasformarsi in un doppio binario: i delinquenti (o ritenuti tali) che possono permettersi buoni avvocati e che possono pagarli senza risparmio hanno molti vantaggi dalla legislazione «garantista»; quelli che, al contrario, non possono permettersi avvocati alla proprie dipendenze sono sempre più soggetti alle rigidità della legge e, una volta in carcere, alle pietose (e talvolta scandalose) condizioni delle strutture carcerarie.

In tutto questo va aggiunto che pressoché nulla è stato fatto per portare a soluzione il vero problema relativo all’amministrazione della giustizia nel nostro Paese, vale a dire l’eccessiva durata dei processi.

Gli eletti in ToscanaNel 2001 si è votato con il «Mattarellum», che prevedeva per la Camera due schede, una per il collegio uninominale e una per il recupero proporzionale (con «scorporo» parziale dei voti necessari per vincere nei collegi) e sbarramento nazionale al 4%. Anche al Senato il 75% dei seggi veniva attribuito con collegi uninominali. Qui però la scheda era unica e per il 25% proporzionale si scorporavano tutti i voti utilizzati per vincere nei collegi recuperando i migliori candidati sconfitti. Camera – UninominaleCASA DELLE LIBERTA’: Roberto Tortoli (Grosseto), Altero Matteoli (Lucca)

ULIVO: Vannino Chiti (Firenze 1), Giovanni Bellini (Firenze 2), Valdo Spini (Firenze 3), Lapo Pistelli (Scandicci; Giacomelli Antonello, suppletive 24 ottobre 2004), Roberto Villetti (Sesto F.no), Marco Rizzo (Pontassieve), Alberto Fluvi (Empoli), Michele Ventura (Bagno a Ripoli), Andrea Lulli (Prato-Montemurlo), Franca Bimbi (Prato-Carmignano), Renzo Innocenti (Pistoia), Famiano Crucianelli (Montecatini Terme), Rolando Nannicini (Montevarchi), Giuseppe Fanfani (Arezzo), Rosy Bindi (Cortona), Fabrizio Vigni (Siena), Marco Filippeschi (Pontedera), Claudio Franci (Massa Marittima), Gloria Buffo (Carrara), Elena Cordoni (Massa), Carlo Carli (Viareggio), Ermete Realacci (Pisa), Raffaella Mariani (Capannori), Maura Cossutta (Cascina), Marco Susini (Livorno-Collesalvetti), Laura Pennacchi (Livorno-Rosignano M.), Fabio Mussi (Piombino).

Camera – ProporzionaleFI: Paolo Bonaiuti, Denis Verdini;AN: Luigi Martini, Riccardo Migliori;DS: Marida Bolognesi, Beatrice Maria Magnolfi, Gonario Nieddu;Margherita: Pierluigi Castagnetti (subentrato: Pierluigi Mantini). Rif.: Ramon Mantovani. Senato-UninominaliUlivo: Giuliano Amato (Grosseto); Franco Bassanini (Siena-Chianti); Luigi Berlinguer (Pisa – alle suppletive del 27 ottobre 2002 gli subentra Luciano Modica); Monica Bettoni Brandani (Arezzo); Stefano Boco (Empolese); Giovanni Brunale (Valdera); Natale Maria Alfonso D’Amico (Livorno); Lamberto Dini (Firenze Sud); Vittoria Franco (Mugello); Stefano Passigli (Firenze Nord); Andrea Rigoni (Massa Carrara); Giorgio Tonini (Pistoia); Sauro Turroni (Prato)

Casa delle Libertà: Marcello Pera (Lucca)

Senato – regionaleCasa delle Libertà: Massimo Baldini, Francesco Bosi, Franco Mugnai, Grazia Sestini e Roberto Ulivi. Le principali leggi• VOTO ALL’ESTERODicembre 2001: la legge 459/01 permette l’esercizio di voto degli italiani residenti all’estero • SCUDO FISCALEFebbraio 2002: con la legge 73, il cosiddetto «scudo fiscale», depenalizzazione e tassazione ridotta per favorire il rientro di capitali detenuti fuori confine o in vari paradisi fiscali. • FALSO IN BILANCIOAprile 2002, la Camera depenalizza il falso in bilancio (D. Leg. n. 61) •BOSSI-FININel luglio 2002 nuova legge sull’immigrazione: per rimanere in Italia lo straniero deve dimostrare di avere un lavoro. •LEGGE ANTIFUMOGennaio 2003: la Legge 3 introduce multe salate per chi fuma negli uffici pubblici e negli ospedali e – dal gennaio 2005 – anche nei locali pubblici e privati aperti al pubblico, compresi bar e ristoranti. •LEGGE BIAGIFebbraio 2003: la riforma ispirata dal giurista ucciso dalle Br crea maggiore flessibilità nel mercato del lavoro e la regolamenta. • RIFORMA SCUOLAMarzo 2003: la legge 53 – riforma Moratti – delega al Governo il riassetto dei cicli scolastici cancellando la riforma Berlinguer della precedente legislatura ed introducendo nuovi percorsi per l’istruzione e la formazione degli studenti. • PATENTE A PUNTIGiugno 2003: il Decreto legge n. 151 modifica il codice della strada con l’introduzione della patente a punti. • RUOLO IRCLuglio 2003: con la legge 186 viene creato il ruolo degli insegnanti di religione cattolica, regolarizzando la posizione di circa 20 mila insegnanti precari. • CIRAMI Novembre 2003: il legittimo sospetto diventa un motivo per sospendere e trasferire un processo, quando gravi situazioni locali, tali da turbare lo svolgimento, e non altrimenti eliminabili, pregiudicano la libera determinazione delle persone, la sicurezza o l’incolumità personale. • FECONDAZIONEFebbraio 2004: la legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita mette fine al «far west» della provetta. Nel 2005 i referendum che ne chiedevano sostanziali modifiche non raggiungono il quorum. • GASPARRIMaggio 2004: nuove regole per il sistema televisivo. Parte il digitale terrestre. • RIFORMA PENSIONIAgosto 2004: la legge 243 riforma le pensioni con deleghe al Governo sulla previdenza pubblica, quella complementare e il riordino degli enti di previdenza. • FINE NAJANovembre 2004: la legge 266 anticipa i termini della fine della naja obbligatoria, già approvata nella precedente legislatura e stabilisce nuovi criteri per la ferma volontaria annuale e triennale. • GIUSTIZIALuglio 2005: varata la riforma Castelli. Le funzioni di giudici e pubblici ministeri sono separate. Cambia il Consiglio superiore della magistratura. • DEVOLUTIONIl 16 novembre 2005 viene approvata definitivamente la legge costituzionale che modifica la parte II della Costituzione, con profondi cambiamenti alle istituzioni (parlamento, governo, capo dello Stato, ecc..) Rimodula anche le competenze delle regioni. Verrà sottoposta a referendum confermativo in primavera. • LEGGE ELETTORALELa legge 21 dicembre 2005 n.270 ha introdotto un nuovo sistema per l’elezione della Camera e del Senato in senso proporzionale con premio di maggioranza e soglie di sbarramento. • DROGAFebbraio 2006: cancellata la differenza tra droghe pesanti e leggere. Sanzioni per i consumatori

Così verso il voto di aprile

APPUNTAMENTI IN SERIE – Elezioni politiche il 9 e 10 aprile, quindi il rinnovo delle Camere, scadenza formale del mandato del capo dello Stato il 13 maggio, elezioni amministrative sempre in maggio, in data ancora però da definire, formazione del nuovo governo, referendum «anti-devolution»: è fitta di scadenze importanti l’agenda politica della prossima primavera. A partire, appunto, dalle elezioni politiche, che sono state fissate per domenica 9 aprile, dalle ore 8 alle ore 22, e per lunedì 10 aprile, dalle ore 7 alle ore 15 (subito dopo inizierà lo scrutinio) e che coinvolgeranno complessivamente 50.317.812 elettori, di cui 24.246.420 uomini e 26.071.292 donne. I comuni interessati sono 8.101, le sezioni elettorali dove si vota sono 60.798.

COME SI VOTA – La legge del 21 dicembre 2005 n. 270 ha introdotto un nuovo sistema per l’elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, orientato in senso proporzionale e caratterizzato dalla previsione di un premio di maggioranza e di articolate soglie di sbarramento riferite sia alle liste che alle coalizioni. Con il nuovo sistema di votazione l’elettore ha a disposizione una sola scheda elettorale per la Camera ed una scheda per il Senato. In entrambe sono raffigurati i simboli delle liste in competizione, rispettivamente, nella circoscrizione o nella regione. L’elettore esprime il voto tracciando un segno sul simbolo della lista prescelta. Non è possibile manifestare voto di preferenza per i candidati: la lista è infatti «bloccata». Il nuovo sistema di votazione non si applica però a tutto il territorio: sono previste alcune eccezioni in alcune regioni come la Valle d’Aosta (sia per la Camera che per il Senato), il Molise e il Trentino (al Senato).

RIPARTO DEI SEGGI – Per l’elezione della Camera il riparto dei seggi si effettua su base nazionale, con successiva attribuzione delle circoscrizioni. Accedono alla ripartizione le coalizioni che abbiano raggiunto complessivamente il 10% del totale dei voti validi, purché almeno una delle liste collegate superi il 2% o sia rappresentativa di minoranze linguistiche. Sono ammesse anche singole liste non collegate che abbiano ottenuto almeno il 4% dei voti validi. Per l’elezione al Senato il riparto dei seggi si effettua su base regionale. Sono ammesse le coalizioni che ottengono il 20% dei voti validi della regione, nonché le liste singole che raggiungono l’8%.

SCRUTINIO INFORMATIZZATO – Si realizzerà in quattro regioni – Lazio, Sardegna, Puglia e Liguria – e affiancherà quello «tradizionale». La spesa complessiva autorizzata per questa sperimentazione ammonta a 34.620.722 euro.

LE SCADENZE – Da venerdì 24 febbraio a domenica 26 febbraio i partiti e i gruppi politici potranno depositare presso il Ministero dell’Interno i loro contrassegni di lista, dichiarando l’eventuale collegamento con una coalizione di liste o con altre liste. In quella occasione coloro che sono coalizzati dovranno consegnare il programma della coalizione che indica il leader della stessa coalizione, mentre i partiti che non sono collegati dovranno semplicemente indicare il capo del partito con il programma che lo riguarda. Le liste dei candidati, invece, saranno presentate da domenica 5 a lunedì 6 marzo e dovranno essere depositate presso le Cancellerie competenti delle Corti di Appello dei Tribunali. Per la circoscrizione estero, le candidature debbono essere presentate alla Corte d’Appello di Roma.

IL VOTO DEGLI ITALIANI ALL’ESTERO – Per la prima volta gli italiani residenti all’estero dovranno eleggere dodici deputati e sei senatori. Ogni cittadino residente all’estero riceverà un plico sigillato, voterà, richiuderà il plico, lo manderà al Consolato competente, il quale lo attenderà fino alle ore 17,00 del giovedì precedente le elezioni; dopodiché si metterà in moto una macchina di raccolta di tutti i plichi che li convoglierà a Roma e li custodirà fino al momento dell’apertura dei seggi, perché venga poi fatto lo scrutinio simultaneamente a tutti gli altri seggi italiani. All’estero si vota invece col proporzionale puro e col voto di preferenza. Delle quattro circoscrizioni – Europa, America meridionale, America settentrionale e centrale; Africa, Asia, Oceania e Antartide – alcune eleggono due parlamentari altre uno; però le liste possono contenere fino al doppio dei nomi dei candidati, cosicché, dove se ne devono eleggere due, le liste possono averne anche quattro, dove se ne elegge uno le liste possono averne due.

Elezioni, verso il voto con la bussola delle tre «P»

Politiche, la nuova legge elettorale