Toscana

MILITARE UCCISO AFGHANISTAN, MONS. PELVI: «UN SEMINATORE DI SPERANZA»

Da “instancabile seminatore di speranza dinanzi allo straniero, al prigioniero, al nudo, all’affamato, sull’esempio di Gesù, anche il nostro Massimo, si è lasciato orientare solo dalla voce del cuore dinanzi alla sofferenza e all’angoscia del popolo afghano. Egli ha lasciato il buio dell’egoismo, la vita comoda, per dire al fratello dimenticato e abbandonato: coraggio, alzati; sono qui per te, solidale con il tuo atroce dolore”. Così l’arcivescovo ordinario militare per l’Italia, mons. Vincenzo Pelvi, ha ricordato il capitano degli Alpini, Massimo Ranzani, caduto in un attentato in Afghanistan lo scorso lunedì, e del quale oggi, a Roma, si sono celebrati i funerali, alla presenza delle massime cariche dello Stato. Nell’omelia l’arcivescovo castrense ha tratteggiato la figura del militare, 37ª vittima italiana in Afghanistan: “agli amici, Massimo confidava che per costruire la pace bisogna guardare gli occhi dei bambini, leggervi dentro il sogno di cose belle e nuove; perché non ci sono bambini italiani, afghani o di altri Paesi, ci sono solo bambini, proprio come non ci sono tante paci ma la Pace. Massimo è stato instancabile seminatore di speranza e sperare vuol dire credere nell’impossibile. Fuggire il grido di aiuto dell’altro, è come scegliere la morte e, peggio ancora, divenirne l’artefice”.“Massimo – ha ricordato mons. Pelvi – è stato colpito mentre rientrava da un’operazione di assistenza medica, dopo aver distribuito vestiti, coperte, scarpe e cibo. Operazioni che i nostri giovani svolgono quotidianamente perché hanno scelto di investire nel povero la propria storia. Da buon cristiano, cresciuto tra gli scout della sua parrocchia, sapeva bene che la pace esige il lavoro più eroico e il sacrificio più difficile. Esige un eroismo più grande della guerra e una maggiore fedeltà alla verità. Siamo chiamati a spendere la nostra vita, non a trattenerla”. Da qui la consapevolezza che “le missioni internazionali di sicurezza ci aiutano a capire che siamo famiglia umana, nella circolarità del dono. Troppo spesso, invece, ci nascondiamo dietro affermazioni del tipo: ‘Non è compito mio’, ‘Ne vale la pena?’. Chi, guardando alla vicenda storica nella quale ci troviamo non vorrebbe una civiltà che consenta alla vita umana una migliore esistenza, un futuro sereno? La terra è solcata da agitazioni, conflitti, sentimenti e propositi di odio e di guerra. Ma il sacrificio dei nostri militari ci impegna nel riaffermare quell’amore sociale, norma suprema e vitale della persona umana”. Per mons. Pelvi “occorre un capovolgimento di prospettiva: su tutto deve prevalere non più il bene particolare di una comunità politica, razziale o culturale, ma il bene dell’umanità”.Sir