Toscana

Mafie, le infiltrazioni in Toscana. Il porto di Livorno hub internazionale di traffici illeciti

«La Toscana non è terra di mafia, ma la mafia c’è». Lo diceva lo scomparso giudice Caponnetto e la ricerca realizzata dalla Normale di Pisa lo conferma. Già dopo i primi mesi di studio si rafforza infatti la consapevolezza che non esistono regioni sul territorio nazionale immuni dalle mafie e dai fenomeni corruttivi. E la Toscana non fa eccezione. La situazione di fatto supera la fotografia scattata da giudici, perché ci sono reati che talvolta non sono qualificati giuridicamente con una matrice mafiosa ma nella sostanza lo sono, ricondotti a gruppi autonomi o singoli individui, ugualmente pericolosi da un punta di vista sociale e che dimostrano l’elevata vulnerabilità di alcuni territori. Pochi e sporadici casi insomma da articolo 416 bis, ma ben più numerose attività criminali a sostegno di associazioni di stampo mafioso.

Il rapporto della Scuola Normale di Pisa, primo di tre studi concordati dalla Regione con l’ateneo fino al 2018, è stato approvato a luglio dalla giunta regionale. L’ha curato la professoressa Donatella Della Porta, con la collaborazione di Andrea Pirro, Salvatore Sberna e Alberto Vannucci.

L’indagine è innovativa e sperimentale nella metodologia e nel focus, ma anche nel processo che lo guida, partecipativo. La ricerca ha visto infatti il coinvolgimento delle principali istituzioni impegnate in Toscana nell’attività di prevenzione e contrasto fenomeni criminali esaminati.

I risultati e punti salienti sono stati messi in evidenza oggi, nel corso di una conferenza stampa, dal presidente della Toscana Enrico Rossi assieme all’assessore alla presidenza e legalità Vittorio Bugli. Gli interessi dei clan criminali sono duplici: far affari ma anche reinvestire il frutto di attività consumate altrove. Da un lato ci sono così i mercati illeciti, fin troppo fiorenti e vasti anche in Toscana da non attirare gli appetiti di gruppi criminali ben organizzati come le mafie storiche italiane o le mafie straniere, e dall’altro ci sono i capitali illeciti, che inquinano l’economia della Toscana. Ecco così che il porto di Livorno si evidenzia come hub di ingresso per i traffici in larga scala di droghe e stupefacenti. Quello toscano è tra i mercati più fiorenti tra le regioni italiane, in mano non ad una ma più organizzazioni; ma la Toscana e il porto di Livorno sarebbero uno snodo centrale soprattutto nel traffico internazionale di stupefacenti in ingresso in Europa, in particolare quello di cocaina, diretto da organizzazioni in gran parte riconducibili alla ‘ndrangheta calabrese.

La ricerca mostra anche una mappatura dei beni sotto sequestro o confiscati ad associazioni criminali. Il dato, aggiornato ad oggi, ci dice che sono 451, di cui 64 già riutilizzati per uso sociale. Le aziende confiscate sono 46, in gran parte ancora da destinare. Il grosso delle aziende si concentra a Prato e provincia, Lucca, Livorno e Firenze. La vulnerabilità di certi territori e mercati, come quello degli appalti pubblici, interessa anche le istituzioni.

La ricerca passa così in rassegna alla fine anche il fenomeno della corruzione, incrociando i dati dei tribunali con quelli delle notizie apparse sui media. Si parte dalla Toscana, per poi successivamente allargare il raggio a tutta l’Italia. Gli enti locali, emerge chiaramente, sono il livello che resta più vulnerabile. I numeri raccontano una netta linea di tendenza verso la crescita dei reati contro la Pa e in particolare dei reati di corruzione ad Arezzo (dove sono più che triplicati, passati da 36 a 113), a Firenze, Lucca e Prato; sono stabili invece a Livorno, Pisa e Siena. Almeno 21 processi per corruzione, sei per concussione e 39 per peculato sono stati avviati nei tribunali toscani tra il 2014 e 2015. Spiccano, dopo la provincia aretina, i ben 13 processi per corruzione avviati a Firenze, i 12 per peculato a Grosseto, i 13 sempre per peculato a Pistoia. La ricerca non ha solo lo scopo di scattare una fotografia. La mappatura aiuterà a comprendere quali settori della pubblica amministrazione e quali funzioni e procedure siano più vulnerabili.

Irpet e l’Osservatorio regionale sugli appalti, che collaborano, hanno elaborato dei primi indicatori di anomalia a partire da un’analisi di tutti i contratti banditi dalle amministrazioni pubbliche che operano in Toscana. Questi indicatori di rischio saranno messi a disposizione sia delle amministrazioni – per aiutarle nell’elaborazione dei piani anticorruzione previsti dalla normativa nazionale – sia di tutta la società civile, che così potrà vigilare sui comportamenti delle istituzioni pubbliche.

Rossi: «Non siamo un’isola felice, ma c’è una coscienza civile reattiva». «Non dobbiamo cullarci nel fatto che fino ad ora non si siano trovati insediamenti territoriali della mafia e delle organizzazioni storiche malavitose, perché può darsi che un giorno potremmo scoprire improvvisamente, come in Emilia, che invece c’é un radicamento anche da noi. La Toscana interessa alle mafie per gli investimenti, perché la nostra è una terra che attrae investimenti», ha dichiarato il presidente della Giunta regionale, Enrico Rossi, parlando coi giornalisti a margine della presentazione del primo rapporto sui fenomeni di criminalità organizzata e corruzione in Toscana. «Ci sono presenze preoccupanti anche sotto il piano sociale – ha ammonito -, che sfruttano la tratta, c’è un’emergenza che lambisce i rifiuti e c’è un’indagine nuova anche sul porto di Livorno».

Rossi ha richiamato la necessità di prestare attenzione per prevenire e contrastare meglio la criminalità organizzata. «Abbiamo uno spicchio aperto anche sulla pubblica amministrazione- ha evidenziato – e l’osservatorio sulle opere pubbliche è importantissimo perché verificherà che non ci si discosti da certi parametri prefissati».

Il rapporto elenca anche i casi di corruzione denunciati. «La Toscana non è un’isola felice – ammette – ed è ovviamente attraversata da tutti i fenomeni che attraversano il mondo. Di positivo c’è che in questa regione c’è una coscienza civile reattiva. Questo monitoraggio serve a tener vivo questo tessuto sociale».