Toscana

Mafie. In Toscana record denunce e arresti per aggravante. Rossi: siamo preoccupati

Nell’ultimo triennio la Toscana è stata la regione con più arresti o denunce per reati con l’aggravante di mafia dopo Campania, Calabria e Sicilia, cioè i territori dove la presenza della malavita è storicamente un dato acquisito. Le persone coinvolte negli arresti e nelle denunce sono state 223, il 30% del totale nazionale al netto delle tre regioni del Mezzogiorno a più alto insediamento della criminalità. È quanto emerge dal rapporto sulla criminalità organizzata e della corruzione stilato dalla Normale di Pisa.

Le province a più alto rischio di penetrazione delle organizzazioni criminali secondo lo studio sarebbero Grosseto, Livorno, Prato e Massa Carrara. Quest’ultima è anche l’unica area a registrare un aumento degli episodi di intimidazione e di violenza.

In Toscana crescono anche i danneggiamenti a seguito di incendio, gli attentati e le rapine di banca. In particolare modo, Livorno spicca fra tutte per il numero di denunce per estorsione, mentre Prato svetta per i casi di riciclaggio di denaro.

Secondo la Normale in Toscana si contano 78 clan, il 48% dei quali legato alla ‘ndrangheta calabrese, il 41% alla camorra. Sono otto, invece, quelli di origine prevalentemente autoctona con legami con gruppi campani e calabresi. Le loro attività più frequenti riguardano i traffici di stupefacenti (23%), le estorsioni (13%), lo sfruttamento della prostituzione e il riciclaggio (11%), la contraffazione e l’usura (6%). Nello spaccio della droga il numero di stranieri arrestati doppia nel 2016 quello degli italiani. Secondo la fondazione Caponnetto a fronte di 132 gruppi criminali censiti si stima un giro d’affari di 15 miliardi.

«Non siamo la Calabria, ma c’è da stare preoccupati lo stesso». Sintetizza così il senso del proprio intervento il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, commentando la presentazione del rapporto sulla criminalità organizzata e la corruzione stilato dalla Normale di Pisa. Il governatore rammenta che una convinzione diffusa sul fenomeno è che la presenza della mafia sarebbe isolata in nicchie particolari in un contesto toscano complessivamente sano. Tutto questo anche per merito di un controllo sociale dall’alto che preserva la legalità e funziona da deterrente.

«Voglio difendere la Toscana, credo che ci sia ancora un tessuto economico sano, lo dimostrano anche certe reazioni che vediamo di fronte alle emergenze criminali- premette-. Tuttavia, se ad esempio a Livorno si aprono delle indagini perché passa un pezzo del traffico nazionale della droga è evidente che esiste un pezzo dell’economia locale infiltrata». La strategia per contrastare la mafia deve far leva, sostiene, «anche attraverso una discussione politica sia sul segmento sano dell’economia che sui cittadini. Diversamente – avverte-, il rischio è che la criminalità, la corruzione infettino il nostro territorio». Il proposito dell’intervento del presidente della Giunta regionale è di ridefinire anche l’immagine di una regione descritta abitualmente come la Toscana Felix.

Rossi è colpito dall’emersione di possibili penetrazioni della grande criminalità nel settore privato, nell’immobiliare specialmente. E sprona anche i sindaci a tenere gli occhi aperti: «È legittimo l’entusiasmo di un amministratore quando qualcuno viene a investire nella propria realtà – sottolinea -, ma questa reazione deve essere temperata dalla necessità di capire da dove viene l’investimento». Assumendo il tema da quest’angolazione, sarebbe positivo per il presidente della Toscana non solo chiedere la certificazione antimafia alle aziende, ma anche «verificare l’equilibrio economico-finanziario dell’investitore. In maniera tale da capire se sta in piedi con le proprie gambe o se può avere dietro un flusso di denaro che viene dal mercato illecito».

Il rapporto della Normale richiama anche i casi di latitanti arrestati di recente in Toscana. Una cornice che dovrebbe spingere a una maggiore attenzione, fa notare il governatore. Anche perché il racconto della Toscana è di una regione relativamente al riparo da un vero e proprio insediamento mafioso pone dei quesiti: «Dobbiamo cullarci o preoccuparci di questo? Forse non siamo interessati solo noi, ma anche la criminalità organizzata a mantenere questo marchio? A pensare male anche in questo caso si farebbe bene». 

Il Rapporto sulla criminalità organizzata e della corruzione 2018