Toscana
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Dal n. 9 del 6 marzo 2005

Massa Carrara, una provincia alla ricerca dell'industria perduta

Molte vertenze aperte, un processo di deindustrializzazione fallito e una disoccupazione (7,7%) ben al di sopra di quella regionale, la situazione della provincia di Massa Carrara è tra le più critiche della Toscana. L'area apuana, ormai da vent'anni vive un pesante processo di deindustrializzazione. Qui gli effetti della crisi si fanno sentire in modo più marcato rispetto al resto della Toscana, in un sistema economico locale che negli anni '80 si fondava sulla presenza di grandi imprese industriali con partecipazione statale.
DI ENNIO CICALI

Massa Carrara, una provincia alla ricerca dell'industria perduta

di Ennio Cicali
Molte vertenze aperte, un processo di deindustrializzazione fallito e una disoccupazione (7,7%) ben al di sopra di quella regionale, la situazione della provincia di Massa Carrara è tra le più critiche della Toscana. L'area apuana, ormai da vent'anni vive un pesante processo di deindustrializzazione. Qui gli effetti della crisi si fanno sentire in modo più marcato rispetto al resto della Toscana, in un sistema economico locale che negli anni '80 si fondava sulla presenza di grandi imprese industriali con partecipazione statale (Dalmine, Enichem, Farmoplant) le cui scelte strategiche hanno prodotto pesanti conseguenze, sia sulle politiche locali di sviluppo economico sia, soprattutto, sul fronte occupazionale.

La vertenza maggiore è quella dei Nuovi Cantieri Apuania, azienda pubblica di Sviluppo Italia, con 250 lavoratori addetti e circa 900 stimati nell'indotto, da anni in attesa di un nuovo piano industriale. Dopo un lungo periodo di incertezza si profila qualche segnale di ripresa dopo che Mps Banca per l'Impresa ha deliberato la sottoscrizione di parte dell'aumento di capitale riservato ai nuovi soci. La lettura della congiuntura in cui versa la provincia apuana è molto difficile, soprattutto perché le contraddizioni superano le certezze, con un sommerso che rappresenta ormai un quarto dell'economia.

Molte le aziende in crisi, soprattutto metalmeccaniche, alcune delle quali erano nate per reinserire i lavoratori rimasti senza occupazione dopo la chiusura delle imprese ex partecipazioni statali. Alcune hanno cessato l'attività, altre tirano avanti in attesa di tempi migliori. Risultato: centinaia di posti di lavoro persi. A farne le spese sono i lavoratori, in cassa integrazione se non licenziati. Da rilevare poi come il sistema produttivo è caratterizzato da piccole e medie imprese, afflitte da debolezza strutturale che si riflette anche nelle esportazioni, in particolare nelle vendite all'estero di merci a basso contenuto tecnologico.

Tra le cause di tipo strutturale che limitano fortemente la competitività di molte aziende apuane, vi è da annoverare la scarsa capacità di generare innovazione. Non mancano gli aspetti positivi rappresentati dal buon andamento delle esportazioni del Nuovo Pignone, che ha evitato conseguenze negative più pesanti per l'export del settore metalmeccanico. Anche la nautica da diporto non conosce crisi, il numero delle imprese segue da vicino, in ambito toscano, i poli nautici di Livorno e Lucca, superando nel 2003, la provincia di Grosseto, divenendo così in valori assoluti il terzo polo della regione. Ma si tratta di eccezioni che confermano la regola: la provincia apuana vive un momento difficile, tra conferme e contraddizioni.

Una delle contraddizioni più marcate è rappresentata dai prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati: sono aumentati sensibilmente, dal 2,4% del 2002 al 3,6 del 2003. A tal punto che Massa è divenuto il primo capoluogo in Toscana per il carovita. Un'autorevole conferma delle difficoltà che sta vivendo la provincia di Massa Carrara è venuta recentemente da Claudio Martini, presidente della Regione Toscana. «A tutt'oggi – ha rimarcato – i risultati sono deludenti: le società partecipate sono in una situazione di sofferenza abbastanza generalizzata e i Cantieri, nonostante l'impegno di tutte le istituzioni locali, dei sindacati e degli istituti di credito, non hanno ancora superato le difficoltà».

«La situazione – è la conclusione di Martini – richiede un ulteriore impegno delle istituzioni e la Regione farà la sua parte. Siamo convinti che la provincia di Massa Carrara abbia risorse ed energie per reagire». «Il problema vero di questo territorio – rileva Sergio Zangolli, segretario generale della Cisl di Massa Carrara – in aggiunta alla grave crisi che opprime la nostra economia nazionale, è che bisogna rimuovere al più presto certe cause che hanno impedito la crescita dello sviluppo locale: l'eccessivo abuso che c'è stato del territorio sulla deindustrializzazione, fatto di speculazione, di investimenti mobiliari anziché industriali. Una cultura imprenditoriale inerziale. La mancata coesione sociale per uscire dal particolarismo».

«Per tutte queste ragioni – conclude Zangolli – riteniamo che l'unica strada percorribile per fermare questo declino economico inarrestabile sia la creazione di un nuovo patto territoriale che faccia ripartire lo sviluppo e l'occupazione, puntando tutto su un'economia di qualità e vero lavoro».

Marmo: primi segnali di ripresa
Nei primi sei mesi del 2004 si sono registrati segnali di ripresa per il marmo: le esportazioni hanno registrato più 7,98% in qualità e 5,07% in quantità rispetto al corrispondente semestre 2003. Si allontanano quelle nubi minacciose provocate dalla notizia, del febbraio 2004, secondo la quale, mentre nel mondo l'utilizzo del marmo aumenta, le esportazioni del distretto di Carrara sono diminuite del 10 per cento. Dopo un lungo periodo di difficoltà è il primo segnale positivo che viene dal settore lapideo dopo che nel maggio 2004 si profilavano dei rischi per il lavoro dei 1200 lavoratori dei Cantieri Apuania. Alcuni dati interessanti che mettono in risalto l'importanza che il marmo riveste per l'economia apuana: secondo le recenti elaborazioni di Unioncamere, il sistema di trasformazione lapidea di Massa Carrara fattura per il mercato estero 577,7 mila euro l'anno per impresa locale e 120,1 mila per addetto (dati 2002), quote pro-capite superiori in entrambi i casi ai livelli medi dell'intera industria manifatturiera locale (rispettivamente 330,6 mila euro per impresa e 78,7 per addetto) a testimonianza della forte vocazione ed esposizione di questo settore, assieme alla meccanica e alla chimica, alle dinamiche internazionali.

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