Toscana

Matrimoni GAY,  perché diciamo «NO»

«Le unioni tra persone omosessuali non possono essere omologate né alla famiglia fondata sul matrimonio né ad altre forme di convivenza comunque degne di attenzione, come le coppie eterosessuali non sposate che dimostrano stabilità di rapporti e magari hanno anche dei figli. Per le persone omosessuali restano fermi i diritti-doveri inalienabili e costituzionali di ogni persona e il rispetto dovuto a situazioni a volte anche non facili». Rispondeva così, ad una lettrice, il direttore di Toscana Oggi, Andrea Fagioli, sul n. 19 del 20 maggio 2012 (Matrimonio e unioni omosessuali). La risposta ha suscitato l’interesse di molti lettori che, soprattutto attraverso il nostro sito www.toscanaoggi.it (leggi qui), l’hanno commentata, criticandola anche da opposti punti di vista.

Ribadiamo che qui non si parla del sacramento cristiano del matrimonio, ma di nozze civili, che – laicamente – uno stato può regolamentare, purché si mantenga nell’alveo della sua carta costituzionale. E la nostra, all’art. 29, parla di «famiglia come società naturale fondata sul matrimonio». Poi, ma sarebbe più giusto dire «prima», c’è il diritto naturale, che nessun stato, nessuna maggioranza politica, hanno il diritto di modificare o distruggere. Il dibattito scaturito dal nostro intervento si intreccia temporalmente con le dichiarazioni del segretario del Pd Bersani e con il documento approvato dal Comitato per i diritti, sempre del Pd, che rilanciano il tema delle «unioni omosessuali». Tema che può «rendere» in termini di voto, grazie al lavoro martellante di quella lobby culturale omosessuale, che ben documenta in questa stessa pagina il semiologo Armando Fumagalli. Ma non può essere questo il metro per giudicare l’opportunità di introdurre forme di «simil matrimonio» tra gay, che – come dimostra l’esperienza di altri Paesi occidentali –  costituiscono solo il primo passo verso un’equiparazione totale. Sono temi che intendiamo approfondire ancora, aperti al dialogo, ma fermi con i nostri principi.

Il teologo: L’uomo non è solo libertà, ha anche una «natura»di Andrea Bellandi

docente di Teologia fondamentale alla Facoltà teologica dell’Italia Centrale

Il commovente incontro avuto recentemente da Benedetto XVI con le famiglie a Milano è stato l’occasione di ribadire nuovamente la decisiva importanza di questa realtà, voluta da Dio, non solamente per i singoli cristiani e per la Chiesa, ma per l’intero ordinamento sociale: «La fede in Gesù Cristo, morto e risorto per noi, vivente in mezzo a noi, deve animare tutto il tessuto della vita, personale e comunitaria, pubblica e privata, così da consentire uno stabile e autentico “ben essere”, a partire dalla famiglia, che va riscoperta quale patrimonio principale dell’umanità, coefficiente e segno di una vera e stabile cultura in favore dell’uomo» (Incontro con la cittadinanza, 1 giugno). In tal senso, rivolgendosi alle Autorità, il Santo Padre – ricordando come ogni Stato sia «a servizio e a tutela della persona e del suo “ben essere” nei suoi molteplici aspetti, a cominciare dal diritto alla vita» – ha legato indissolubilmente questo servizio alla persona a quello da rendersi alla famiglia, fondata sul matrimonio e aperta alla vita (cfr. Incontro con le Autorità, 2 giugno 2012). (i testi dei discorsi)

Ma di quale idea di famiglia si sta parlando? Questa domanda oggi non è retorica, visto il fatto che sempre più insistentemente, da diverse parti e con svariate motivazioni, si avanza l’idea – e la relativa prassi – di estendere l’immagine di famiglia a modelli diversi da quelli finora generalmente intesi: dalle «unioni di fatto» di coppie eterosessuali a quelle omosessuali, fino all’idea di famiglie «allargate» (sic!), somma delle nuove relazioni affettive. Nell’omelia svolta durante la celebrazione della S. Messa al parco di Bresso, Benedetto XVI è stato chiaro: «Chiamata ad essere immagine del Dio Unico in Tre Persone non è solo la Chiesa, ma anche la famiglia, fondata sul matrimonio tra l’uomo e la donna. In principio, infatti, “Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e disse loro: siate fecondi e moltiplicatevi” (Gen 1,27-28). Dio ha creato l’essere umano maschio e femmina, con pari dignità, ma anche con proprie e complementari caratteristiche, perché i due fossero dono l’uno per l’altro, si valorizzassero reciprocamente e realizzassero una comunità di amore e di vita» (Omelia, 3 giugno 2012).

Fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna: questa è l’unica immagine di famiglia che emerge dal disegno creatore di Dio. Una famiglia la cui legge è il dono totale di sè, che trova nella dimensione della fecondità il proprio termine naturale: «E il vostro amore è fecondo innanzitutto per voi stessi, perché desiderate e realizzate il bene l’uno dell’altro, sperimentando la gioia del ricevere e del dare. È fecondo poi nella procreazione, generosa e responsabile, dei figli, nella cura premurosa per essi e nell’educazione attenta e sapiente. È fecondo infine per la società, perché il vissuto familiare è la prima e insostituibile scuola delle virtù sociali, come il rispetto delle persone, la gratuità, la fiducia, la responsabilità, la solidarietà, la cooperazione» (ibidem).

Si dirà: questa è l’immagine di famiglia che vale solo per i cristiani, ma ad essa andrebbero aggiunti altri tipi di legame affettivo: l’importante sarebbe il sentimento di amore che vi sta alla base e l’istituzione politica dovrebbe riconoscere tali legami, equiparandoli al modello familiare «tradizionale». In un clima culturale dominato dal soggettivismo, dal relativismo e dal «sentimento», una posizione come quella appena enunciata appare ai più quanto meno giustificabile e condivisibile. Prescindendo qui da una valutazione morale delle persone implicate e da un approfondimento della delicata questione politica ivi sottesa, è importante tuttavia non perdere di vista la questione del giudizio sulla «natura oggettiva» del legame familiare che, per la dottrina della Chiesa, appartiene al cosiddetto «diritto naturale», ovvero a quel complesso di «valori umani e morali essenziali e nativi, che scaturiscono dalla verità stessa dell’essere umano, ed esprimono e tutelano la dignità della persona: valori, pertanto, che nessun individuo, nessuna maggioranza e nessuno Stato potranno mai creare, modificare o distruggere, ma dovranno solo riconoscere, rispettare e promuovere» (Giovanni Paolo II, Enciclica Evangelium vitae, n. 71). Per questo, come ha ripetuto Benedetto XVI alle autorità milanesi, richiamandosi al memorabile discorso da lui tenuto al Parlamento tedesco, le leggi dello Stato «debbono trovare giustificazione e forza nella legge naturale, che è fondamento di un ordine adeguato alla dignità della persona umana, superando una concezione meramente positivista dalla quale non possono derivare indicazioni che siano, in qualche modo, di carattere etico». Anche su questo terreno è perciò necessario allargare l’orizzonte della ragione, non riducendola agli spazi angusti della mera funzionalità, bensì aprendola a tutto l’essere e quindi anche alle questioni fondamentali e irrinunciabili del vivere umano, di cui fa parte anche il riconoscimento dell’istituto familiare: «Dobbiamo ascoltare il linguaggio della natura e rispondervi coerentemente. (…) Anche l’uomo possiede una natura che deve rispettare e che non può manipolare a piacere. L’uomo non è soltanto una libertà che si crea da sé. L’uomo non crea se stesso. Egli è spirito e volontà, ma è anche natura, e la sua volontà è giusta quando egli rispetta la natura, la ascolta e quando accetta se stesso per quello che è, e che non si è creato da sé. Proprio così e soltanto così si realizza la vera libertà umana» (Discorso al Parlamento tedesco, 22 settembre 2011).

Il semiologo: Dai film alle serie tv ecco come si manipola l’opinione pubblicadi Armando Fumagalli

ordinario di Semiotica all’Università cattolica del Sacro Cuore

Uno dei cambiamenti più forti di avvenuti negli ultimi vent’anni nella pubblica opinione – anche se siamo sicuri che è meno forte di quello che appare sui media – riguarda la valutazione morale dei comportamenti omosessuali. È un altro dei molti campi in cui cinema e televisione, ben prima di arrivare ai dibattiti parlamentari, hanno giocato la loro battaglia muovendo i sentimenti dell’opinione pubblica per portarla a valutazioni diverse da quelle che la morale cristiana – e di molte altre religioni – ha insegnato e insegna. Dopo anni di presenza al cinema e in programmi di nicchia, ultimamente questa campagna è arrivata anche sulla prima rete Rai, con serie come Tutti pazzi per amore e Una grande famiglia, entrambe scritte da Ivan Cotroneo, che ha scritto anche alcuni film (es. Mine vaganti di Ozpetek), che sono – come queste due serie tv – alfieri di questa ideologia. Niente di nuovo da questo punti di vista: in America, molti autori di serie televisive (da Sex and the City a Glee, da Nip/Tuck a The Vampire Diaries, da Six Feet Under a True Blood) sono omosessuali: questo ovviamente non ci interessa e non ci riguarda come loro scelta di vita personale, ma per il fatto che questi autori si dichiarano esplicitamente promotori di una «agenda culturale» che poi si ritrova nelle serie televisive che scrivono e producono.

La morale cristiana insiste nell’insegnare una distinzione fra il rispetto che va dato alla persona – a tutte le persone, comprese naturalmente le persone omosessuali –  e quindi il fatto che nessuno possa essere discriminato nei suoi diritti fondamentali, dalla valutazione morale degli atti sessuali, che – tanto per gli omosessuali quanto per gli eterosessuali – sono non solo leciti ma buoni solamente all’interno del matrimonio e in un contesto di reciproca donazione nella stabilità di una vita insieme e di apertura alla vita. E il matrimonio è l’unione di un uomo e di una donna per fondare una famiglia, aperta – almeno in potenza – alla procreazione e all’educazione dei figli. Per questo la Chiesa chiede che solo questa unione, quella matrimoniale, possa godere di una legislazione che la promuove e la difende: non si tratta di «sancire» i sentimenti privati di qualcuno, ma di riconoscere il ruolo generativo ed educativo dell’alleanza matrimoniale e la sua rilevanza sociale nel dare un futuro alla società (cfr al proposito le valutazioni sul cosiddetto «matrimonio omosessuale» sul sito cattolico promosso dalla Conferenza episcopale inglese www.catholicvoices.org.uk ).

La strategia della ideologia gay invece è stata di confondere due idee ben distinte (il no alla discriminazione per le persone e la valutazione morale dei comportamenti), presentando gli omosessuali soprattutto come vittime: dal suscitare rifiuto per ingiuste discriminazioni si faceva scivolare verso l’accettazione dello stile di vita omosessuale tout court. Il «manifesto» di questa strategia è stato Philadelphia (1993), che utilizzava per la prima volta, in un film per il grande pubblico, questa efficacissima retorica: l’omosessuale subisce una grave ingiustizia (viene licenziato da uno studio di avvocati solo perché è malato) e quindi il pubblico empatizza giustamente con lui. Da qui però la storia vuole convincere – in modi narrativamente molto efficaci – su qualcosa di molto ulteriore, e cioè che la scelta omosessuale è in tutto e per tutto equiparabile a quella eterosessuale.

La strategia per far penetrare questa mentalità fra la gente comune era già stata lucidamente delineata in un articolo programmatico di una rivista gay (Christopher Street) del dicembre 1984, ampiamente citato anni dopo in un bel saggio del critico cinematografico e commentatore americano Michael Medved. Tale strategia consisteva in:

normalizzazione: abbattere i sentimenti negativi presentando continuamente situazioni di omosessuali per far passare l’idea che si tratti di comportamenti diffusi e comunque «normali». Da qui anche la continua manipolazione dei dati sulla quantità di omosessuali, presentati come se fossero il 10% della popolazione, mentre in Paesi dove sono state fatte ricerche approfondite, anche recenti, i dati anche molto recenti sono fra l’1 e il 2 per cento.

presentare gli omosessuali come vittime. È il tasto su cui continua a battere questa ideologia, che si illude e vuole illudere che le difficoltà esistenziali, relazionali, affettive degli omosessuali siano dovute solo alla mancanza di riconoscimento sociale (da qui l’enfasi delle storie televisive sul «rivelarsi» e sulla accettazione o meno da parte della famiglia), quando moltissima letteratura psicologica (tranne quella recentissima, che in buona misura è stata «silenziata» dalle pressioni dei gruppi gay) manifestano la condizione omosessuale come una condizione radicalmente instabile e difficile, frutto e causa di frustrazioni. Da qui per es. (e non primariamente dal mancato «riconoscimento sociale») l’alta percentuale di suicidi che si trova, purtroppo, fra gli omosessuali.

demonizzare chi si oppone. Gli «omofobi» sono spesso «incarnati» da nazisti o membri del Ku Klux Klan, oppure sono dipinti come militaristi repressi, o fanatici religiosi violenti e ripugnanti.

Bisogna riconoscere che – probabilmente senza particolari regie – di fatto questa strategia è stata realizzata e in buona misura ha funzionato. Spesso perché, come dicevamo, fa leva su sentimenti «buoni» (la compassione, il rifiuto delle discriminazioni), ma poi li utilizza con sofismi emotivi per far arrivare le persone lì dove non vorrebbero.

Certamente nel riflettere sul percorso fatto in questi anni non si può non pensare anche a quale è stata e quale deve essere la presenza di cattolici non ingenui nei media di maggior diffusione e impatto culturale come la televisione e il cinema, per dare un po’ più di verità alla situazione e ai reali problemi delle persone omosessuali, ma anche e soprattutto per presentare in modo convincente ed efficace il valore della famiglia vissuta secondo il progetto di Dio.

Consiglio regionale: La Toscana chiede le «unioni civili» mentre sponsorizza la «carnevalata» gay

Unioni civili, matrimonio e coppie omosessuali, sono stati al centro di due distinte mozioni discusse la scorsa settimana dal Consiglio regionale della Toscana. La mozione a firma Dario Locci e Marina Staccioli del Gruppo Misto che, ricollegandosi all’art. 29 della Costituzione, sanciva la «contrarietà all’equiparazione delle unioni gay al matrimonio» è stata respinta, nonostante l’appoggio di Pdl, Udc e Lega. Accolta, invece, quella a firma Pd per un «intervento legislativo in materia di unioni civili in coerenza con il dettato costituzionale». «Il Pd ha perso un’altra occasione per dimostrare un po’ di coraggio, rifugiandosi in una scelta di bandiera. Dalla parte cattolica del Pd – attacca Locci – mi sarei aspettato di più: invece ci è toccato assistere alla classica sceneggiata dei consiglieri che abbandonano l’Aula durante le operazioni di voto, pur di non andare contro alla posizione ufficiale del partito. E pensare che uno di loro, solo qualche settimana fa, presentava il libro del Cardinale Elia Dalla Costa, che di coraggio ne aveva da vendere». In realtà la mozione del Pd non parlava espressamente di «matrimonio tra omosessuali» e questo spiega perché l’Udc, che ha dato pieno appoggio alla mozione Locci-Staccioli, si è poi astenuta sull’altra. Il capogruppo Udc Giuseppe Del Carlo ha riconosciuto che affronta «questioni di diritti civili. Una cosa però è la famiglia, altra le unioni diverse».

Durante la stessa seduta l’assessore Scaletti ha inoltre risposto a un’interrogazione a firma di Locci e Staccioli in merito all’opportunità di accordare il patrocinio regionale al Gay Pride che si terrà a Viareggio a luglio, difendendo la scelta fatta. «Lungi da noi discriminare gli omosessuali – dichiara Staccioli – ma la Regione dovrebbe rappresentare tutti i cittadini. La Giunta si è forse chiesta quanti toscani sosterrebbero questa manifestazione, prima di concederle il patrocinio e un seppur simbolico contributo di 2mila euro? Sottolineo che parte della stessa comunità gay non condivide e non ha condiviso questa kermesse o sarebbe più giusto dire, visto che si svolge a Viareggio, carnevalata».

Omosessualità sovraesposta e società naturale fondata sul matrimonio