Toscana

Meyer, test innovativo: «Così curiamo i bambini con gravi immunodeficienze primitive (IDP)»

Pietro è un bambino bellissimo e solo apparentemente sano. Pietro è affetto da immunodeficienza primitiva e se, alla nascita non si fosse scoperta, forse oggi avrebbe già fatto un brutto incontro con infezioni che da banali (per gli altri bambini) si sarebbero trasformate in qualcosa di più grave: otiti tramutate in setticemie, raffreddori in polmoniti. Pietro è venuto alla luce in Toscana e appena nato è stato sottoposto ai test di diagnosi precoce sviluppati, brevettati e utilizzati al Meyer.

Grazie a questi screening di massa da subito i medici sanno che è affetto da un difetto immunitario ed è stato immediatamente messo sotto terapia. Il suo organismo privo di difese immunitarie non ha sviluppato alcuna grave infezione e la sua qualità di vita è ottima.

E’ per arrivare a questo obiettivo che da anni i ricercatori del Meyer lavorano, in modo multidisciplinare, alla messa a punto di test neonatali che non esistevano al mondo. Screening per la diagnosi precoce di malattie immunitarie quali il difetto di ADA (Adenosina-deaminasi), PNP (purina nucleoside fosforilasi) e altre rare forme, utilizzando le metodiche della spettrometria di massa e di biologia molecolare.  Successi premiati con il riconoscimento internazionale da parte della Fondazione Jeffrey Modell del Centro di Immunologia pediatrico, unico in Italia, diretto dalla prof. Chiara Azzari.

A tre anni dal riconoscimento come eccellenza mondiale nel campo della diagnosi, cura e ricerca delle immunodeficienze primitive (IDP), il Meyer ha voluto fare un punto della situazione, organizzando un momento di incontro tra gli specialisti, i genitori dei bambini con queste patologie e i donatori di sangue e midollo il cui dono rappresenta la garanzia di vita per tanti bambini. L’iniziativa è stata resa possibile dal supporto non condizionante di Kedrion, una delle aziende leader nel mondo nel settore dei farmaci plasmaderivati.

Il primato del Meyer. Non è un caso se la prof. Chiara Azzari ha rappresentato l’Italia, per conto della Società italiana di Pediatria, al Congresso di Vienna, concluso di recente e nel quale tutti gli immunologi dell’Unione Europea hanno evidenziato la necessità di avere screening neonatali per la diagnosi precoce delle forme più diffuse di immunodeficienze primitive (IDP). E il 22 giugno il team della Immunologia pediatrica fiorentina farà scuola agli immunologi e agli specialisti di screening di tutt’Italia che verranno al Meyer a imparare queste nuove metodiche.

IDP: quando il tempo è tutto. Il test precoce è importantissimo, perché consente di fare diagnosi prima che l’immunodeficienza primitiva faccia danni, ossia si manifesti con patologie correlate che assumono una particolare gravità proprio per il deficit immunitario di cui il bambino soffre. La diagnosi precoce infatti permette da subito la somministrazione di terapie che garantiscono una qualità di vita più che buona.

Immunodeficienze primitive (IDP): i test internazionali modello Meyer. L’ospedale pediatrico Meyer, grazie alla collaborazione fra i team multidisciplinari di ricercatori, ha messo a punto e applica test unici al mondo per la diagnosi precoce delle immunodeficienze primitive (IDP). In particolare da tre anni sottopone tutti i bambini nati in Toscana (30 mila ogni anno) ai test eseguiti con spettrometria di massa presso il laboratorio Meyer diretto dal dr. La Marca per il difetto di ADA-SCID e PNP. Non è tutto. Come spiega la professoressa Chiara Azzari, la gocciolina di sangue presa dal tallone del bambino alla nascita e messa sul cartoncino dello screening, è utile anche per un altro esame. Si tratta di un test eseguito con metodo di biologia molecolare, anch’esso utilizzato per la prima volta al Meyer, per evidenziare molecole che evidenziano lo sviluppo delle cellule del sistema immunitario.

La nuova storia di TREC e KREC. Sembra una fiaba popolata da fantasiosi personaggi, invece è la scoperta che fa scuola a livello internazionale. «Il metodo statunitense – spiega la prof. Azzari – va alla ricerca di una sola molecola, chiamata TREC, e individua la sola cellula T. Noi cerchiamo contemporaneamente sullo stesso cartoncino non solo TREC ma anche KREC, pezzi di DNA che individuano le cellule B produttrici di anticorpi. Di cosa parliamo? Sia le cellule T che quelle B nella loro attività producono «calcinacci», residui di lavorazione; i linfociti T i TREK e i B i KREC. Poter analizzare, come facciamo al Meyer, entrambi ci consente una diagnosi estesa a più malattie e quindi maggior efficienza.

Quando i KREC scovano l’immunodeficienza primitiva. E’ grazie al nuovo test di biologia molecolare che il team di Immunologia pediatrica ha scoperto un bambino completamente privo di anticorpi e senza cellule B. Il piccolo, come prosegue la prof. Azzari, in assenza di diagnosi avrebbe rischiato infezioni gravi quali polmoniti, meningiti, ma grazie alla diagnosi neonatale è stato subito sottoposto a terapia immediata, che nel caso specifico consiste in terapia sostitutiva con immunoglobuline. «Il bambino sta bene – prosegue l’immunologa – e speriamo che il difetto immunitario sia transitorio. Può succedere infatti che nel suo processo di crescita e grazie alle terapie, la patologia regredisca sino a scomparire. Ma questo lo si vede dopo i 3 anni di vita».

I test in numeri. Attualmente il test svolto con metodo molecolare si applica a circa 8.000 bambini che nascono nella zona di Firenze, mentre da tre anni si effettua lo screening neonatale con spettrometria di massa sui 30 mila bambini che ogni anno nascono in Toscana.

Quando la terapia si basa sul dono. Accanto alla terapia antibiotica, i bambini con difetti immunologici vengono trattati con una cura salvavita: è la terapia a base di immunoglobuline, ovvero derivati del sangue umano. «Senza l’immenso dono di quanti danno il loro sangue – spiega il dr. Massimo Resti, Direttore dell’Unità Operativa Complessa di Pediatria del Meyer e uno degli inventori del brevetto sullo screening neonatale IDP – per questi bambini non ci sarebbe chance di vita. Il contributo dei donatori è così grande da renderne difficile persino la quantificazione. Basti solo pensare che per un bambino che pesa 20 chili occorrono 10 grammi di immunoglobuline ogni mese, risultato di oltre 11 donazioni di sangue. Prendete questo numero e moltiplicatelo per le fasi di crescita del bambino e la numerosità dei casi e capirete quanto è importante il regalo dei donatori di sangue». La somministrazione che in passato avveniva in ospedale per via endovenosa, ora avviene a casa per via sottocutanea. «Basta una punturina indolore nella pancia – conclude la prof. Chiara Azzari – e anche questo aspetto lo insegniamo ai genitori e ai bambini. Il nostro Centro detiene un piccolo record a questo riguardo: oltre l’80% dei nostri piccoli fa questa terapia meno invasiva. Il nostro dato è il più elevato in Italia e in Europa». E’ questo è un ulteriore segno di civiltà nelle cure per una qualità di vita sempre migliore.

Foto di Stefano Poggialini  – Teseo