Toscana

Mons. De Vivo: «A Verona il contributo dei laici sarà libero e fattivo»

di Andrea Fagioli

«Guardi che i nostri laici non sono mica così sprovveduti come si pensa. Non è facile manipolare e orientare il laicato attuale. Chi pensa questo è un ingenuo. Io vedo nei laici delegati al Convegno di Verona gente che ci tiene a portare il proprio contributo e a partecipare in maniera fattiva».

Non ha dubbi il vescovo di Pescia e delegato della Conferenza episcopale toscana per il laicato, Giovanni De Vivo: la pattuglia dei toscani diretta all’appuntamento ecclesiale nazionale non accetterà soluzioni precotte. Monsignor De Vivo, partiamo dalla preparazione al Convegno di Verona. Come hanno lavorato le diocesi toscane? «Il lavoro nelle diocesi è partito dopo gli incontri preliminari del comitato, a febbraio e ad ottobre 2005.

Tutti gli incaricati diocesani si sono poi ritrovati per la prima volta a livello regionale il 5 novembre e ancora il 18 aprile di quest’anno e il 9 settembre per un vero e proprio convegno. Le diocesi hanno lavorato bene. Ciascuna inserendo la preparazione al Convegno ecclesiale nazionale nel piano pastorale ordinario. Non si poteva, infatti, abbandonare la pastorale ordinaria. Qualcuno ha fatto un convegno, altri hanno cercato di sensibilizzare i consigli pastorali, sia diocesani che parrocchiali. Tutti hanno lavorato. Poi c’è stata qualche diocesi come Arezzo-Cortona-Sansepolcro che è stata sede di un evento preparatorio a livello nazionale e in quel caso hanno lavorato per quell’evento in particolare. Ogni diocesi ha lavorato in modo proprio e lo ha riferito nelle sintesi diocesane dalle quali abbiamo tratto la sintesi regionale».

A suo giudizio c’è stata sufficiente informazione? Qualcuno sostiene che solo una piccola percentuale di cattolici praticanti è a conoscenza di cosa succede a Verona dal 16 al 20 ottobre.

«Può darsi. Però va anche detto, con molta onestà, che il Convegno ecclesiale di Verona è sì importante, ma non si può enfatizzarlo al punto di pensare che sia chiamato a risolvere i problemi pastorali delle diocesi italiane. Si poteva certamente fare di più, ma anche di fronte ad un evento diocesano importante non mi sembra ci sia a livello locale tanta pubblicità di più».

Lei dice che non ci si può aspettare che il Convegno di Verona risolva i problemi pastorali delle Chiese che sono in Italia. Allora le chiedo cosa lei personalmente si aspetta dal Convegno? Di cosa si acconterebbe?

«Mi basterebbe il potersi ascoltare, perché nell’ascolto si riescono a cogliere le consonanze. Nessuno ha del precotto da offrire agli altri: bisogna sperimentare. E per fare questo è importante sapersi ascoltare per capire quali sono le difficoltà, ma anche le direzioni in cui le diocesi vanno».

A questo proposito, però, c’è chi sostiene che tutto sia già stabilito, che sarà un Convegno ingessato, senza spazio per il dibattito…

«Un terzo del Convegno è dedicato ai gruppi di studio, che fra l’altro non saranno così vasti come si temeva all’inizio quando si parlava di un centinaio di persone per gruppo. Il numero è stato ridimensionato a 70. Poi, come spesso succede, non tutti saranno presenti e quindi il numero scende a 60. Certamente sempre tante, però io ricordo che a Palermo, dove ci furono notevoli smagliature organizzative (non d’accoglienza, che fu invece splendida), ci fu ugualmente la possibilità di parlare e di discutere. Addirittura il tentativo di portare delle soluzioni precotte portò alla ribellione nel gruppo di studio sui giovani. Le conclusioni non furono date lì per lì, furono date dopo perché non erano realisticamente rispondenti ai gruppi di studio. La mia impressione è che i laici che partecipano al Convegno di Verona sono entusisti, consapevoli e preparati».

A Palermo uno dei temi dominanti era quello della comunicazione. A Verona questo tema sembra sparire nell’ambito della tradizione. È un limite oppure il problema della comunicazione è superato o risolto?

«A me sembra che si sia fatto un garn distinguere a proposito di Palermo tra gli ambiti e i settori. Qualcuno ha detto: a Palermo c’erano i settori, invece a Verona ci sono gli ambiti. Invece anche a Palermo c’erano gli ambiti, con la differenza che erano molto determinati e ristretti. A Verona sono più vasti. Ad esempio, a proposito di comunicazione, questa volta c’è la tradizione: molto più ampia. Ugualmente a Palermo c’era la carità, qui c’è la fragilità umana, quindi un ambito più vasto. Molto dipenderà dalle schede su cui saremo chiamati a lavorare nei gruppi di studio».

E dopo Verona?

«L’idea ovviamente è quella di dare continuità al Convegno di Verona, ma il se e il come spetta ai vescovi a livello di Conferenza episcopale italiana».

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