Toscana

Nascite a picco. Siamo una regione per vecchi

L’Italia ha i peggiori indicatori demografici d’Europa, e quindi del mondo (a parità col Giappone). La Toscana ha indicatori demografici di gran lunga peggiori di quelli nazionali, dunque è una delle regioni demograficamente più depresse del mondo. Una delle regioni che rischia di più, una delle regioni dal futuro più incerto, se non proprio già compromesso. Siamo già in pieno declino demografico, anche se non ne parliamo. E, anzi, proprio perché non ne parliamo quel declino sembra destinato a concludersi con una perdita tale di vitalità demografica da fare della Toscana (con l’Italia intera che seguirà a ruota) un immenso reusorio, come diciamo proprio da queste parti, a cielo aperto, città zeppe di vecchi, giovani che si contano col lanternino, nascite pressoché azzerate o quasi. Esagerazioni? Vediamo.

La Toscana ha oggi 3 milioni e 737 mila abitanti, pari al 6,2 per cento della popolazione italiana. Negli ultimi quindici anni la popolazione toscana è cresciuta di circa 220 mila abitanti, ma solo in virtù del movimento migratorio. Senza il movimento migratorio la Toscana avrebbe, considerando anche i riconoscimenti di cittadinanza ottenuti dagli stranieri nella nostra regione, oltre 100 mila abitanti in meno di quindici anni fa, ovvero circa 3 milioni e 400 mila abitanti. Ma dal 2015 la Toscana, come già l’Italia, perde abitanti nonostante un saldo del movimento migratorio tra i più attivi, secondo solo a quello dell’Emilia-Romagna, della Lombardia e del Trentino, le uniche regioni che ancora non vedono la loro popolazione decrescere.

Perché la Toscana perde abitanti nonostante un saldo decisamente attivo del movimento migratorio è presto detto: perché ha un saldo del movimento naturale (nati – morti) sempre più nettamente negativo.  In Toscana, detto brutalmente, si nasce poco e si muore molto. Si muore molto perché la sua popolazione è molto vecchia, si nasce poco perché sono poche le donne toscane nelle età riproduttive e quelle poche fanno oltretutto assai pochi figli. Vediamo meglio questi due aspetti decisivi.

Si nasce molto poco. Le nascite non fanno che decrescere di anno in anno. Soltanto negli ultimi cinque anni, tra il 2012 e il 2017, sono scese in Toscana da 31 mila a 26 mila, perdendo 5 mila nascite (alla media di mille nascite in meno ogni anno), pari a oltre il 16 per cento in meno in cinque anni.  Anche in Italia la contrazione è stata notevole: il 14 per cento in meno nello stesso periodo, comunque pur sempre inferiore, in proporzione, a quella toscana.

Oggi nascono in Toscana 7 bambini all’anno ogni 1.000 abitanti, contro i 7,6 dell’Italia e i 9,9 dell’Unione Europea. Si nasce dunque in Toscana circa il 10 per cento in meno di quanto si nasce in Italia, che pure è praticamente il paese con la più bassa natalità del mondo, e il 30 per cento in meno di quanto si nasce in Europa, ch’è di gran lunga il continente dove si nasce di meno al mondo.

Siccome il quoziente di mortalità è in Toscana pari a 11,9 morti annui ogni 1.000 abitanti si vede bene come il saldo del movimento naturale sfiori annualmente il – 5 per 1.000 abitanti (7 nascite per 1.000 abitanti – 11,9 morti per 1.000 abitanti). Se non ci fosse il movimento migratorio la Toscana perderebbe, alle condizioni attuali, quasi 20 mila abitanti ogni anno, 100 mila in cinque anni, un milione in cinquant’anni. Si fa presto a scendere a una popolazione ridotta pressoché a zero, di questo passo. Dunque, senza il movimento migratorio la Toscana sarebbe oggi in una posizione criticissima, sull’orlo della bancarotta.

Gli stranieri regolarmente residenti in Toscana sono oggi poco meno di 410 mila, pari al 10,9 per cento della popolazione della regione, una proporzione decisamente superiore all’8,4 per cento della popolazione che gli stranieri rappresentano a livello nazionale. Ma questo surplus, se vogliamo chiamarlo così, di popolazione straniera ha consentito di mettere quantomeno una toppa a due gravi carenze della popolazione toscana, una quantitativa, l’altra qualitativa. La carenza quantitativa consiste nel basso numero di donne toscane in età riproduttiva (15-49 anni), conseguenza del formidabile calo delle nascite tra il 1975 e il 1995. La carenza qualitativa consiste nel basso livello del tasso di fecondità delle donne toscane, ovvero nel basso numero medio di figli che una donna toscana mette al mondo nel corso della sua vita. Le donne toscane tra 15 e 49 anni, quelle che per convenzione internazionale si considerano in età feconda, rappresentano appena il 39 per cento del totale delle donne in Toscana. Per renderci conto di quanto questa proporzione, che rappresenta letteralmente il motore della natalità, sia in Toscana patologicamente bassa ecco i riferimenti di livello superiore a quello regionale: Italia 41 per cento; U.E. 45 per cento; proporzione ritenuta congrua stimata attorno al 50 per cento. Dunque la Toscana ha un motore che dovrebbe assicurare le nascite decisamente meno potente di quello italiano e, ancor più, di quello europeo (non si dica poi di quello che sarebbe teoricamente necessario).

Questo motore, per passare da quella quantitativa alla carenza qualitativa, oltretutto non riesce neppure a esprimere la pur ridotta potenza che ha in sé: le donne residenti in toscana hanno un tasso di fecondità di 1,28 figli in media, di poco inferiore a quello italiano di 1,34 ma decisamente inferiore a quello europeo di 1,6 figli in media per donna, a sua volta di gran lunga il più piccolo tra tutti i continenti. Se si pensa che l’Italia è il paese dell’U.E. con la più bassa fecondità si capisce ancor meglio quanto sia basso e insufficiente il valore toscano.

Ora, senza le straniere residenti la proporzione delle donne in età feconda in Toscana scenderebbe al 36 per cento e il tasso di fecondità a 1,18. Specialmente per il primo valore saremmo più che nella patologia, nella disperazione.

Si muore molto. Secondo gli ultimi dati 11,9 morti annui ogni 1.000 abitanti contro i 10,7 a livello nazionale. Ma soltanto perché siamo una popolazione estremamente vecchia e la mortalità è in ragione dell’età: proporzionalmente più alta quanto più vecchia è la struttura per età della popolazione. La vecchiaia di una popolazione è a sua volta frutto di due fattori: l’aumento della speranza di vita, il fatto cioè che si vive sempre di più (la speranza di vita degli italiani è inferiore agli 83 anni, quella dei toscani supera gli 83 anni ed è tra le più alte se non proprio la più alta del mondo), e la contrazione della natalità. Un adeguato numero di nati, infatti, potrebbe almeno in parte compensare l’aumento di anziani e vecchi, come avviene in tanta parte d’Europa, specialmente continentale e del nord, impedendo o almeno attenuando l’invecchiamento della popolazione. In Toscana, diversamente, i due fattori si sommano, rendendo la sua popolazione un esempio di invecchiamento com’è assai raro vederne.

In Toscana l’indice di vecchiaia, ovvero il numero di anziani di 65 e più anni ogni 100 bambini e ragazzi fino a 14 anni compiuti d’età, supera il valore stratosferico di 200, rispettivamente il 20 per cento e il 56 per cento in più dell’Italia (169) e dell’U.E (129). Né basta: ci sono nella popolazione toscana 135 abitanti dell’ottavo decennio d’età (70-79 anni) ogni 100 abitanti del primo decennio d’età (0-9 anni), quasi che l’assottigliamento degli abitanti nel corso della loro vita, a ragione della morte, procedesse al contrario, non salendo ma scendendo con l’età.

È una demografia del tutto scompensata, dunque, quella che si presenta ai nostri occhi indagando la Toscana. Uno scompenso che, senza una bilancia migratoria fortemente attiva da oltre due decenni a questa parte risulterebbe del tutto irrecuperabile.

Intendiamoci, anche così stando le cose il futuro che aspetta la Toscana, se non ci muoveremo, con decisione e radicalmente, sarà comunque un futuro di declino e di perdita di ogni vitalità demografica e, con essa, pure inventiva e produttiva. Perché i dati che abbiamo visto ci dicono: a) che il declino non è una possibilità del domani, ma già una cosa di oggi, e che b) invertire certe tendenze demografiche non è difficile, è quasi impossibile. Si pensi, al riguardo, alla popolazione femminile in età riproduttiva, che rappresenta il potenziale delle nascite attuali e future. In Toscana ci sono poco più di 750 mila donne di 15-49, pari ad appena il 39 per cento del totale delle donne residenti nella regione. Dovrebbero essere quasi 900 mila soltanto per eguagliare la pur largamente insufficiente proporzione europea e assicurare un flusso di nascite più consistente. Ma come si migliora questo parametro se, anche ammettendo di cominciare a fare più figli da subito, questi figli in più non andranno a incrementare la popolazione fertile che tra una ventina d’anni?

Il livello provinciale. E se per la Toscana l’impresa di risalire la corrente appare peggio che difficile, per alcune sue province e città la partita è bell’e persa, salvo miracoli (si guardi la tabella in alto).

In Toscana abbiamo quasi 171 morti l’anno ogni 100 nati. Ogni commento è superfluo, tanto è evidente lo squilibrio e il senso di questo squilibrio, oltretutto se si pensa che nell’U.E. questo valore è di poco superiore a 100 in quanto le nascite sono di poco inferiori ai morti, mentre nell’ultimo anno in Toscana a 26.092 nati hanno corrisposto ben 44.521 morti. Ma le cose vanno in modo ancora peggio, molto peggio, in almeno quattro province toscane, dove si superano valori di 190 morti ogni 100 nati, mentre in due di queste si oltrepassa addirittura la soglia limite dei 200 morti ogni 100 nati, due morti per ogni nato, valori da spopolamento radicale in meno di un secolo.

Le province di Grosseto (216 morti ogni 100 nati) e di Massa-Carrara (211) vantano con poche altre in Italia il non invidiabile primato di avere una mortalità più che doppia della natalità, ovvero in pratica, se non si ha paura delle parole, di essere in certo senso già morte. Né le cose vanno troppo meglio nelle province di Lucca (194) e Livorno (193).  Ma anche la provincia di Siena (182) è vicinissima ai livelli di guardia. Quei livelli che, del resto, ha già superato largamente il capoluogo, una delle più belle e cariche di storia città d’Italia: Siena. A Siena nel 2017 si sono registrate 357 nascite contro 795 morti, vale a dire 223 morti ogni 100 nascite, né va molto meglio ad altre città come Carrara e Grosseto che avvicinano anch’esse, e non sono le sole, la soglia dei due morti per ogni nato. Da segnalare, a proposito di Grosseto, che la relativa provincia ha un tasso di natalità che si può tranquillamente definire infimo: 6 nascite annue ogni 1.000 abitanti, il 20 per cento meno della natalità italiana, il 40 per cento meno di quella europea. In questa provincia si ha altresì il più basso tasso di fecondità, numero medio di figli per donna, della Toscana: 1,2 contro 1,28 regionale. Le donne di cittadinanza italiana della provincia di Grosseto si fermano a meno di 1,1 figlio in media per donna.

Siamo, come si vede, da qualsiasi parte si guardi a questi dati, su valori così bassi da lasciare poche, quasi punte speranze di sopravvivenza a intere città e province, all’intera Toscana. Alla quale manca molto più che in Italia sia un motore capace anche soltanto di prestazioni decenti –  il numero delle donne in età feconda –  che un pilota capace di farlo rendere almeno per quello che può rendere –  ovvero le coppie, principalmente quelle sposate, senza le quali, è lapalissiano, anche se molti sembrano dimenticarlo, i figli non si fanno.

E dunque? In Toscana come nell’Italia tutta è mancata una organica politica di stampo natalista, quella stessa che in molti paesi dell’Europa occidentale, continentale e del nord, ha consentito sia una popolazione più giovane che una natalità più alta e una migliore prospettiva per il futuro. Ma basterebbe oggi, in Italia e a maggior ragione in Toscana, una siffatta politica fatta di provvidenze, misure e servizi per la famiglia e i figli? No, non basterebbe, anche se sarebbe comunque la benvenuta e qualcosa sposterebbe in avanti. Essa ha dato quel che poteva dare, ma oggi mostra la corda anche laddove ha seminato di più e meglio.

Le vie da intraprendere sono ormai altre, e si traducono in tre linee programmatiche tanto semplici da enucleare quanto complicate da realizzare:

Accorciare tutti i percorsi educativi e professionali di studio

Strutturare un mercato del lavoro aperto, decisamente indirizzato ai giovani, chiaro e oggettivo a cominciare dalle condizioni di accesso

Ripensare a fondo i meccanismi di un ascensore sociale che, troppo lento e zavorrato da criteri che non sono il merito e la voglia di fare, impedisce le speranze anziché farle lievitare. E senza orizzonti e speranze non si fanno figli.

Occorre, in altre parole, che la propensione dell’individuo d’oggi a realizzarsi sia stimolata a mettersi alla prova e possa raggiungere i suoi traguardi in tempi che non siano tali da precludere, o comunque da condizionare pesantemente, ogni altra prospettiva. La sfida che ci aspetta sta nel riuscire a canalizzare l’individualismo, ch’è la cifra dei nostri tempi, e renderlo più capace di arrivare alla realizzazione di sé in tempi più brevi di quelli odierni, così che l’individuo possa volgersi, e volgere le sue prospettive anche al matrimonio, alla famiglia e ai figli. Se ciò, come succede oggi in Toscana, avviene solo una volta superati largamente i trent’anni, e per una quota consistente della popolazione addirittura a quaranta e più, la partita è bell’e persa.

Le politiche che intendano recuperare una demografia morente, cosicché si possa ancora sperare in un futuro sostenibile, non possono che essere di carattere soprattutto nazionale, ma una regione come la Toscana, la cui demografia è ancor più compromessa e a rischio, non può chiamarsi fuori, deve trovare l’orgoglio e la forza per dire la sua e agire attorno a queste problematiche. Ci si avvia alle elezioni regionali, questo tema, ch’è di gran lunga il più decisivo tra tutti, non può in alcun modo restarne fuori.