Toscana

“Non basta fare memoria, bisogna capire il passato”. Intervista al rabbino di Firenze Gadi Piperno

Il 27 gennaio 1945 i cancelli di Auschwitz vennero abbattuti dall’esercito sovietico. Finalmente, la scritta «Il lavoro rende liberi» all’ingresso del campo smise di essere preludio di morte e lasciò che quei pochi sopravvissuti la libertà, quella vera, se la riconquistassero, seppure con addosso il peso di quei terribili momenti. Oggi, 77 anni dopo quel giorno, il 27 gennaio abbiamo tutti il dovere di fermarci un attimo e ricordare. Ricordare quello che è stato perché non sia mai più. Alcune volte però la memoria non basta. Alcune volte, e questa è tra quelle, prima di ricordare c’è bisogno di capire. «Il senso della memoria non è semplicemente ricordare qualcosa, ma capirla – dice Gadi Piperno, rabbino capo della comunità ebraica di Firenze –. È importante capire che cosa è stato e come ci si è arrivati. Il concetto di propaganda, il concetto di modificare la realtà in funzione di qualcosa ritenuto più alto è sempre l’inizio di una fine, l’inizio di un precipizio. A questo bisogna fare molta attenzione. Non avere memoria del passato, e parlo in generale, non semplicemente della memoria della shoah, impedisce all’umanità di andare avanti. Se non c’è memoria del passato, non si progredisce. Ogni progresso dell’uomo è avvenuto perché si è avuto memoria degli avvenimenti precedenti e quindi si è riusciti ad andare avanti. Pensare di essere in grado di innovare senza avere memoria del passato è forse il più grave errore che si possa fare. Il problema, qualche volta, – continua Gadi Piperno – è che della memoria bisogna fare buon uso. Purtroppo, quello a cui stiamo assistendo negli ultimi tempi è un uso davvero spregiudicato della memoria e questo è preoccupante perché avere memoria significa anche andare a ricercare il vero: il vero della memoria, il vero della storia, il vero del passato, e non renderlo simile alle nostre necessità di oggi cambiandone i connotati: questo è il peggior inganno che si possa fare alla memoria».

Eppure c’è ancora qualcuno che sembra non aver proprio capito. C’è ancora qualcuno che non si vergogna a sfilare nelle piazze manifestando contro il green pass mentre indossa una pettorina a strisce con sopra appuntata la stella di Davide. C’è ancora qualcuno che non è capace di fare un uso consapevole della memoria. «Non è un caso se quello che viviamo oggi viene chiamato il momento storico della post verità – spiega il rabbino -. Ormai è un elemento connotante dei nostri tempi il fatto che la verità possa essere considerata qualcosa di elastico che noi possiamo modificare secondo il nostro beneficio, anche se in realtà non è così. Prendere ad esempio la shoah per assimilarla a delle indicazioni di salute pubblica, è qualcosa di estremamente terrificante». Dall’altra parte, c’è chi a buon diritto alla memoria fa monumenti. Prosegue infatti in questi giorni l’installazione di 25 pietre d’inciampo in vari luoghi del capoluogo toscano. «La memoria è qualcosa che molto spesso si trova nei libri e che bisogna andare a cercare. Avere nella vita quotidiana qualcosa su cui inciampare, qualcosa che sia elemento di memoria cittadina, perché stiamo parlando di persone che in quel punto, nel mezzo della loro vita quotidiana sono state prese e portate via, è importantissimo. – dice Piperno – Nel nostro passeggiare, avere un momento in cui il nostro pensiero vada a chi, mentre faceva quelle stesse cose che noi stiamo facendo, è stato deportato in campi di sterminio, è qualcosa che deve farci riflettere e che ci permette di portare la memoria nella vita di tutti i giorni. Questo non vuol dire che dobbiamo stare sempre a pensarci, però a volte serve qualcosa che stimoli anche la nostra curiosità. La memoria non è solo quella che si trova nei libri, che è comunque importante e necessaria, ma va riportata nella vita di tutti i giorni; e le pietre d’inciampo sono un ottimo modo per farlo».

Il rabbino è arrivato a Firenze con la sua famiglia due anni e mezzo fa. Si è sentito subito a casa, sia nella comunità che gli è stata affidata, sia in città. «Qua mi trovo molto bene; Firenze è una città molto ospitale. Ho bambini che frequentano i vari gradi di scuola, dalla primaria al liceo e ci troviamo tutti molto bene, anche nella vita quotidiana. Per il ruolo che ho sono stato catapultato in una realtà in cui il dialogo interreligioso è una pratica ormai assodata e soprattutto è svolto molto bene. Si può fare in tanti modi il dialogo interreligioso – afferma Piperno -. Qui è un dialogo vero, in cui si parla soprattutto di religione, ci si dicono le cose anche in modo franco, perché ovviamente non siamo tutti uguali e non dobbiamo esserlo; l’importante è che ognuno porti il proprio contributo in modo costruttivo per il bene della società in cui viviamo tutti. Quindi devono esserci anche delle diversità nei punti di vista, perché questo è quello che ci arricchisce. Ecco, questo ho trovato a Firenze. So che è un percorso che la città ha iniziato tanti anni fa e certamente Giorgio La Pira ha dato un impulso fondamentale perché Firenze diventasse la capofila di questo processo».